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Sport | 26 gennaio | 18:00

Da Torino a Briançon in bicicletta senza quasi toccare l'asfalto: un altro modo di viaggiare è possibile

Dalla provincia di Torino fino a Briançon, attraverso alpeggi remoti e paesaggi sconosciuti: il primo racconto del cicloviaggiatore Michele Filippucci per L'AltraMontagna

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Quando ho proposto a S. la mia idea di avventura di fine estate è rimasto interdetto: "In che senso vorresti partire da casa in bicicletta ed andare a Briançon? Ci siamo andati mille volte. Per una volta che abbiamo qualche giorno libero, andiamo lontano!"

Capivo il suo punto di vista, il suo desiderio di scoprire posti nuovi. Briançon non è una meta particolarmente originale per due ragazzi cresciuti a Pinerolo, in provincia di Torino, e forse può sembrare poco sensato trascorrere diversi giorni su sentieri sterrati per arrivarci, quando la strada principale ne richiederebbe uno solo.

 

Per me, tuttavia, quel viaggio aveva un significato particolare. Ero lontano da casa da oltre un anno. L’estate precedente infatti, dopo un lungo viaggio (sempre in bicicletta) nell'est Europa, mi sono trasferito a Trento per cominciare un dottorato. In quella parentesi estiva avevo quindi voglia di rimanere tra i miei monti, in compagnia degli amici di sempre, per sentire di essere veramente tornato a casa; per guardare i paesaggi famigliari da una prospettiva nuova, frutto della distanza e dei mesi passati in giro.

 

Con la promessa di proseguire verso il mare una volta raggiunto Briançon, sono riuscito a convincere il mio amico. Il piano era quello di raggiungere il confine francese senza praticamente toccare asfalto, rimanendo il più possibile in alta quota. Siamo partiti il 29 agosto. L’afa che aveva segnato i giorni precedenti era scomparsa e un'aria fresca aveva preso il suo posto. S. ha lasciato che mi occupassi io della logistica. La salita iniziale è stata la ripetizione di un giro che mi ha insegnato mio padre quando ero ragazzino. Per la prima volta ho percorso quella strada con l'aspettativa di dormire fra i monti, sotto una bella stellata.

Per la seconda parte di percorso mi sono trovato di fronte a una scelta: andare in esplorazione del vallone di Massello per raggiungere la val Chisone in un punto più avanzato, dove è possibile proseguire in quota, oppure seguire il fondovalle per i primi 20km. La curiosità per quel vallone sconosciuto, in un punto della mappa accerchiato da luoghi famigliari, mi spinge a scegliere la prima possibilità. 


Dopo una notte gelida in tenda, ci siamo messi in sella e abbiamo guadagnato quota sui pendii ripidi della val di Massello. Ad un primo sguardo la valle dava la sensazione di essere inospitale, scura, quasi inaccessibile. Speranzosi, abbiamo proseguito la salita. Dopo una lunga serie di tornanti, siamo stati felicemente sorpresi da pendii dolci e assolati, interrotti da terrazzamenti abbandonati. Incuriositi, abbiamo attraversato alcune borgate di comunità valdesi, una minoranza religiosa che alcuni secoli fa si è rifugiata in questi luoghi difficilmente raggiungibili. L’assenza di modernità donava al luogo un certo fascino, nonostante fosse il sintomo della malattia dello spopolamento che affligge molti dei paesi circostanti.

Abbiamo continuato avanzando lungo una strada forestale tra quei paesaggi sconosciuti, finché il gps non ci ha suggerito di svoltare a un bivio, ma del bivio non c’era traccia.

