Ecco come nasce il mio nocino: "Il suo senso più profondo sta nel regalare, nel condividere, nel tramandare"
Sotto Natale è tempo di imbottigliare il nocino, un liquore "mitico", la cui ricetta è tramandata di generazione in generazione. Il racconto di un legame tra alberi ed esseri umani attraverso le tappe e le attese necessarie per realizzare il popolare digestivo (o "medicina" per il mal di stomaco)

Nota importante: questo racconto, legato a esperienze personali, non vuole in alcun modo sovrastare le indicazioni ufficiali della ricetta custodita con cura dall'Ordine del Nocino Modenese, a cui va la stima (e la devozione) dell'Autore.
Tutto ha inizio in sella alla bicicletta, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate. In quel periodo dell’anno, durante le pedalate del tardo pomeriggio per smaltire lo stress dell’ufficio, gli occhi si concentrano su singoli alberi sparsi nelle campagne. Piante di noce - corteccia chiara solcata da lunghe fessure - che incominciano a mostrare al mondo i loro verdi “malli”, i frutti in fase di maturazione. Ci sono anni di pasciona, di grande fruttificazione, dove una pianta vale l’altra. Ci sono anni, al contrario, dove il mistero della genetica misto a quello delle micro condizioni locali portano solo alcune piante a dare frutto. Ed è in quegli anni che la ricerca, attraverso un minuzioso monitoraggio del territorio svolto pedalando, si fa più avvincente.
Non abbiamo un giardino o una striscia di terra in campagna, di conseguenza dobbiamo (questa potrebbe essere considerata un’ammissione di reato) rifornirci dei malli di noce attingendo da piante altrui. Tecnicamente è un furto, non c’è dubbio, ma di lieve entità, trattandosi di poche decine di frutti scelti in piante rinselvatichite, evidentemente di poco interesse per i legittimi proprietari.
Così le taschine posteriori della maglia da bici si riempiono presto di campioni, da testare una volta arrivati a casa. Il coltello deve poter affondare nel corpo turgido del mallo senza la legnosa resistenza del guscio, ancora in fase di formazione. E qui c’è un grande problema, di ordine quasi mistico, religioso. La tradizione vuole che i malli siano raccolti il 24 di giugno, San Giovanni, dopo che le piante si sono riempite della rugiada di questa giornata particolare. Purtroppo però, almeno a basse quote, il cambiamento climatico sta incidendo anche su queste ancestrali tradizioni. Il caldo avanza e la stagione anticipa, così a fine giugno non è raro trovare l’interno dei malli già in parte lignificato. Per questo è così importante la fase di test, di campionatura puntuale, da iniziarsi ormai ai primi di giugno. E sempre più spesso… è necessario votarsi ad un nuovo Santo.

Una volta scelta la pianta e deciso il momento giusto, arriva il tempo della raccolta e dell’infusione. La raccolta avviene al crepuscolo, per evitare qualche improperio o peggio qualche fucilata, mentre a tarda sera il tavolo della cucina si popola di bocce di vetro, di una bilancia, di guanti in lattice e soprattutto di tutti gli ingredienti necessari.
Cosa e quanto aggiungere ai componenti principali - giovani malli di noce sezionati in quattro pezzi, zucchero e alcool - è una processione di numeri magici legati alla superstizione inseriti in ricette tramandate di generazione in generazione. La nostra deriva dalle donne di famiglia: in un quaderno della mia nonna materna, mia madre ha trovato una ricetta scritta a mano in bella calligrafia, con indicato: “Nocino - ricetta della nonna”. Chissà fin dove affonda le radici quell’insieme di ingredienti passato di mano in mano, di bottiglia in bottiglia, di sapore in sapore, di secolo in secolo.
Si narra che in un lontano passato erano proprio le donne le uniche a poter raccogliere le noci, rigorosamente a piedi nudi. E questo racconto si mischia a leggende di streghe che proprio attorno agli alberi di noce si radunavano per preparare i loro magici intrugli. Storie che ammantano il liquore di un'aura di mistero e magia che tuttavia, nella foga del furto tardo serale, poco si percepisce.

