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Cultura | 01 novembre | 09:15

"Quando ho conosciuto Mario Rigoni Stern ero sporco di fango dalla testa ai piedi". Un ricordo in occasione dell'anniversario della nascita

Il 1 novembre 1921 nasce ad Asiago Mario Rigoni Stern. La sua intera opera allunga le dita verso la consapevolezza che, per camminare nel mondo senza soffrire di vertigini, è necessario calibrare ogni passo

scritto da Pietro Lacasella

Quando ho conosciuto Mario Rigoni Stern ero sporco di fango dalla testa ai piedi. Avevo appena finito di cacciare girini in una pozza per le vacche, inzaccherandomi non solo le scarpe, ma anche i pantaloni e la giacca. In quelle condizioni sedevo a un tavolo dell’Albergo Marcesina, dove i proprietari, appassionati di arte e letteratura, avevano organizzato un ritrovo conviviale, a cui i miei genitori erano stati invitati. Finito il pranzo, mio papà mi prese per mano, dicendomi che mi doveva presentare una persona importante. Così lo seguii, emozionato, ma soprattutto intimorito. A sei/sette anni il mondo appare più grande: quell’uomo barbuto mi sembrò immenso. Chiacchierò un po’ con mio papà e poi mi spettinò i capelli. È un ricordo delicato che conservo con orgoglio.

 

Ho iniziato a leggere Rigoni Stern dodici anni più tardi, in viaggio, mentre stavo raggiungendo i miei amici in Sardegna. Uomini Boschi e Api. I racconti dello scrittore asiaghese stonavano terribilmente con la vita mondana di quella vacanza, così, dopo qualche giorno, decisi di chiudere il libro per continuare a spendere le notti in un’atmosfera di leggerezza chiassosa. Una sera, stanco dei rituali notturni, andai a pescare. Non abboccò nessun pesce, ma almeno finii di leggere il libro, aiutato dalla pila del cellulare. Le parole di Rigoni Stern suggerivano un cambio di rotta.

 

Tuttavia, la virata arrivò solo due anni più tardi, in seguito a un viaggio sulle Ande ecuadoriane. Dalla finestra di casa vedevo il monte Chimborazo, la montagna più alta del mondo, se misurata dal centro della terra. Un colosso di 6310 metri, tra le cui pieghe ho vissuto per la prima volta senza incrinare gli equilibri con me stesso. Divertimento e crescita culturale si saldavano in un contesto fino a quel momento vissuto per lunghi periodi dell'anno, ma con superficialità: la montagna. Una volta tornato in Italia, ho cercato di ritrovare quelle sensazioni sui nostri rilievi e mi sono accorto, con grande piacere, che la formula si poteva replicare.

Ciononostante, nell’entusiasmo della scoperta facevo fatica a orientarmi. In ogni situazione, per evitare di perdersi, è necessario individuare dei punti di riferimento. Alternai quindi, in rapida sequenza, i racconti di Walter Bonatti alle pagine di Rigoni Stern.

 

Le parole dell’alpinista bergamasco suggeriscono una frequentazione leale dei rilievi, dove la fantasia diventa l’ingranaggio principale dell’esperienza e la montagna un terreno d’esplorazione fisica e soprattutto intima. Seguendo questa prospettiva, le asperità offerte dalle alte quote, ma anche le suggestioni regalate da certi paesaggi, si trasformano in un diaframma capace di raffinare i pensieri. È forse questo il movente; è forse questa la ragione che spinge molte ragazze e molti ragazzi a legarsi in cordata.

 

Nelle pagine dello scrittore altopianese, invece, lo sviluppo verticale delle pareti diminuisce per cedere il passo ad un terreno d’indagine altrettanto complesso e affascinante: la montagna vissuta. Nei suoi libri, la natura non è mai un coinquilino temporaneo. Al contrario, la narrativa di Rigoni Stern racconta il dialogo millenario tra uomini e territori, dove i primi hanno sempre cercato di interpretare i secondi a partire dalle proprie convinzioni culturali. Convinzioni culturali che, negli ultimi decenni, hanno spesso superato il senso della misura e del limite. Una piega anomala da cui lui stesso ci mise spesso in guardia.

 

In Rigoni Stern, dunque, non è più la natura a farsi diaframma, bensì il nostro modo di abitarla. La sua intera opera allunga le dita verso la consapevolezza che, per camminare nel mondo senza soffrire di vertigini, è necessario calibrare ogni passo. È molto semplice, infatti, inciampare nel fango dell’indifferenza e del menefreghismo. Una melma subdola e pericolosa di cui ci si può imbrattare anche senza inoltrarsi nei laghi di montagna per cacciare girini.

l'autore
Pietro Lacasella

Antropologo e scrittore interessato ai contesti alpini. Nel 2020 inizia a curare il blog Alto-Rilievo / voci di montagna. Ha lavorato per il Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua. Ha riorganizzato e curato i contenuti della testata online del Club alpino italiano Lo Scarpone. Oggi collabora con Il Dolomiti curando il quotidiano online L’AltraMontagna. Ha pubblicato Sottocorteccia, un saggio-diario sull’emergenza bostrico scritto a quattro mani con Luigi Torreggiani. Ha curato Scivolone olimpico, un volume sulla vicenda della pista da bob in programma di realizzazione a Cortina.

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