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Ambiente | 11 gennaio | 18:00

Conoscete il bosco chiamato "fata"? Non c'entrano maghi e folletti, ma un albero affascinante, utilizzato fin dalla preistoria

Alberi dimenticati #02 / ForestPaola ci conduce alla scoperta di un albero, chiamato anche "della morte”, utilizzato fin dalla preistoria per realizzare archi e caratteristico di una particolare formazione forestale

scritto da Paola Barducci

Che confusione genera questa specie! Ogni volta che ne parlo qualcuno resta interdetto, pensando sia pronta a raccontare del timido animale oppure, stranamente per un forestale, dell’interesse applicato a qualche capitale. Ma io sgombro sempre il campo - anzi, il bosco - da ogni dubbio e inizio a parlare di questa pianta che spesso riscontro come siepe ornamentale o più difficilmente nelle fresche faggete.

 

Il tasso, come specie vegetale (Taxus baccata L.), è generalmente un piccolo alberello che raggiunge i 10-15 metri di altezza, solo occasionalmente supera i 20 metri e presenta una tipica corteccia rosso-brunastra che si sfalda longitudinalmente a maturità. Le sue foglie sono aghiformi ma appiattite, lunghe circa 3 centimetri e larghe 0,5, e sono “mucronate”, cioè possiedono una puntina terminale.

Queste due caratteristiche fondamentali - la corteccia rossa e la punta sull’ago - sono i tratti distintivi per fugare qualsiasi dubbio sulla specie che qualcuno erroneamente potrebbe confondere con l’abete bianco. E guai a sbagliarsi, perché se gli aghi dell’abete bianco sono edibili (a primavera i getti giovanili sono teneri e di colore verde chiaro), è meglio evitare quelli del tasso: infatti questa specie non a caso è chiamata “l’albero della morte”, perché possiede in tutte le sue parti una sostanza altamente tossica: la tassina. Resto quindi spesso interdetta quando vedo questo alberello utilizzato come siepe ornamentale, talvolta anche nei giardini delle scuole!

Solo l’arillo, quello strano frutto (che frutto non è) di colore rosso e consistenza gommosa è edibile ma, testato per voi, non vale la pena di rischiare di masticare anche il mortale seme, meglio lasciarlo ad alcune specie di uccelli che ne vanno davvero ghiotti.

Perché ho scritto che non è un frutto? Perché questa specie appartiene alla divisione delle Gimnosperme (quelle che i comuni mortali non botanici chiamano conifere e i bambini aghifoglie) e in questa categoria di piante non si può parlare di frutto, che per definizione è il risultato dell’ingrossamento dell’ovario nel fiore. Eh no, se volete essere amici di botanici e forestali mai menzionare la parola frutto abbinata ad abeti, pini, e appunto tassi.

 

Il tasso è un albero a crescita lentissima ma molto longevo, pensate che ci sono individui anche con età superiore a 1000 anni! Il suo legno ha una differenziazione nel colore presentando un alburno (la parte esterna) più chiaro e un durame (la parte interna) di colore rossastro. Un tempo veniva ricercato per la costruzione di archi, avendo un legno duro ma molto elastico. Persino Ötzi, la mummia del Similaun, un uomo vissuto circa 5.000 anni fa, aveva con sé un arco di tasso!

Ma sapete cosa rende davvero felice un forestale? Trovare una faggeta con sparsi soggetti di tasso sotto copertura (sì perché è una specie sciafila, tollerante cioè l’ombra di altre piante): è così bello questo ambiente che il mondo forestale gli ha dato un acronimo speciale e lo ha chiamato FATA. Attenzione, non è che ritroverete maghi e folletti in questo bosco! Si tratta bensì dell’unione del nome FAggio con TAsso. Un tipo di bosco che a questo punto dovete andare a cercare, per la bellezza della foresta che ne scaturisce.

 

Che ambiente “fatato” la... FATA!

 

 

Qui, dal Blog di Luigi Torreggiani, un altro articolo dedicato al tasso.

 

Foto di: Alain Gérard e Luigi Torreggiani (copertina), Daniel Cahen (1), Luigi Torreggiani (2), N. Teerink (3), Museo Archeologico dell'Alto Adige (4).

l'autore
Paola Barducci - "ForestPaola"

Dottoressa forestale libera professionista e Accompagnatrice di territorio del Trentino.

Nata a Firenze, vive in Trentino nella piccola Valle dei Mòcheni. Qui si occupa di boschi 365 giorni all'anno, per questo tutti ormai la chiamano solo "Forest".

Racconta la sua vita nella media montagna, il suo duplice lavoro di dottoressa forestale e di divulgatrice ambientale, il tutto sempre con un sorriso.

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