Contenuto sponsorizzato
Cultura | 07 gennaio | 21:05

Montagna di serie A e montagne di serie B

Per presentare L'AltraMontagna, il curatore del portale Pietro Lacasella ha intervistato i componenti del comitato scientifico. 

Qui di seguito l'intervista a Mauro Varotto.

scritto da Redazione

Per presentare L'AltraMontagna, il curatore del portale Pietro Lacasella ha intervistato i componenti del comitato scientifico. 

Qui di seguito l'intervista a Mauro Varotto, docente di Geografia culturale all’Università di Padova.

 

In Italia, a montagne considerate di serie A, ricche di infrastrutture e servizi ma spesso afflitte da politiche che tendono a lasciare nel territorio cicatrici indelebili, si alternano montagne considerate di serie B, dimenticate da tutto e da tutti assieme ai loro ormai rari abitanti. Queste ultime vengono da molti percepite come dei luoghi di transizione da attraversare il più rapidamente possibile per raggiungere quella che dalle agenzie turistiche viene presentata come la “vera montagna”.
In realtà questi territori di mezzo hanno tanto da offrire, sia in ottica turistica, ma soprattutto perché consentono di immaginare modelli sociali capaci di dialogare con il territorio senza consumarlo.
Allo stato attuale, ci sono le condizioni politiche e culturali per incominciare a pensare a un’
AltraMontagna?

 

Oggi la “montagna di serie A” è quella turistica, al servizio del divertimento e del tempo libero urbano: è un’idea molto coloniale di montagna, costretta ad inseguire le mode del momento e i gusti del cittadino: deve avere neve anche quando non ce n’è, deve avere i panorami mozzafiato, il foliage con le giuste tonalità, tavole imbandite di prodotti tipici di contrabbando (quasi sempre da filiere industriali riverniciate di tradizionalità), la natura incontaminata sinonimo solo di animali selvatici (che però quando diventano troppo selvatici e quindi pericolosi vanno abbattuti). La “montagna di serie B” è la montagna senza maiuscola, quella che non aderisce agli stereotipi urbani e non è al servizio solo del turista: è una montagna declinata al plurale, perché ospita e risponde ad esigenze diverse, articolate, non è figlia del pensiero unico, ma del pensiero complesso. E ogni pensiero complesso rifugge dalle semplificazioni, allena alla diversità e alle sue sfumature, impone delle mediazioni: più che una retta (orizzontale o verticale) è una “diagonale” che attraversa la realtà con traiettorie oblique. Ho dato a questo spazio ideale di mediazione il nome di “montagne di mezzo” proprio per suggerire un’idea di montagna nuova, che possa scrollarsi di dosso l’idea di montagna marginale, perdente, che spesso non è condizione oggettiva, ma destino imposto da modelli esogeni, da una congiuntura e da un pensiero economico dominanti. Questo per dire che le montagne di serie B non devono agognare a diventare montagne di serie A rincorrendo gli attuali modelli di sviluppo turistico concentrato, standardizzato e specializzato ecologicamente insostenibili e culturalmente poveri: devono trovare la loro via, una “terza via” tra l’abbandono e lo sfruttamento. Io credo che negli ultimi anni i segnali in questa direzione si siano moltiplicati: non sono ancora mainstream, certo, ma sono semi destinati nel tempo a germogliare, a crescere, anche grazie a strumenti di comunicazione e riflessione culturale come l’AltraMontagna, che per definizione non potrà mai essere pensiero egemone, semplicemente un’alternativa possibile, e speriamo anche più facilmente praticabile. Se questo pensiero fa breccia nella cultura, può diventare proposta politica.

 

Spesso si parla di cambio di rotta migratorio, di un’inversione di tendenza originata da un timido ripopolamento di alcune aree delle Alpi e degli Appennini. Si può già considerare un trend, oppure si tratta ancora di realtà sporadiche? E soprattutto, i flussi che salgono verso l’alto riescono a compensare quelli che scendono in pianura?

