Pale eoliche: sempre di meno e sempre più grandi, ma la progettazione necessita del coinvolgimento dei territori interessati
Il Cai di Imola denuncia l’impatto devastante dei progetti eolici previsti nelle valli del Santerno e del Sillaro, con 42 turbine che altererebbero paesaggi e territori fragili. Non si contesta l’energia rinnovabile, ma una progettazione imposta e poco trasparente. Serve coinvolgere le comunità per una transizione energetica equa, evitando speculazioni che sacrificano il territorio. L'invito è quello di partecipare alla camminata chiedendo una progettazione delle rinnovabili attenta al territorio avendo chiaro l'urgenza di decarbonizzare il territorio

di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Domenica 15 ottobre la sezione del Cai di Imola propone un momento di protesta contro la "predazione eolica" sull’Appennino. Come si legge sul sito del Cai, si tratta di una "camminata di sensibilizzazione sulla bellezza del nostro paesaggio collinare e sui progetti di costruzione, nelle alte vallate del Santerno e del Sillaro, di nuovi impianti eolici per la generazione di elettricità (i cosiddetti parchi eolici) che, se realizzati, cambieranno per sempre quel paesaggio".
Avviare una discussione su una progettazione condivisa per i parchi eolici in montagna è più che mai necessario affinché la transizione energetica in Italia sia partecipativa e rispettosa dei territori.
I progetti nel Santerno e Sillaro
I 42 generatori eolici previsti sul crinale sono suddivisi in due progetti principali: il “Parco Eolico Emilia” e il “Lion Stone”, che interesseranno una vasta area dell'Appennino compresa tra il Santerno e il Sillaro.
Come ricorda il presidente della sezione Cai, Paolo Mainetti, questi progetti "necessiteranno di imponenti opere per la loro realizzazione, ma soprattutto di ciclopici lavori per le infrastrutture: enormi vie di accesso per i camion, scavi per gli elettrodotti, i trasformatori, le sottostazioni, ecc. Si tratta di interventi devastanti, veri e propri ecomostri per il nostro fragile territorio".
L’area interessata è molto più estesa rispetto alla distanza minima richiesta tra i generatori (circa tre o quattro volte la dimensione del rotore), con un impatto su una zona montana ben maggiore rispetto a quanto teoricamente necessario.
Secondo le mappe presenti nel progetto, il progetto del "Parco Eolico Emilia" si sviluppa su diversi crinali dell’Appennino romagnolo, con infrastrutture che coprono diverse centinaia di chilometri. Il rischio di speculazione e di neo-colonialismo energetico è elevato, e l’allarme dei comitati locali evidenzia una scarsa trasparenza nelle scelte progettuali e nelle concessioni rilasciate, sia in termini di potenza installata che di superficie occupata.

