I ghiacciai si sciolgono? No. E il permafrost? Nemmeno. Impariamo a utilizzare i termini corretti
Fondere, sciogliersi, degradarsi. Tre termini che spesso vengono usati uno al posto dell’altro. Capiamo come usarli correttamente quando parliamo di ghiacciai e permafrost

di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
In questo periodo dell’anno sono tante le notizie che parlano dello scioglimento dei ghiacciai e del permafrost. D’altronde le alte temperature estive accelerano e intensificano questi processi che nei mesi estivi raggiungono il loro culmine. È quindi fisiologico che se ne parli soprattutto al volgere dell’estate. C’è però un grosso però.
In realtà né il ghiaccio e tantomeno il permafrost si sciolgono. Il termine scioglimento ha un significato preciso in ambito chimico/fisico. A sciogliersi (o dissolversi, questi sì che sono sinonimi) è un soluto che viene posto a contatto con un solvente. Per parlare con un gergo meno specialistico, immaginiamo di versare un cucchiaino di sale da cucina (cloruro di sodio) in un bicchiere d’acqua. Agitando con il cucchiaino, in pochi secondi il sale (che rappresenta il soluto) scomparirà nell’acqua (il solvente). Ovviamente non scompare davvero, il sale è ancora presente nell’acqua, ma in forma dissolta perfettamente mescolata alle molecole d’acqua.
Il fatto che una porzione di un ghiacciaio passi dallo stato solido (ghiaccio) a quello liquido (acqua liquida) non ha ovviamente nulla a che fare con quanto appena descritto. In questa seconda situazione non è possibile identificare un solvente e un soluto. Qui siamo alle prese con qualcosa di diverso: un passaggio di stato. La stessa molecola (acqua, H2O) passa dallo stato solido a quello liquido, riarrangiando la disposizione spaziale delle molecole. Mentre nel ghiaccio sono disposte in modo molto ordinato e rigido (formano ovvero un reticolo cristallino indeformabile), nell’acqua liquida le molecole sono libere di scorrere le une sulle altre. Il termine specifico per descrivere questo processo è fusione. I ghiacciai fondono, il sale nell’acqua si scioglie.
Nel mondo della glaciologia, o comunque delle basse temperature, quando si parla di scioglimento c’è un altro elemento che crea spesso molta confusione: il permafrost.
Partiamo dal ricordare cosa intendiamo per permafrost. Permafrost è un terreno che rimane a temperatura negativa per almeno due anni consecutivi. I due anni consecutivi sono scelti in modo tale da racchiudere almeno un’estate nel lasso di tempo considerato. Se il permafrost non sale a temperatura positiva in due estati, è verosimile che non lo faccia per intervalli di tempo molto più prolungati. Possiamo quindi definire permafrost quella porzione di terreno la cui temperatura è sempre negativa. La cosa importante è la definizione di permafrost non ha quindi nulla a che fare con il ghiaccio, ma solo con la temperatura. Una roccia che rimane anche d’estate sotto zero è permafrost. Anche un terreno detritico che contiene una certa quantità di umidità, se è sempre a temperature negative è permafrost. In questo secondo caso, essendo presente nel terreno considerato una frazione di acqua (umidità), avremo anche a fare con del ghiaccio perché a temperature negative l’umidità è presente nella forma di ghiaccio. Il fatto che nel permafrost ci sia del ghiaccio è però assolutamente accessorio, non è l’elemento caratterizzante.
Fatta questa premessa possiamo arrivare al cuore della questione: il permafrost non si scioglie e tantomeno non fonde. Il permafrost si degrada. Quando una porzione di permafrost raggiunge una temperatura positiva, si dice che si degradi. Ad essere pignoli potremmo dire che quando del permafrost si degrada, la frazione di ghiaccio che contiene (se presente) fonde. Ma non è tutto il permafrost a farlo. Mentre fino a pochi anni fa sentivamo parlare di permafrost solo raramente, ormai è anche questo diventato un argomento caldo in estate. Sulle Alpi le estati sono immancabilmente caratterizzate da alti tassi di fusione dei ghiacciai e da un’accelerata degradazione del permafrost, che ha come conseguenza l’occorrenza di eventi franosi e di dissesto. Il permafrost funge infatti da cemento per i versanti dell’alta montagna. Quando si degrada il suo potere di coesione viene meno, favorendo crolli e distacchi (solo pochi giorni fa una grande frana ha interessato il Cervino, molto probabilmente a causa di queste dinamiche).
Vorrei concludere con una riflessione. Qualche lettore potrebbe pensare che distinguere fusione, scioglimento e degradazione sia eccessivamente pignolo, un voler mettere i puntini sulle i un po’ fine a sé stesso. Non è così. La natura e i suoi processi sono complessi e variegati, l’unico modo che abbiamo per interpretare e capire il mondo naturale correttamente è farlo utilizzando i termini corretti, che identificano le sue infinite sfaccettature. Certo usare tre termini invece che uno richiede un minimo di fatica in più. Ricordiamo però che comprendere qualcosa richiede sempre attenzione e dedizione. Se siamo affascinati dalle manifestazioni della natura, non potremo non trovare una sincera soddisfazione nel riuscire ad assegnare a ciò che osserviamo il giusto nome.