 

Credo che siamo alla vigilia di un mutamento epocale per la montagna, che tuttavia va attentamente gestito, come ogni periodo di trasformazione e rivoluzione. In fondo la montagna è stata abitata da millenni: solo nell’ultimo secolo ha visto un declino demografico che ha concentrato la popolazione nelle città, svuotando i versanti in assoluta e inedita controtendenza con il dato climatico: non era mai avvenuto in passato nei periodi “caldi”. Si tratta di una parentesi relativamente breve che a mio avviso è destinata prima o poi a chiudersi: l’homo vivens ha progressivamente ceduto il passo all’homo videns e si è messo al servizio dell’homo ludens, ma il cerchio prima o poi è destinato a chiudersi, riportando l’homo vivens al centro della montagna. Lo richiede la montagna stessa, che per essere abitata e vivibile richiede cura e manutenzione; lo richiede il turismo, che cerca sempre di più esperienze autentiche dopo la sbornia della montagna disneyana; lo richiede il pianeta, con gli allarmi crescenti sulle conseguenze del cambiamento climatico; lo richiedono gli stessi cittadini, che iniziano a dare segnali crescenti di insofferenza per il modello di vita urbano (si vedano in proposito i primi risultati dell’indagine condotta dal progetto Miclimi: https://www.miclimi.it/). Ma tutto questo richiede un percorso di formazione, maturazione, educazione alla montagna che ancora manca, e deve evitare l’effetto catapulta: gente scaraventata in quota per sfuggire magari al caldo estivo o allo stress, ma senza una vera consapevolezza di ciò che significa abitare e vivere la montagna. Ricordiamoci sempre che la montagna non è mai un vuoto da riempire, ma un pieno da gestire. Il ripopolamento della montagna richiede un accompagnamento, una ri-alfabetizzazione, direi quasi un percorso iniziatico, che apre a nuove relazioni e direzioni dell’abitare, che oggi fanno strada anche con parole nuove come la restanza, i ritornanti, l’abitare politopico o multidwelling, la metromontagna, che fanno della montagna il perno, il baricentro, ma al tempo stesso costruiscono un nuovo patto tra terre alte e terre basse, tra ruralità e urbanità.

l'autore
Mauro Varotto

È professore ordinario di Geografia all'Università di Padova. 
Ha all'attivo collaborazioni con il Club Alpino Italiano (coordinatore nazionale del Gruppo Terre Alte del Comitato Scientifico Centrale dal 2008 al 2022), Rete Montagna - Alpine Network (membro del Comitato Scientifico), ITLA - Alleanza Italiana per i Paesaggi terrazzati (membro Comitato Direttivo). Tra le sue pubblicazioni: La montagna che torna a vivere (Nuova Dimensione, 2013); Montagne del Novecento (Cierre, 2017); Montagne di mezzo. Una nuova geografia (Einaudi 2020).

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Cultura
| 21 gennaio | 08:15
Durante il discorso di insediamento, ha promesso che il monte Denali (con i suoi 6190 metri d'altezza il più alto del Paese) tornerà a chiamarsi come stabilito nel 1917. Ecco i motivi
Idee
| 21 gennaio | 06:00
Promosso dal gruppo di lavoro Terre Alte del Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano e giunto nel 2025 alla quarta edizione, il premio chiede alle sezioni CAI di segnalare figure emblematiche nel preservare saperi e tradizioni dei paesi montani
Ambiente
| 20 gennaio | 19:19
 Specialmente tra la dorsale abruzzese e quella umbro marchigiana abbiam vissuto dei valori termici davvero molto bassi, con temperature che a 2000 metri hanno sfiorato anche i -12°C. Nel video siamo sul Vettore (Parco Nazionale dei Monti Sibillini immortalato da Paoloantonio D’Ettorre)
Contenuto sponsorizzato