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Ambiente | 22 settembre | 06:00

Grotte carsiche come discariche abusive e operazioni di bonifica: il caso dell'Altopiano dei Sette Comuni

E' recentemente stata conclusa una importante operazione di bonifica alla Grotta di Fiara, sull'Altopiano dei Sette comuni, che per decenni è stata utilizzata come una discarica abusiva a cielo aperto

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Una delle caratteristiche geologiche più note relative al territorio dell'Altopiano dei Sette Comuni è il suo carsismo. Numerose sono infatti la cavità carsiche che, su pascoli o nei boschi, si aprono nel terreno, molte delle quali ispezionate dagli speleologi. Particolarmente noto è, ad esempio, l'abisso di Malga Fossetta, una delle cavità più profonde d'Italia, lungo le cui sale e camini gli speleologi sono riusciti ad incunearsi sino a scendere per oltre un chilometro nel sottosuolo.

 

Molte di queste cavità, che a volte si strozzano dopo poche decine o centinaia di metri di profondità, sono state utilizzate nel corso degli ultimi decenni come vere e proprie discariche abusive, senza alcun rispetto per l'ambiente. Di tanto in tanto qualche squadra di speleologi si mette al lavoro per ripulire e bonificare alcune di queste grotte carsiche, nel tentativo di riportarle alle condizioni originarie. E' quanto è avvenuto recentemente, ai primi di settembre, nella grotta di Fiara, nei pressi dell'omonima malga.


Foto di Giacomo Ghiotto

Qui gli speleologi sono scesi all'interno di un autentico immondezzaio. Una grotta meravigliosa che era stata ispezionata una quarantina d'anni fa dal Gruppo Speleologico Sette Comuni, quando ancora era immacolata, nascondeva al suo interno, lontano dagli occhi dei frequentatori dei boschi altopianesi, letteralmente di tutto. La cavità era stata infatti contaminata da carcasse di animali (vi si sono ritrovati i resti di trenta pecore, di un bovino e quelli di un cavallo o di un asino) e numerosi altri rifiuti. Altre cavità, anni fa, erano state ripulite da copertoni, elettrodomestici e rifiuti di ogni genere. Molte versano ancora in questo stato, com'è il caso del Brutto Buso tra gli splendidi boschi di faggi lungo le pendici dell'Ekar: una cavità profonda circa 200 metri e riempita di rifiuti fino a 20 metri dal suolo.

 

Quella della grotta di Malga Fiara è stata un'impresa rilevante e tutt'altro che semplice, che ha tenute impegnate 29 persone per un totale di oltre 400 ore di lavoro. Un'operazione che "ha visto la partecipazione di numerosi gruppi speleologici, tra cui il Gruppo Speleologico Sette Comuni, il Gruppo Grotte Trevisiol, il Gruppo Grotte Giara Modon di Valstagna, il Gruppo Grotte Treviso, il Gruppo Grotte Valdagno, il Club Speleologico Proteo, il Gruppo Speleologico Padovano CAI e il Gruppo Speleologico Sacile", come riporta il giornale L'Altopiano. Tempo e risorse messi in campo si sono purtroppo rivelati, tuttavia, insufficienti a ripristinare la cavità carsica, sulla quale sarà necessario intervenire ancora per poter ripulire e bonificare il sito in via definitiva.


Foto di Giacomo Ghiotto

Il caso ha portato alla ribalta un problema serio che da troppo tempo affligge l'Altopiano dei Sette Comuni: quello dell'inquinamento ambientale e della superficialità con cui è troppo spesso trattato il territorio. Si punta a volte - e giustamente - il dito contro il turista che sporca e lascia cartacce, bottigliette, lattine, spazzatura. Il richiamo al rispetto del territorio da parte di chi vi abita è doveroso e ancor più doveroso è averne riguardo da parte di chi lo frequenta in qualità di ospite. Ma occorrerebbe davvero che fossero i residenti per primi ad avere a cuore la propria terra, ad avere verso di essa un atteggiamento rispettoso perché quella terra, la terra delle radici, è di un valore immenso ed è il bene che verrà lasciato in eredità alle future generazioni

 

"Nel corso della bonifica sono stati raccolti dei campioni di acqua che verranno sottoposti ad analisi chimiche microbiologiche ed ecotossicologiche", precisa in un suo post sul meritorio lavoro svolto Claudio Barbato. "Mi chiamo Fiara, sono acqua, mi vogliono uccidere", recita non a caso lo slogan dell'iniziativa. Se qui ci preme ringraziare quanti si son dati da fare per intervenire nel modo che abbiamo chiarito, vedere che molti abitanti di queste terre sono i primi a non portarvi rispetto - il rischio di inquinamento delle falde acquifere in un terreno caratterizzato dal carsismo come quello altopianese è altissimo, per l'appunto - ci impone di evidenziare il problema e di segnalarne, con questo grido d'allarme, la pericolosità. I tempi sono maturi affinché le cose possano cambiare, ma occorrono consapevolezza e sensibilità che spesso, in nome del profitto, molti non hanno ancora iniziato a dimostrare.

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