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Attualità | 17 aprile | 12:35

"Ci si ritrova intorno al fuoco, con un bicchiere di vino e un piatto di canederli a raccontare storie di vita: le giornate in rifugio, fatte di piccole (grandi) cose"

Fra le mura del rifugio Altissimo si respira un velo di 'nostalgia'. Di nostalgia per quelle serate d'inverno trascorse dinanzi al fuoco, scaldate dalla legna ma anche dal calore umano: "Tutta questa neve ormai se ne sta andando, ma ci piace ricordare così i decisi colori invernali e la 'calda' atmosfera della nostra 'casa' alta. Vivere in rifugio è una scelta di vita fatta di sfide ma anche di impagabili soddisfazioni"

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Fra le mura del rifugio Altissimo Damiano Chiesa si respira un velo di 'nostalgia'. Di nostalgia per quelle serate d'inverno trascorse dinanzi al fuoco, scaldate dalla legna ma anche dal calore umano: "Tutta questa neve ormai se ne sta andando - rivela Eleonora Orlandi, gestrice della struttura in quota -. Ma ci piace ricordare così i decisi colori invernali e la 'calda' atmosfera che si può trovare all'interno della nostra casa alta". 

 

"Ci piace - prosegue nel racconto rivelando qualche (prezioso) dettaglio della vita in rifugio - quando la sera ci si ritrova tutti intorno al fuoco, con un bicchiere di vino e un piatto di canederli a raccontare varie vicende di vita". Racconti e chiacchierate che contraddistinguono in particolare quelle strutture in quota rimaste ancora 'autentiche', dove convivialità e condivisione fanno da protagoniste.

 

E prosegue: "Ci piace quando alcuni escursionisti arrivano durante il giorno e vengono a cercarci per salutarci, abbracciarci e scambiare quattro parole. A volte anche urlando forte il nostro nome. Ci piace quando vediamo quanto qualcuno ci possa tenere al rifugio ed alla nostra presenza". 

 

A tutto ciò, si uniscono anche il piacere "di poter dare dei consigli su come vivere al meglio il territorio, consigli su che sentiero fare, da che parte scendere per apprezzare ciò che la montagna può offrire". In fondo, il lavoro del rifugista è anche questo: presidiare il territorio, essere in grado di ricoprire decine di mansioni, sapersi adattare ed arrangiare e fungere da 'faro' soprattutto per coloro i quali necessitano d'essere guidati.

 

Un ruolo, quest'ultimo, che Sergio Rosi, gestore del Passo Principe, sostiene essere più che mai cruciale: "Chi fa la differenza è il rifugista che, fra i vari compiti, ha anche quello di istruire gli avventori e raccontare la montagna, spiegando loro cosa possono trovare e mostrando la bellezza dalla condivisione e dell'essenzialità - spiegava qualche tempo fa a L'Altramontagna -. Negli anni mi è capitato di imbattermi in escursionisti sorpresi del fatto che in quota ci si salutasse o che non sapevano che in rifugio ci si potesse dormire. A me le persone così piacciono già solo per il fatto che si sono messe in gioco venendo da me a piedi".

 

Orlandi parrebbe essere della stessa idea, tanto che aggiunge: "Ci piace poter dare una mano a chiunque entra dalla porta chiedendoci aiuto. E provare a valorizzare questi posti perché sono posti magnifici, con un potenziale floristico e faunistico incredibile - conclude -. Ci piace raccontare la vita da rifugio, i pro ed i contro, le difficoltà ma soprattutto le grandi soddisfazioni".

 

Piccoli 'assaggi' di vita in quota, quelli narrati in breve dalla gestrice dell'Altissimo Damiano Chiesa, "che racchiudono il valore aggiunto di tutto ciò che stiamo vivendo nella nostra vita. Una scelta di vita. Ma con sfide e soddisfazioni personali impagabili".

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