60.000 persone sfollate al giorno a causa degli eventi estremi: in Italia coinvolti l'Appennino e diverse regioni alpine
Parlare di cambiamento climatico vuol dire anche parlare di migrazioni, di guerre e persecuzioni, e la seconda giornata di Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, si apre proprio con la pubblicazione di un rapporto dedicato a questo tema, intitolato "No escape", da parte dell'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati. Potrebbe sembrarci un tema lontano dalla nostra regione e dalla nostra quotidianità, ma non è così

Parlare di cambiamento climatico vuol dire anche parlare di migrazioni, di guerre e persecuzioni, e la seconda giornata di Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, si apre proprio con la pubblicazione di un rapporto dedicato a questo tema, intitolato "No escape", da parte dell’UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati.
Il cambiamento climatico sta intensificando le cause che forzano le persone a spostarsi, sia all'interno che all'esterno dei propri confini nazionali. Negli ultimi 10 anni, eventi climatici estremi hanno provocato 220 milioni di sfollati interni, con una media di circa 60.000 persone sfollate al giorno, e molti di questi avvengono in contesti già segnati da fragilità e conflitti. Le persone cercano spesso di rimanere vicino alle loro comunità per poter tornare a casa quando possibile, ma l'aumento dei rischi climatici rende la situazione sempre più precaria per sfollati e comunità ospitanti.
Entro il 2040, si prevede un aumento significativo dei Paesi esposti a pericoli estremi legati al clima, da 3 a ben 65, molti dei quali accolgono popolazioni sfollate. Inoltre, entro il 2050, il numero di giorni di caldo estremo nei campi rifugiati potrebbe raddoppiare, rendendo la vita nei campi ancora più difficile. Il cambiamento climatico ostacola il ritorno delle persone sfollate, e oltre il 70% di loro proviene da Paesi altamente vulnerabili, che hanno una capacità limitata di migliorare la resilienza, minacciando così la possibilità di rientrare in patria.
Nel rapporto (qui la versione completa e qui il riassunto per i politici in italiano), oltre a tanti numeri spaventosi, ci sono delle infografiche molto ben fatte che mostrano la complessità delle relazioni tra sfere della vita umana apparentemente molto lontane, ma che in realtà sono profondamente connesse.

Ecco, quando diciamo che il cambiamento climatico impatta e impatterà sulla maggior parte degli aspetti della nostra vita e di quella di chi verrà dopo di noi, intendiamo (anche) questo.
Ora, idealmente, mi piacerebbe fare una domanda a chi sta leggendo questo articolo, e chiederei: "Pensi che questo rapporto parli anche di te? Quanto ti senti toccato, personalmente, da queste informazioni, o queste proiezioni?". Poi, mostrerei questa mappa, che ho preso in prestito dal documento, e che mostra le popolazioni attualmente sfollate a causa del cambiamento climatico: nella grafica si trovano più dati sovrapposti, ci sono i rischi legati al clima, la localizzazione delle popolazioni sfollate e i conflitti a livello nazionale. Guardando l'Italia e la zona alpina, che sono classificate come zone a moderato rischio climatico, notiamo che gli sfollati si trovano sull'Appennino e in diverse regioni dell'arco alpino. Questo fatto non dovrebbe stupirci, abbiamo tutti bene in mente le immagini delle alluvioni che hanno messo in ginocchio (ripetutamente) le valli dell'Appennino Emiliano Romagnolo.

Allargando lo sguardo notiamo due cose: sia che aree vicine all'Italia, come il Nord Africa, sono fortemente esposte a impatti intensi e a conflitti, che implica delle migrazioni verso, probabilmente, l'Europa del sud e quindi, anche, l'Italia, e poi che anche che le regioni montane di altri continenti sono molto più esposte e molto più sofferenti, da questo punto di vista, rispetto a noi, ad esempio, la regione Himalayana è sottoposta a dei rischi estremi (segnalati dal colore rosso intenso).
Il messaggio del rapporto è chiaro: la crisi climatica non solo costringe le persone a lasciare le proprie case, ma ostacola anche la possibilità di ricostruire le loro vite in sicurezza, minando mezzi di sussistenza, reti sociali e stabilità economica. Gli sfollati si trovano spesso in condizioni di salute precarie, con un aumento di malattie trasmissibili e problemi di salute mentale, e mancano delle risorse per adattarsi ai nuovi ambienti, restando intrappolati in situazioni di vulnerabilità e senza un percorso di recupero stabile.
Di fronte a questo circolo vizioso, soluzioni a lungo termine, come il reinsediamento permanente, il rafforzamento delle comunità ospitanti e l’integrazione dell’adattamento climatico nelle politiche nazionali, sono essenziali. Tuttavia, il mancato rispetto degli impegni climatici globali e il sottofinanziamento delle risorse per l’adattamento stanno aggravando la situazione: l’attuale traiettoria delle emissioni mette il pianeta sulla rotta di un aumento di temperatura tra i 2,6 e i 3,1°C, minacciando l’abitabilità di intere regioni e aumentando la vulnerabilità delle comunità sfollate.

Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)