La sera della preparazione dell’infuso in casa c’è tensione, più che una magica atmosfera: “Occhio a non sbrodolare tutto! E mi raccomando, i guanti!”. Il contenuto dei malli, in effetti, è subdolo: mai si penserebbe, alla prima esperienza, che in quel bianco-giallognolo così all’apparenza innocuo si possano nascondere sostanze in grado di tatuare di nero le mani per settimane.
Si taglia, si misura, si conta, si mescola e si rimescola. Poi i boccioni di vetro vengono chiusi e posti sul balcone, rigorosamente a sud, dove subiranno, come una specie di supplizio necessario per estorcere l’anima chimica più profonda da quei frutti acerbi, tutto il sole bollente di luglio e di agosto.
Arriva così la notte del misterioso e affascinante cambio di colore: il bianco e carnoso interno dei malli, a contatto con ossigeno, zucchero e alcool, diviene prima verdognolo e poi, al risveglio, già si mostra nero come la pece. È l’inizio di una prima, lunga attesa.

Passa l’estate e, tra una mescolata e l’altra per far sciogliere del tutto lo zucchero, arriva l'autunno (per noi metà settembre, in base agli impegni, per molti un'altra data simbolica, il 31 ottobre). È il momento del filtraggio. Il liquido, del colore e della consistenza dell’inchiostro, viene ripulito dai residui solidi e posto in una bella damigiana trasparente. La tortura del sole cocente è finita: mentre fuori la luce cambia e l'aria inizia a odorare di pioggia, per il nocino è il tempo del riposo. Viene posto all’ombra, fino a Natale, quando potrà essere finalmente inaugurato per digerire il pesante pranzo di famiglia.

In quella damigiana, però, prima di riporla al buio, avviene qualcosa di particolare, di moderno, che in qualche modo allontana le generazioni. Si aggiunge acqua, in misura variabile in base a quanto corpo e aggressività si vorrà dare al futuro liquore. Ma non c’è traccia di acqua nella ricetta della trisnonna, nossignore. Amavano digestivi più forti, i contadini dell’Ottocento? Forse sì, forse no. Più probabilmente, ciò che per noi è un cicchetto da bere per diletto, per la gioia di brindare in compagnia, per loro era un medicinale, da assumere centellinandolo con un cucchiaino quando imperversava il mal di stomaco.
Ora la dama riposa placida al buio e al fresco, mentre fuori le foglie cadono e l’aria si fa sempre più frizzante. Ma in queste nuove, lunghe settimane d’attesa c’è spazio per qualche primo, fondamentale assaggio. Non occorre, in realtà, ai fini dell’esito finale della pozione. È solo una scusa, per dare sfogo a una curiosità che incomincia a rodere dentro come un tarlo.

Quando inizia l’Avvento è così giunta l’ora di imbottigliare, di infiocchettare, di immaginare improbabili etichette che scimmiottano le grandi case produttrici dei liquori più blasonati. E poi... è il momento del dono.
Perché tutta questa meticolosa faccenda che nasce ai primi di giugno e si conclude a fine dicembre ha senso non tanto per digerire cene pesanti (anche se indubbiamente aiuta), quanto per tenere vivo un pezzo di tradizione che assume il suo senso più profondo nel regalare, nel condividere, nel tramandare, nel raccontare tutta questa storia per non lasciarla affondare nell’oblio.
Ogni brindisi, in fondo, è un inno alla nostra relazione con l'albero. E il noce, fin dal tempo dei Romani, è considerato una pianta “di mezzo”, un po’ come il castagno. Un albero mistico ma addomesticabile, dal buon frutto e dal buon legno, da diffondere e coltivare nelle fasce ecotonali tra selvatico e antropico.
Una pianta-ponte, tra noi e il bosco. Un albero da celebrare, a cui brindare.
Alla salute!

PS - Quest'anno il nocino è riuscito particolarmente bene. A certificarlo è stata una giuria molto qualificata (la redazione de L'AltraMontagna!) che lo ha giudicato confrontandolo ad un nocino concorrente delle Prealpi venete realizzato dal Prof. Mauro Varotto, geografo dell’Università di Padova e membro del nostro Comitato scientifico. La gara, caratterizzata da un complesso sistema di votazione segreta degno di una grande democrazia, è finita pari merito. Ma una seconda manche sarà disputata tra un annetto. Il nocino, infatti, proprio come un vino di qualità, muta nel tempo (andrebbe consumato non prima di dodici mesi, spiega l'Ordine modenese)… vi terremo aggiornati.

Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella.