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Ambiente | 24 gennaio | 12:00

Cambiamenti climatici: stambecchi alpini più attivi di notte (con più rischi di predazione) pur di sfuggire al caldo

È già stato dimostrato che le attività antropiche, dallo sviluppo urbano e agricolo alla caccia e le attività sportive, stanno determinando una crescita nell’attività notturna tra numerose specie di mammiferi. A ciò si aggiunge il contributo dei cambiamenti climatici

scritto da Redazione

A cura di Sandy Fiabane

 

Il cambiamento climatico sta determinando un’ulteriore conseguenza sulla sopravvivenza di stambecchi e, potenzialmente, di molti altri animali che vivono sulle nostre montagne. Alcune specie diurne, infatti, iniziano a essere sempre più attive di notte, accettando un maggiore rischio di predazione pur di sfuggire al costante aumento della temperatura.

 

A rilevarlo è stato uno studio condotto dall’Università di Ferrara in collaborazione con l’Università di Sassari e le aree protette del Parco nazionale del Gran Paradiso e del Parco nazionale svizzero, che hanno analizzato i comportamenti di 47 stambecchi delle Alpi (Capra ibex) all’interno delle due aree, scelte in quanto in una è presente il loro principale predatore, cioè il lupo, mentre nell’altra è assente.

 

Secondo Stefano Grignolio, docente dell'Università di Ferrara e supervisore del progetto, le conseguenze di questi cambiamenti nel comportamento degli animali non sono ancora del tutto chiare, ma sarà fondamentale capire se possono mettere a rischio la conservazione delle specie.

 

 

La flessibilità nei ritmi biologici è la prima arma contro il cambiamento climatico

 

Una delle prime reazioni di molti animali al mutare delle condizioni esterne è la flessibilità nei ritmi biologici, che possono essere influenzati non solo da fattori astronomici, come le fasi lunari e l’alternarsi delle stagioni, e dalla pressione sociale, ma anche da fattori ecologici, come la disponibilità di cibo o la temperatura ambientale.

 

Gli animali endotermici (a sangue caldo) che vivono in zone temperate, come gli stambecchi, traggono vantaggio da uno stile di vita diurno, perché di notte le temperature scendono sotto la loro zona “termoneutra” per cui riducono la perdita di calore con il riposo. Tuttavia, l’aumento diurno della temperatura li spinge a cercare un miglior bilancio energetico riposando di giorno e attivandosi di notte.

 

Il problema è che questi cambiamenti potrebbero esporli a nuove o più rischiose sfide, come un maggiore rischio di predazione e una minor efficienza nella ricerca di cibo. Quanto allora la percezione di questi pericoli influisce sul cambio di comportamento?

 

Gli animali, comprese le femmine, si attivano di notte nonostante i predatori

 

I ricercatori hanno preso come specie modello lo stambecco delle Alpi, un ungulato diurno adattato al clima freddo di montagna e conosciuto per essere sensibile al riscaldamento globale. Inoltre, è tra gli ungulati con un maggior dismorfismo sessuale, cioè accentuate differenze morfologiche tra maschi e femmine: i maschi, ad esempio, sono più inclini al surriscaldamento a causa di un minore rapporto tra superficie corporea e massa e un maggior accumulo di riserve di grasso in estate, ma sono anche meno esposti al rischio di predazione grazie a una corporatura maggiore e corna più lunghe.

 

È emerso che, dopo giorni di temperature elevate, maschi e femmine spostano la loro attività di notte ed è particolarmente interessante il fatto che abbia maggiore influenza il caldo dei giorni precedenti piuttosto che il freddo della notte, che dovrebbe spingerli a riposare.

 

Ma soprattutto, contrariamente alle aspettative, il cambiamento si è verificato in entrambe le aree protette, risultando anche maggiore in presenza del lupo. Il bisogno di ridurre i costi della termoregolazione, dunque, sembra superare l’importanza di evitare i predatori, nonostante una minore attività notturna delle femmine, specie con la prole, suggerisca che l’attenzione ai predatori mantenga comunque un peso.

 

Considerare questi dati nella gestione del territorio e ridurre le fonti di stress

 

È già stato dimostrato che le attività antropiche, dallo sviluppo urbano e agricolo alla caccia e le attività sportive, stanno determinando una crescita nell’attività notturna tra numerose specie di mammiferi. A ciò si aggiunge il contributo dei cambiamenti climatici: se da un lato questi comportamenti facilitano l’adattamento degli animali, dall’altro potrebbero avere conseguenze negative non solo sugli individui, ma anche sulle popolazioni e le comunità.

 

È dunque urgente integrare le nostre conoscenze nei piani di conservazione dei territori e nelle attività di gestione della fauna, a partire dai censimenti poiché il passaggio all’attività notturna potrebbe ostacolare la nostra capacità di rilevare gli animali durante il giorno. Inoltre è fondamentale ridurre il più possibile le fonti di stress, come il turismo di massa o la presenza di mezzi motorizzati in aree sensibili, che potrebbero ulteriormente spingere gli animali a modificare i loro comportamenti.

l'autore
Agenda17

Agenda17 è realizzato dal laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara in collaborazione con l'Ufficio stampa, comunicazione istituzionale e digitale dell'Università di Ferrara. Pubblica notizie e contenuti scientifici relative ai 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, declinandoli nei relativi contesti sociali, economici, culturali e politici

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