"Sono fra gli ecosistemi più ricchi, ospitando la maggiore diversità floristica". Eppure la loro perdita a oggi non fa abbastanza rumore
Emanuela Granata, dottoranda all’Università degli Studi di Milano e MUSE Museo delle Scienze di Trento, si occupa dello studio e della tutela delle praterie. Ci siamo confrontati con lei per approfondire la storia, la biodiversità e le minacce di questi ecosistemi importantissimi per la conservazione della biodiversità e per l’apporto di servizi ecosistemici essenziali

di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Le distese verdi punteggiate dai colori dell’arcobaleno tipiche dei prati fioriti, portano i profumi della primavera nelle terre alte. Prati e pascoli fanno capolino a diverse altitudini, interrompendo paesaggi diversi, dalla pianura alle foreste. Osservando queste macchie verdi tra boschi e paesi, viene difficile immaginare che le praterie sono uno degli ambienti su cui ha più influito la mano dell’uomo.
Nel corso dei secoli, attraverso la pratica di attività tradizionali, l’uomo ha tagliato intere aree boscate per fare spazio alle zone aperte. La presenza di animali al pascolo, la creazione di prati da sfalcio e la raccolta dello strame (miscuglio di fogliame, aghi e piante erbacee) sono solo alcuni dei tanti esempi di attività umane che nel corso dei secoli hanno creato i paesaggi verdi a cui siamo abituati.
Le praterie secondarie si differenziano da quelle primarie proprio perché queste ultime non sono “artificiali” - ovvero create dall’uomo - e si sviluppano a quote più alte dove la vegetazione arborea non cresce più.
Le praterie primarie le troviamo al di là del famoso “limite del bosco”, sopra i 2.000-2.200 m s.l.m., al di là del quale gli alberi non riescono più a crescere a causa delle condizioni ambientali quali i forti venti e la scarsità di suolo. Le praterie secondarie invece le troviamo tra i boschi, dove l’uomo nel corso dei secoli ha tagliato gli alberi per fare spazio ai terreni da coltivare e al bestiame da allevare.
Approfondiamo l’argomento con Emanuela Granata, dottoranda presso l’Università degli Studi di Milano e Muse Museo delle Scienze di Trento, che si occupa dello studio di questi ecosistemi tanto osservanti quanto poco conosciuti.
Inquadramento generale: cosa sono e come si sono formate le praterie secondarie?
"Le praterie sono ambienti chiave per la conservazione della biodiversità e per l’apporto di servizi ecosistemici essenziali quali servizi di approvvigionamento, di regolazione ambientale e di tipo culturale. In Europa, la maggior parte delle praterie sono secondarie, ovvero caratterizzate dalla presenza di specie vegetali native (prevalentemente poaceae), ma adibite ad uso agricolo per sostenere il bestiame attraverso il pascolo e la produzione di foraggio.
Formatesi da pascoli e prati adibiti a coltivazioni, nonché da praterie naturali persistenti mantenute dagli erbivori selvatici durante il pre-Neolitico, le praterie secondarie sono state poi preservate dall’uomo attraverso il disboscamento, gli incendi e il pascolo.
Proprio per la loro storia millenaria – la pastorizia è nata almeno 6,000 anni fa – sono fra gli ecosistemi più ricchi di biodiversità, ospitando la maggiore diversità floristica, nonché numerose specie rare e minacciate. Basti pensare che in Estonia sono state descritte fino a 76 specie di piante in 1m 2. A livello Europeo, infatti, sono riconosciute come habitat prioritario, inserendosi nell’Allegato I della Direttiva Habitat (92/43/EEC), la quale garantisce la sorveglianza dello stato di conservazione degli habitat a livello Europeo.
Storicamente, le praterie semi-naturali – in particolar modo quelle montane – hanno assunto un ruolo di rifugio per molte specie selvatiche legate agli ambienti aperti che, a causa della progressiva intensificazione e meccanizzazione degli ambienti coltivati planiziali, non trovavano più un ambiente idoneo alla loro sopravvivenza.
Inoltre, quando vi è una gestione corretta delle praterie secondarie, queste possono fungere da importanti serbatoi per la biodiversità, sia faunistica che floristica. Il pascolo, infatti, aiuta non solo a mantenere l’ambiente aperto tramite l’erbivoria, limitando la colonizzazione della vegetazione legnosa, ma aumenta la produttività dell’area generando benefici per la comunità entomologica e a cascata per l’intero ecosistema."
Prati di Varena (Trentino). Foto di Emanuela Granata.
Tra lo strato erbaceo, sotto e sopra di esso vivono moltissime specie animali, ognuna con un importante e unico ruolo da ricoprire all’interno dell’ecosistema. Ad avere un ruolo importane sono anche elementi marginali del paesaggio come le staccionate, sopra le quali si vedono stazionare rapaci diurni come la poiana e il gheppio. Granata ci aiuta a conoscere meglio gli abitanti delle praterie secondarie.
Quali specie possiamo trovare nelle praterie secondarie e perché questi luoghi sono importanti?
“Le praterie offrono condizioni ecologiche uniche ed essenziali per le comunità biologiche. Associata all’elevata diversità di piante presenti all’interno delle praterie correttamente gestite dall’uomo, troviamo una comunità di invertebrati molto ricca e diversificata, tra cui molti insetti pronubi che contribuiscono attivamente all’impollinazione. Tra questi abbiamo api selvatiche, farfalle, cavallette, coleotteri, bombi, rincoti e così via che trovano sia nutrimento, rifugio, che zone di nidificazione.
