Mentre la scienza chiede di tagliare la produzione di carne e latticini, a Cop29 partecipano centinaia di lobbisti del settore agroalimentare
La giornata di oggi, a Cop29, è dedicata a “Cibo, agricoltura e acqua”: si tratta di un tema complesso, che si radica con forme diverse in ogni regione del pianeta e in modo netto nelle aree montane, e che funziona in entrambe le direzioni, perchè il modo in cui mangiamo determina la velocità con cui avviene il cambiamento climatico, che a sua volta ha degli impatti sulla nostra produzione di cibo

Se state seguendo questo blog, ormai lo sapete bene, ogni giornata è dedicata ad un tema specifico e quello di oggi è “Cibo, agricoltura e acqua”. Si tratta di un tema complesso, che si radica con forme diverse in ogni regione del pianeta (e in modo netto nelle aree montane), che funziona in entrambe le direzioni (ovvero: il modo in cui mangiamo determina la velocità con cui avviene il cambiamento climatico, che a sua volta ha degli impatti sulla nostra produzione di cibo) e soprattutto molto intersezionale, perché tramite la chiave della sicurezza alimentare si interseca e intreccia con tanti altri aspetti della vita umana che sono colpiti dal surriscaldamento globale. Insomma: proviamo a fare ordine, visto che la giornata di oggi è dedicata a questo.
I sistemi agroalimentari sono responsabili di circa un terzo delle emissioni totali di gas serra di origine antropica. Queste sono generate principalmente in tre fasi: all'interno dell'azienda agricola (dalle attività di produzione agricola e zootecnica), dal cambiamento di uso del suolo (causato dalla deforestazione, dagli incendi di biomasse e dai processi di degrado delle torbiere, spesso legati al disboscamento dei terreni per l’agricoltura) e nei processi pre e post-produzione (che comprendono la catena di approvvigionamento, la produzione alimentare, la vendita al dettaglio, il consumo domestico e lo smaltimento degli alimenti).
Partiamo dai dati e in particolare da quelli che la Fao (l’Ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e agricoltura) ha pubblicato qualche giorno fa. Il rapporto ci dice che nel 2022 le emissioni dell’intero settore agroalimentare globale ammontavano a 16.2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente: che vuol dire il 10% in più rispetto al 2000 e circa il 30% del totale delle emissioni di gas serra globali.
Negli ultimi 25 anni le emissioni dovute ai processi interni all’azione e quelle dei processi di post- e pre-produzione sono aumentati, mentre quelli dovuti all’uso del suolo sono diminuiti. Un dato importante: il 50% delle emissioni dell’intero settore sono dovute all’allevamento e alla coltivazione in senso stretto, e quindi ai processi all’interno dell’azienda.
La presidenza di Cop29, sui settori dell'agricoltura e dell'alimentazione, ha scelto di concentrarsi sulle “soluzioni dei sistemi agroalimentari che riducono l'impatto ambientale, costruiscono la resilienza, promuovono la biodiversità e migliorano la sicurezza alimentare”. Inoltre, insieme alla Fao ha lanciato oggi l'iniziativa congiunta Baku Harmoniya sul clima per gli agricoltori, con l’obiettivo di facilitare e sostenere la trasformazione dei sistemi agroalimentari concentrandosi su tre obiettivi principali: favorire lo scambio di conoscenze e esperienze, rendere gli investimenti nella trasformazione dei sistemi agroalimentari più attraenti, lavorando con le banche e infine supportare lo sviluppo di villaggi resistenti al cambiamento climatico e le comunità rurali.
L’anno scorso invece, a Cop28 a Dubai, ben 160 paesi avevano sottoscritto la “Dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti e l’azione climatica” che riconosceva che “impatti negativi senza precedenti stanno minacciando la resilienza dell’agricoltura e dei sistemi alimentari, nonché la capacitò di molti, soprattutto dei più vulnerabili, di produrre e accedere accedere al cibo”.
