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Cultura | 05 marzo | 20:00

Una delle pagine più dolci e struggenti scritte sulla guerra. 'Un anno sull'Altipiano' di Emilio Lussu è un antidoto contro i conflitti armati

In questo periodo di conflitti biechi, teatro di episodi inumani e contro cui bisognerebbe alzare i toni del dibattito in modo più deciso, riteniamo opportuno pubblicare una delle pagine più dolci e struggenti scritte sulla Prima guerra mondiale. Questo nella convinzione che alimentare il motore culturale sia una misura necessaria per arginare nuove e pericolose derive sociali. L'autore è Emilio Lussu, che ci lasciava il 5 marzo 1975, e il libro da cui è tratta la citazione s'intitola "Un anno sull'Altipiano"

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

In questo periodo di conflitti biechi, contro cui bisognerebbe alzare i toni del dibattito in modo più deciso, riteniamo opportuno pubblicare una delle pagine più dolci e struggenti scritte sulla Prima guerra mondiale. Questo nella convinzione che alimentare il motore culturale sia una misura necessaria per arginare nuove e pericolose derive sociali. L'autore è Emilio Lussu, che ci lasciava il 5 marzo 1975, e il libro da cui è tratta la citazione s'intitola "Un anno sull'Altipiano".

 

«Avellini ed io partimmo insieme in licenza. (...) La mamma era sempre attorno a me ed io uscivo raramente di casa, tanto in lei era grande il desiderio di essermi vicina. Si comportava con me, come se io fossi un bambino: a tal punto che la sera, quando andavo a dormire, voleva aiutarmi a spogliarmi e ritornava più volte per baciarmi, prima che lei si ritirasse nella sua camera. (...) Quella volta, i miei genitori non ebbero fortuna con la mia licenza. Ero in casa da appena quattro giorni e un telegramma del comandante del reggimento mi richiamava in linea per urgenti ed improvvise necessità di sevizio. (...) Il babbo si fece muto e non parlò più fino all'ora della mia partenza. La mamma, anche stavolta, si mostrò tanto calma e coraggiosa e io ne fui felice. Il babbo voleva accompagnarmi per un lungo tratto. Io mi accomiatai solo dalla mamma, che rimase in casa. Il distacco fu semplice. La mamma mi carezzò e mi bacio infinite volte, senza versare una lacrima, e, qualche istante, persino sorridente. Mostrava una così grande fiducia che io stesso ne ero stupito. Mai avrei supposto in lei tanta forza d'animo. Il babbo, muto, andava su e giù, senza guardarci.

Avevamo fatto una cinquantina di metri fuori di casa. (...) Mi accorsi che avevo dimenticato in casa il frustino. Lasciai il babbo e, a grandi passi, rifeci la strada. 

La porta di casa era ancora aperta. Entrai e gridai:

- Mamma, ho dimenticato il frustino -.

Al centro della sala, accanto ad una sedia rovesciata, la mamma era accasciata sul pavimento, in singhiozzi. Io la raccolsi, l'aiutai a sollevarsi. Ma non si reggeva più da sola, tanto, in pochi istanti, si era disfatta. Tentai di dirle parole di conforto, ma si struggeva in lacrime. Dovevano essere passati parecchi minuti, poiché sentii la voce del babbo gridare impaziente:

- Ebbene, codesto frustino? Finirai per perdere il treno -.

Mi svincolai dalla mamma e ridiscesi di corsa».

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