Numerosi sono anche gli uccelli legati strettamente a questi ambienti e definiti quindi “specialisti delle praterie”. Fra le varie specie ornitiche, quelle più iconiche degli ambienti prativi sono l’allodola, il re di quaglie, l’averla piccola, lo spioncello, lo stiaccino, il culbianco, lo zigolo giallo, e così via.
Queste specie si nutrono principalmente di invertebrati che possono catturare al suolo, sfruttando di fatto la già citata abbondanza di insetti che si può trovare in quest’area. Inoltre, la maggior parte delle specie legate alle praterie costruisce il nido a terra, nascondendolo fra i ciuffi d’erba, trovando quindi benefici in termini di siti di nidificazione.
Molti mammiferi, inoltre, utilizzano le praterie secondarie. Fra questi vi sono sia erbivori – caprioli e cervi – sia loro predatori come i lupi e onnivori come volpi e orsi.”
Baldo (Trentino). Foto di Emanuela Granata.
Il ritmo naturale del rigenerarsi della natura è stato mantenuto per secoli tra i fili d’erba attraverso le pratiche agricole tradizionali, tra le quali lo sfalcio manuale dei prati. La fretta della vita della società contemporanea ha imposto ritmi pressanti e la gestione lenta dei prati, che seguiva il calendario del tempo e delle stagioni più che della produttività, ha dovuto lasciare il posto a pratiche agricole intensive.
L’aumento dell’agricoltura intensiva nel fondo valle, assieme all’espansione di città e reti stradali ha spinto in alcune regioni d’Italia (come, per esempio, il Trentino) specie prative quali stiaccino, saltimpalo, re di quaglie e averla piccola a salire di quota per trovare rifugio nelle praterie secondarie. In contrapposizione, l’abbandono delle terre alte da parte delle persone ha favorito l’avanzare del bosco, il quale senza attorno persone a tenerlo a bada ha chiuso tra i suoi rami secoli di lavoro e gestione delle aree aperte.
Quali sono le principali minacce che interessano le praterie secondarie?
“Purtroppo, ad oggi molte specie minacciate ed inserite nella lista rossa della IUCN sono specialiste delle praterie. Un esempio è il re di quaglie che in Italia verte in uno stato di conservazione sfavorevole a causa di una contrazione del suo areale dovuto allo sfalcio meccanico delle praterie, al loro abbandono, nonché all’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti. Infatti, nonostante il loro valore ecologico e l’importanza che ricoprono sia per la biodiversità che per l’uomo, le praterie secondarie sono in continuo declino a causa di diversi fattori.
Da un lato, la progressiva modernizzazione dell’agricoltura, lo sviluppo industriale e una sempre più marcata marginalizzazione della produzione locale – soprattutto in zone di alpeggio remote – ha costretto gli agricoltori ad abbandonare i sistemi tradizionali agropastorali. Questo ha portato ad un conseguente innesco della naturale successione ecologica che vede l’insediarsi dapprima di arbusti e alberi e, in ultimo, al rimboschimento dell’area prativa con perdita di fatto dell’ambiente aperto e trasformazione profonda del paesaggio. Dall’altro, invece, abbiamo la conversione delle praterie semi-naturali in colture agricole più redditizie, come ad esempio la trasformazione delle praterie in frutteti (meleti, vigneti).
Questi fattori sono una minaccia per le specie legate strettamente al pascolo e allo sfalcio che, nella maggior parte dei casi, vertono in uno stato di conservazione sfavorevole. Quelle rimaste, inoltre, sono spesso soggette a intensificazione delle pratiche agricole con un aumento del pascolo per unità di area o aumento della fertilizzazione del suolo, con conseguente degrado della biodiversità, crollo delle comunità biologiche e della funzionalità ecologica delle praterie. Questo è particolarmente evidente negli uccelli per cui diversi studi mostrano un progressivo impoverimento delle cenosi ornitiche con perdita del ruolo di rifugio che le praterie montane hanno sempre esercitato.
Oltre che danneggiare l’ecosistema e le specie che vi abitano, la perdita e il degrado delle praterie ha un forte impatto anche sulla nostra società proprio per il valore culturale e il patrimonio storico che esse rappresentano.”
Le praterie secondarie si trovano tra incudine e martello, rispettivamente rappresentati dalle pratiche intensive agricole e dallo spopolamento di alcune aree montane. In un precedente articolo abbiamo parlato dei paesaggi dell’abbandono, e tra le tante domande emerge “Come sarà qui tra altri cinquant’anni?”.
La storia e la complessa struttura su cui poggiano le praterie secondarie e le specie che le abitano fatica ad arrivare ai tavoli di discussione, formali e non, e ad oggi la perdita delle aree aperte non fa abbastanza rumore per essere notata.
Ne si parla così poco al punto che cerando su Google “importanza aree aperte” il primo risultato pertinente appare nella terza pagina, ed è quello del progetto LIFE ShepForBio che mira a realizzare interventi di ripristino di pascoli in abbandono all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi per migliorare tre habitat di prateria riconosciuti dalla Direttiva Habitat (rispettivamente codici 5130, 6210* e 6230*, qui puoi trovare la guida ai codici). La ricerca in inglese permette di tirare un sospiro di sollievo, e già al primo risultato appare il sito del governo del Regno Unito nel quale vengono elencate le ragioni e i benefici che si ottengono ripristinando e gestendo in modo ottimale le aree aperte.
Le praterie secondarie sono un meraviglioso esempio di come le attività umane, se gestite considerando i ritmi degli ecosistemi e non quelli del capitale, siano in grado di tutelare la biodiversità e i paesaggi culturali che servono a ricordare il legame inscindibile tra persone e ambiente.