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Ambiente | 09 gennaio | 12:18

L’assenza della politica nella tutela ambientale, il caso (e il caos) del Lago Bianco al Passo Gavia

La vicenda del Lago Bianco al Passo Gavia ci fa capire come il presidio dei territori sia interamente lasciato in mano ai singoli cittadini, che devono coprire le assenze (volute o non volute) della politica

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Cos'hanno in comune i freddi corridoi della Commissione Europea a Bruxelles e la riserva Natura 2000 al Passo Gavia? Apparentemente nulla. Eppure a fine dicembre sui lavori al Lago Bianco è stato depositata una segnalazione alla Commissione Europea. Partiamo dall’inizio.

 

Nel 1992 l'Unione Europea approva una rete di siti di protezione ambientale in tutti i paesi membri, il cui scopo è preservare gli ecosistemi nei siti identificati, tutelando le esigenze sociali ed economiche delle comunità. Nelle aree denominate Natura 2000 non è possibile effettuare attività venatorie, costruire impianti di risalita, utilizzare mezzi a motore fuori dalle zone prestabilite o modificare il naturale scorrimento delle acque. In Italia esistono circa 2600 siti Natura 2000 e al Passo Gavia si trova il sito protagonista di questa storia. Nel 2007 una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea obbliga l’Italia a creare una zona di protezione naturale, definita Tresero-Dosso del Vallon, a seguito dell’allargamento delle piste sciistiche all’interno dell’area Natura 2000 del Parco dello Stelvio, in Lombardia. L’area protetta, a compensazione delle zone compromesse, si sviluppa per circa tremila ettari con l’obiettivo di garantire “la tutela della biodiversità e la conservazione delle componenti faunistiche, floristiche, vegetazionali, geologiche, idriche, ecosistemiche e paesaggistiche dell'area”. All’interno di quest’area si trova, appunto, il Lago Bianco, a 2.621 metri d’altezza, al Passo Gavia. Nel 2016 un progetto approvato dalla Regione Lombardia (e reso definitivo nel 2018) prevede l’utilizzo delle acque del lago (ultimo residuo di tundra artica sulle Alpi) per l’innevamento artificiale delle piste nel comune di Santa Caterina Valfurva. Il progetto si sviluppa con l’interramento di una tubazione per una lunghezza di circa 1600 metri e di una presa più a valle per pompare nuovamente l’acqua all’origine. Il tutto dentro l’area “Natura 2000” e all’interno del Parco Regionale dello Stelvio. A luglio 2023 arrivano le prime ruspe nei pressi del Lago Bianco, iniziando a scavare per posare la tubazione di presa. Negli stessi mesi parte anche la mobilitazione promossa da alcuni cittadini per fermare i lavori. 

 

Foto gruppo Facebook - Salviamo il Lago Bianco

Foto gruppo Facebook - Salviamo il Lago Bianco

 

 

Matteo Lanciani, portavoce del comitato "Salviamo il Lago Bianco” spiega come la mobilitazione sia partita da Marco Trezzi, abitante della Valfurva che, a inizio anni 2000, ha iniziato a portare l’attenzione sul progetto. Le proteste sono diventate comunitarie grazie a un gruppo Facebook che ha permesso di raccogliere le voci di chi ha a cuore il Lago Bianco, formare i primi gruppi per i sopralluoghi al Passo Gavia (gruppi successivamente identificati dai Carabinieri) e per richiedere l’accesso agli atti del progetto. 

Il 2 ottobre è stata depositata una diffida verso i Comuni di Valfurva e Bormio, il Parco dello Stelvio, la Provincia di Sondrio, la Regione Lombardia e il Ministero dell’Ambiente a cui non sono seguite particolari reazioni. Il 10 ottobre è stata posata la tubazione di presa acqua all’interno del bacino del Lago Bianco. L’11 ottobre sono stati fermati i lavori. Tempismo perfetto.

 

Matteo Lanciani spiega come attorno alla questione c’è stata "totale latitanza da parte degli enti statali" (dall’ente Parco, dalla Regione o dallo Stato). Non sono bastate pec, mail, telefonate da luglio a ottobre. Nessuno ha mai risposto alle richieste di chiarimenti o alle domande dei cittadini preoccupati per le sorti del Lago. Solo l’11 ottobre il direttore del Parco, Franco Claretti, ha imposto la sospensione del cantiere, a tubazione ormai posata. Il ruolo del pubblico verso la tutela degli habitat sta scomparendo nel silenzio generale. Sempre più spesso, a partire dal secolo scorso, lo sviluppo economico è stata la priorità rispetto ai territori montani e alle popolazioni che vi abitano. L’adozione di una strategia comunicativa che ignora le richieste da parte della cittadinanza alza un muro tra lo Stato e i propri cittadini, aumentando i livelli di diffidenza e allontanandoli dalla politica. Esattamente l’opposto di cui abbiamo bisogno in un momento di crisi climatica e ambientale dove i governi dovrebbero essere in prima linea per difendere gli interessi delle persone che rappresentano, presenti e future. La visione a breve termine adottata dalle amministrazioni locali (e anche dal Parco dello Stelvio) condanna i territori a soccombere alla prima richiesta di un attore economico forte, in questo caso rappresentato dall’industria dello sci. Non solo: il presidio dei territori è interamente lasciato in mano ai singoli cittadini, che devono coprire le assenze (volute o non volute) della politica. L’attivismo dal basso diventa quindi l'unico strumento per tutelare le aree montane e gli habitat naturali.

 

Ora non resta che aspettare lo scioglimento della neve al Passo Gavia e la riapertura del passo. Come sottolineato da Lanciani, l’unica speranza di tutela del territorio rimane legata alla Commissione Europea. Lo Stato italiano ha già fatto capire di essere dalla parte degli interessi economici di pochi a discapito delle risorse naturali di molti.

 

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