Contro le speculazioni, non contro le rinnovabili
L’Italia non è l’unico paese in cui la tutela del paesaggio viene messa in discussione dai nuovi impianti eolici. L’urgenza di decarbonizzare il sistema elettrico nazionale si scontra con le modalità di concessione dei parchi eolici in montagna e in altre aree sensibili. Decenni di cementificazione e la crescente pressione antropica sulle montagne, rese sempre più fragili dagli eventi estremi legati al cambiamento climatico, hanno dato origine a movimenti spontanei di cittadini.
Questi movimenti, spesso etichettati con l’acronimo NIMBY (Not In My Backyard), si oppongono non tanto alle energie rinnovabili in sé, quanto a una progettazione predatoria che non apporta benefici economici o sociali ai territori coinvolti.
In casi come quello della Sardegna o dei progetti nelle valli del Santerno e del Sillaro, le concessioni energetiche vengono calate dall’alto, senza un vero confronto con le amministrazioni locali o i cittadini. Tuttavia, perché la transizione energetica sia davvero efficace, è necessario che sia anche equa dal punto di vista economico e sociale. I grandi parchi eolici progettati per estrarre valore dalle aree montane richiedono un nuovo approccio democratico da parte delle istituzioni e delle imprese coinvolte.
Esistono già esempi virtuosi, come quello delle due pale eoliche sulle colline del comune di Gubbio, dove il paesaggio è stato tutelato grazie a un processo di coprogettazione che ha coinvolto il Comune, le associazioni locali e la comunità. Questo approccio ha permesso di integrare l’eolico senza incontrare opposizioni.
In Emilia Romagna, già duramente colpita dagli eventi estremi degli ultimi anni, la costruzione delle infrastrutture per le pale eoliche evidenzia ulteriormente la fragilità del territorio. Tuttavia, questa cementificazione distoglie l’attenzione dalle vere cause di tali eventi: l’industria dei combustibili fossili, ancora molto presente nella regione ma meno visibile rispetto ai grandi progetti eolici sull’Appennino.
“Più grande è, meglio è”
Per comprendere perché questi generatori siano così impattanti, è utile fare riferimento alla fisica. La crescente domanda di energia rinnovabile a livello mondiale ha spinto ad aumentare gli studi sulla produzione di energia eolica. Dal 2000 a oggi, le turbine eoliche sono cresciute in dimensioni di circa l’83% per catturare più energia, dato che i venti a quote più alte risultano più stabili. Attualmente, le pale delle turbine onshore (installate a terra) superano spesso i 100 metri di altezza, come previsto anche per i generatori proposti nel progetto di Monterenzio.
L’aumento delle dimensioni delle turbine ha una ragione precisa: pale più lunghe permettono di coprire un’area maggiore, catturando una quantità più consistente di vento anche in zone generalmente poco ventose. Questo consente di ridurre il numero di generatori necessari rispetto ai progetti che utilizzano turbine più piccole ma in numero maggiore.
Tuttavia, pale di dimensioni sempre più grandi comportano difficoltà logistiche: non possono essere assemblate in loco, limitando i passaggi stradali disponibili per il trasporto e aumentando le complessità legate alla loro installazione.
La questione della “taglia” delle turbine eoliche sui crinali è spiegata chiaramente da Marco Giusti, docente all’Università di Verona, nel suo libro L’urgenza di agire. Giusti sottolinea che, a parità di energia prodotta, l’installazione di generatori di piccola taglia (e quindi di dimensioni minori) richiederebbe un’area di crinale decine di volte più estesa rispetto a quella necessaria per generatori di grande taglia. In sostanza: più grande è il generatore, minore sarà l’impatto complessivo sui crinali.

Se al posto della montagna si difendono i petrolieri
La buona fede, quando si parla di tutela dei territori montani contro le speculazioni economiche, non è sempre garantita. Navigando tra i movimenti che si oppongono ai parchi eolici in Appennino, si incontrano anche realtà il cui scopo primario non sembra essere la salvaguardia del territorio o delle comunità locali. Un esempio è rappresentato dalla “Rete Resistenza Crinali” (nota anche come “Coordinamento dei comitati dell’Alto Appennino contro l’eolico-industriale selvaggio”), che raccoglie una ventina di associazioni e comitati locali.
Scorrendo i numerosi articoli pubblicati sul loro sito, emerge una chiara strategia di opposizione non solo ai parchi eolici, ma a qualsiasi forma di energia rinnovabile, sia in Appennino che su tutto il territorio italiano. Gli argomenti spaziano dai presunti rischi dell’eolico per il dissesto idrogeologico, all’uso ricorrente e provocatorio dell’aggettivo “gretino”. Questa “resistenza sui crinali” si configura come uno strumento per mettere in discussione le politiche climatiche europee e per screditare i report scientifici che attribuiscono l’attuale crisi climatica a cause antropiche. A ciò si aggiunge la promozione dei libri di Franco Prodi, noto negazionista climatico che rappresenta quel 3% di “voci fuori dal coro” della comunità scientifica globale.
Creare alleanze con altre realtà diventa complicato quando chi coordina il dibattito ha come obiettivo il mantenimento dello status quo energetico. La linea che separa l’ambientalismo territoriale dalla difesa implicita delle aziende petrolifere è sottile. La battaglia contro le pale eoliche, in alcuni casi, finisce per accomunare due settori apparentemente opposti: quello ambientalista e quello legato alle energie fossili.
La necessità di approfondire la questione eolica
Cercare di racchiudere tutte le questioni che legano rinnovabili, territorio e paesaggio in un articolo è impossibile. Un approfondimento sui diversi aspetti della questione eolica è necessaria per capire come le comunità montane possa integrare una parte fondamentale della transizione ecologica
Nei prossimi mesi L’Altra Montagna cercherà di offrire degli approfondimenti sull’argomento, dando uno sguardo ampio su come integrare le rinnovabili tutelando le risorse naturali delle terre alte.