Abbiamo guardato in tutte le direzioni con scarso successo. Non si trovava niente se non alcuni sentieri solcati dalle vacche. Dentro di noi iniziava a nascere un brutto presentimento. Non senza incertezze abbiamo deciso di tirare dritto verso la cima, sperando di ritrovare presto la strada. Dopo un centinaio di faticosi metri con la bici a spinta, ci siamo rassegnati davanti all’evidenza: il sentiero che avevo individuato sulla mappa è proprio la vaga traccia che stiamo seguendo. Provavo vergogna nei confronti di S., che probabilmente stava maledicendo il momento in cui ha accettato di seguirmi in questa traversata. Avremmo dovuto fare quei 20 km di statale. Invece di discutere sul da farsi, continuavo a spingere la bicicletta. Ogni metro guadagnato sollevando la bici era un motivo in meno per rinunciare, e così, un passo alla volta, in un paio di ore abbiamo raggiunto la cima.

Il colle era un alpeggio frequentato solamente da qualche pastore della zona. Era un luogo talmente isolato che mi ha fatto tornare in mente le pedalate sul Caucaso dell’anno precedente. Guardando le cime ricoperte di alberi intorno a me, mi sono reso conto di non riconoscere le montagne di casa. Chissà se sarei mai arrivato fino a questo colle senza il progetto di raggiungere Briançon. S. era assorto, come me, ad osservare quei paesaggi remoti. Quando entrambi abbiamo raggiunto la cima, con grande sollievo non sembrava pentito, anzi, aveva un sorrisetto compiaciuto.

Dopo esserci ripresi dallo sforzo immane, ci siamo gettati in picchiata verso il vallone del Bourcet fino a Roure per poi arrampicarci sul versante esposto a sud-ovest della val Chisone e raggiungere la strada dell’Assietta. In passato le guerre di confine con i cugini Francesi hanno causato molti danni agli abitanti delle nostre valli. Oggi, l’eredità lasciata da quelle battaglie è una strada militare sterrata lunga decine di chilometri che offre un balcone sulle Alpi Cozie correndo sulla cresta fra l’alta val Chisone e l’alta val di Susa.

La notte ci ha ospitati un nostro amico: ci ha offerto un letto al Ristoro Pintas. Il terzo giorno, abbiamo completato la strada militare superando una serie di colli che celano e svelano le montagne dell’alta val di Susa e val Chisone. Evitando di scendere nel paese di Sestriere, seguendo un sentiero in costa ci siamo diretti verso l’ultima sezione del nostro viaggio: i monti della Luna.

Il gruppo di monti appare come un vasto altopiano coperto di erba chiara, intervallato da saliscendi irregolari e circondato da cime rocciose. In passato ho solo potuto intuire il suo aspetto, vedendolo dalla cima di montagne vicine. Qui abbiamo trascorso la notte. Presto abbiamo compreso come mai quel luogo viene chiamato così: prima l’alba violacea e poi la luce bianca della mattina disegnano sull'altopiano un paesaggio lunare. 

Attraverso l’altopiano sfrecciavamo lungo sentieri sottili, con la sensazione di leggerezza di chi sa di aver finito la salita. Ci siamo fermati per una pausa al Lago dei Sette Colori, da dove è possibile scorgere le montagne francesi. Godendo dell’ultima giornata in quota, in breve abbiamo raggiunto Briançon.

Arrivati alla città di confine non abbiamo voluto fermarci. Nel pomeriggio abbiamo continuato a pedalare decisi verso Serre-Ponçon, dove ci aspettava un giorno di riposo in riva al lago. Mentre pedalavo sul fondo valle pensavo a quanto fosse andato tutto così liscio. Passando in rassegna i ricordi ho scoperto di non aver mai percorso un tracciato altrettanto impegnativo. Eppure non mi sento troppo stanco. O meglio, non ho provato lo sconforto di chi si chiede a metà strada ‘che ci faccio qui’.

Ripensavo alla Luna dietro casa che avevamo scoperto la sera prima. Forse, più che uno sguardo diverso sui luoghi familiari, la lontananza dell'ultimo anno mi aveva offerto la curiosità di cercare sentieri inesplorati anche a pochi chilometri da casa. Guardo S. che qualche settimana prima avevo dovuto convincere a partire ed ora pedalava deciso qualche metro avanti a me. Credo che anche lui abbia trovato, in quel viaggio, quello che cercava.

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