Città e montagne alleate? Sì, ma (spesso) nell’allontanare i propri abitanti

Si discute spesso sulla necessità di superare la cronica antitesi tra città e montagna. Ma c’è una dinamica che già le accomuna e non è affatto piacevole: l’espulsione dei residenti, in favore di realtà a trazione turistica

di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
«In Rua Arroios 37 il portone del palazzo è chiuso, all'interno le luci sono accese, solo un appartamento è buio e con le finestre serrate. [...] Abitanti sfrattati perché i proprietari vogliono affittare ai turisti o ai Digital nomads, oppure sono pronti a vendere a fondi immobiliari. Discendendo verso il Tago è evidente. Interi palazzi occupati solo al piano terra da ristoranti, negozi di lusso o grandi marchi, e completamente deserti ai piani superiori». (Giacomo Simi, Dario Antonelli, fonte qui.)
«L’indotto del turismo non finisce neppure veramente nelle tasche di ristoratori e albergatori, ma per la grandissima parte solo in quelle dei renter, dei proprietari dei piano terra o dei palazzi, e naturalmente delle piattaforme. Falliscono ristoranti grandi e piccoli, vecchie botteghe e grandi catene. […] È l’invenzione di una città che non vuole più apparire come produttiva e lavoratrice ma al tempo stesso ricca e accogliente, competitiva e democratica, lussuosa ma generosa, seria ma trasgressiva, cementificata ma green. Invece è una fabbrica di disuguaglianze, un paradiso fiscale dell’immobiliare che concentra la ricchezza ed espelle gli abitanti, come è ora evidente a tutti». (Rosario Pantaleo, fonte qui.)
Nella prima citazione si parla di Lisbona, nella seconda di Milano, e magari qualcuno di voi si starà domandando «ma L’AltraMontagna non si occupa, per l’appunto, di montagne?». Certamente, e ci arrivo. Quanto avete letto in apertura di articolo evidenzia due manifestazioni della stessa dinamica urbana, quella che da qualche tempo sta condizionando molte nostre città, sfibrandone l’identità storica e l’anima sociale – ovvero ciò che le rende luoghi nel senso pieno del termine – e facendo tuttavia credere di renderle più belle, attrattive, accoglienti. Città sempre più affollate di turisti e sempre meno vissute da veri abitanti (Venezia è un altro caso emblematico: dal 1951, quando aveva raggiunto il suo massimo di 174 808 residenti, ha perso circa il 70% della popolazione nel mentre che la quantità di turisti che la visitano è in costante aumento) che sembra che non solo non si pongano il problema di diventare delle scatole urbane vuote ma, addirittura, pensino a come sfruttare tale fenomeno.

Ma torniamo alle montagne: forse anche a voi, come a me, leggere i due brani sopracitati ha fatto pensare che tale dinamica sia qualcosa che da tempo colpisce anche i territori di montagna, nei quali sono innumerevoli le località i cui centri urbani, a fronte di poche centinaia (se non decine) di abitanti e relative case, sono per gran parte composti di edifici a scopo turistico, che peraltro restano vuoti per buona parte dell’anno (i cosiddetti “letti freddi”). Secondo questo recente articolo pubblicato su Corriere.it, «a Foppolo, sulle Alpi Orobie, il 94% della case sono di proprietà dei villeggianti e non sono abitate stabilmente. A Madesimo il 93%, a Sestriere il 91%, a Sauze d’Oulx il 90%, a Ponte di Legno l’86%». Non a caso, sono tutte località che secondo molti hanno perso, o stanno perdendo, la propria identità di luogo trasformandosi in anonime periferie urbane in quota ad uso turistico (sovente agghindate da edifici di oggettiva bruttezza architettonica), una parvenza che nemmeno i suggestivi paesaggi in cui si inseriscono riescono ormai a mitigare. Inoltre, è evidente come anche nelle località montane, gli alloggi privati riservati alle locazioni turistiche brevi (quelle di Airbnb per capirci) proliferino al punto da avviare dibattiti sulla necessità di imporvi delle limitazioni (qui ad esempio il punto della questione in Svizzera).

Tutto ciò, spesso con un supporto da parte delle amministrazioni, negli anni può aver contribuito ad alimentare i fenomeni di spopolamento delle località montane - seppur in forza di dinamiche differenti (ma non troppo) - esattamente come sta avvenendo nelle città sottoposte alla turistificazione consumistica - categoria alla quale appartiene anche il turismo del lusso, non dimentichiamolo. Accade che iniziative di sfruttamento turistico dei luoghi amministrati - cittadini o montani - spesso siano raccontate come forme di contrasto allo spopolamento quando, invece, possono essere tra le prime cause che lo favoriscono. Torno a citare la fonte in apertura: «Non si vuole capire che il modello di crescita è ormai completamente obsoleto: abbiamo ancora un ceto dirigenziale e politico che pensa di potere abbattere e ricostruire stadi, case, uffici, grattacieli, consumare campagna e aree verdi per costruire autostrade e ponti e piste da sci e chiamare tutto questo sostenibilità, coesione sociale e transizione ecologica».
Città e montagne si riscoprano non-luoghi (per dirla con Marc Augé) camuffati da sviluppo, e non da quella (ritrovata) dimensione metromontana da più parti invocata, ma spesso disattesa da tanti politici, locali e non. Bisognerebbe provare a individuare una nuova strada per evitare di dare forma a città e montagne sempre più difficili da vivere e da frequentare.