In entrambi i casi, ci si focalizza sull’adattamento dei sistemi alimentari al clima che cambia, in ottica di garantire la sicurezza alimentare, e non (anche) sull’aspetto contrario, e cioè l’impatto che il modo con cui ci alimentiamo ha sul clima (ovvero, le emissioni di cui parlavamo in apertura).
E questo accade mentre nella stanza accanto i ricercatori presentano l’ennesimo rapporto sugli impatti del cambiamento climatico e, nel parlare delle soluzioni, citano il cambio di comportamento che include anche le abitudini alimentari alla pari dell’investimento in nuove e salvifiche tecnologie.
Insomma: manca un passaggio. E come se non bastasse, stamattina il team di DeSmog, “la fonte numero uno al mondo per informazioni accurate e basate sui fatti riguardo campagne di disinformazione sul riscaldamento globale”, ha reso pubblici i risultati delle sue analisi, che mostrano come centinaia di lobbisti del mondo dell’agricoltura industriale stanno partecipando a Cop29 (un po’ come con il petrolio).
Complessivamente, 204 lobbisti dell’agricoltura industriale hanno partecipato alla conferenza, e il 40% di essi l’ha fatto con il badge “party” (quello della delegazione nazionale), che fornisce il privilegio di accedere alle negoziazioni diplomatiche (per confronto, a Cop28 erano il 30% e a Cop27 il 5%).
I lobbisti del settore della carne e dei latticini, invece, sono 52, di cui 20 arrivati con il governo brasiliano. E così, mentre il mondo della ricerca ci intima di ridurre la produzione di carne e latticini, l’industria agroalimentare continua ad esercitare forti pressioni contro leggi ambientali più severe.
“Vediamo lo stesso conflitto di interessi con l’industria dei combustibili fossili - ha dichiarato An Lambrecths, di Greenpeace International - e il modo in cui agisce per allontanare il mondo dalla portata delle azioni e delle soluzioni necessarie per combattere il cambiamento climatico e affrontarne gli impatti”. Mentre Wanun Permpibul, di Climate Watch Thailand, ha dichiarato: “Quando la grande agricoltura domina la discussione, le voci delle comunità in prima linea - soprattutto dei piccoli agricoltori, delle popolazioni indigene, delle donne e dei produttori alimentari locali - vengono sistematicamente escluse. Eppure queste sono le persone che vivono in armonia con la natura da generazioni, utilizzando le conoscenze tradizionali per gestire gli ecosistemi, preservare la biodiversità e sostenere i sistemi alimentari locali”.
Il motivo per cui questa presenza è problematica perché i delegati del settore agroalimentare parlano nei panel e tengono eventi in cui possono promuovere i loro messaggi chiave ai politici e al pubblico. Cosa questo voglia dire all’atto pratico, lo spiega con degli esempi particolarmente pregnanti proprio da DeSmog. Alcuni partecipanti, ad esempio, tra cui il presidente del gruppo di lobbying sui pesticidi Croplife Brasile, Eduardo Leao de Sousa, hanno sostenuto la necessità di “intensificare l’agricoltura in modo sostenibile”, un termine che contrasta con gli approcci alternativi a basso impatto che la scienza ci chiede di favorire e implementare e che sono riconosciuti come agroecologia, e che invece punta a “nuovi pesticidi, bioingressi e biotecnologie” per affrontare la sostenibilità e a modi per applicare i prodotti agrochimici in modo più efficiente.
Tra l’altro, per chiudere il cerchio ricollegandoci ai lobbisti del fossile di qualche giorno fa: i pesticidi e i fertilizzanti - utilizzati in gran parte per sostenere la crescita delle colture destinate all'agricoltura industriale animale - sono spesso derivati da combustibili fossili e hanno avuto un forte impatto negativo sulla biodiversità e sulla salute del suolo e delle acque.

Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)