A tu per tu con il "gatto dei boschi": com'è nata, un po' per caso, una fotografia tanto sognata

Cronache di un fotografo naturalista #01 / Il naturalista e fotografo Giacomo Radi ci accompagna nei boschi delle Colline Metallifere per inaugurare la sua rubrica su L’AltraMontagna. In questa prima storia ci parla di un elusivo abitante delle nostre foreste: il gatto selvatico europeo

Una giornata tersa di fine febbraio, una luce anonima come un foglio bianco da riempire. Inizia così questa storia, tra le cerrete spoglie che coprono le Colline Metallifere, un paese arroccato sul calcare e due protagonisti inconsapevoli. Uno di loro ero io.
Amo molto i ritmi della natura per la routine che di anno in anno ripropongono: le migrazioni, le fioriture, la mutazione dei colori. Una ciclicità che, da vero e fiero abitudinario, mi fa sentire bene. Tra le mie abitudini ce n’è una che assomiglia ormai più a una tradizione, quella di recarmi ogni inverno nei paesi medievali arroccati sulle colline maremmane, che diventano il palcoscenico rupestre di specie di uccelli che normalmente in estate dominano le vette montane e che portano con loro l’inverno.
Nell’immobilità della quiete paesana sento il richiamo del codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros), che si affaccia dai tetti per osservare me, lo straniero. Alzo lo sguardo e scorgo il volo sfarfallante di un picchio muraiolo (Tichodroma muraria), che si mette frenetico alla ricerca di cibo tra le crepe della vecchia chiesa. Ma la mia attenzione, quel giorno, è rivolta a un uccello che non si vede spesso in una valle che affaccia sul mare com’è quella in cui vivo.

Sto parlando del sordone (Prunella collaris), che non si fa attendere e che appare spavaldo di fronte al mio obiettivo. Fa tenerezza la fiducia con cui questi uccelli si avvicinano all’uomo, tanto che da ragazzino mi ero fatto l’idea che il loro nome comune derivasse proprio da questo comportamento, come se fossero sordi di fronte al pericolo. In realtà il nome deriva dal loro stesso canto, che viene descritto come smorzato, sordo appunto. Non mi trovo d’accordo con chi ha avuto questa suggestione, perché il canto dei sordoni è sì delicato e tenue, ma riccamente melodioso.

Questa storia sarebbe potuta finire così, con questo bottino fotografico racimolato più velocemente del previsto. Eppure, quando una storia sembra giunta al termine spesso è appena iniziata; una storia non più ordinaria per un colpo di scena che non dimenticherò mai. Una fine che è un inizio e comincia con me che ripongo lo zaino fotografico sul retro dell’auto e guadagno la via del ritorno e la vista del mare.
Superate le curve che cingono il monte come una corona, in mezzo alla carreggiata compare l’altro protagonista di questa storia. Mi è già capitato di incontrarlo in passato e questo mi ha permesso di identificarlo con facilità: un maschio di gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), uno dei mammiferi più elusivi della nostra fauna. Lo sbigottimento iniziale si trasforma in trepidazione e mi porta di getto a cercare con la mano la fotocamera, che giace però nelle tenebre del bagagliaio… assieme alla mia disperazione.

Ci osserviamo per qualche istante, ma lui con due balzi scompare come uno spettro perdendosi fra le trame del bosco. La storia sarebbe potuta finire qui per una seconda volta e invece eccoci di fronte a un terzo inizio: qualche volta è necessario forzare il colpo di scena e andarselo a cercare, lasciando la strada vecchia per quella nuova. Mi fermo due chilometri più avanti, prendo la fotocamera, torno sui miei passi ed eccolo comparire di nuovo sul ciglio della strada, bello e possibile.
L’intuito mi ha portato a pensare che quell’uscita di scena fosse stata indotta dalla mia presenza e che la sua intenzione fosse quella di percorrere un altro sentiero. Questi due ritorni - il mio e il suo - ci hanno visti l’uno di fronte all’altro per la seconda volta in pochissimo tempo. Fermo l’auto alla sua vista e procedo a piedi, fotocamera alla mano, avvicinandomi piano. Il gatto è rapito dal brulicare dei merli e sembra non curarsi affatto della mia presenza. Forse sono il suo “primo umano” e non mi riconosce come un pericolo. Inizio a scattare tremante per l’emozione, mentre il micio attraversa la strada e con un salto raggiunge il bosco.
Avere la certezza assoluta di trovarsi di fronte a un gatto selvatico “puro” è impossibile senza analisi genetiche di conferma, a causa di possibili introgressioni dovute a ibridazione con il gatto domestico. Però alcuni caratteri diagnostici visibili permettono di stilare un identikit per il riconoscimento di questa specie. Alcuni di questi caratteri sono: il rinario - ossia la parte umida del naso che si chiama comunemente tartufo - contornato di nero; la striatura evanescente sui fianchi; una stria dorsale centrale che decorre dalle scapole lungo la schiena, terminando prima della coda; una coda clavata con anelli in numero variabile e con apice nero. Ma c’è un carattere peculiare, che non risulta certamente empirico: il gatto selvatico ha un portamento e un’andatura che non ricordano quelli del gatto domestico. Potremmo dire che il gatto selvatico ha uno “stile” tutto suo.

La stagione riproduttiva di questo predatore si svolge nel periodo invernale, da gennaio a marzo, ed è probabile che anche l’individuo che ho incontrato fosse occupato alla ricerca di una femmina in estro, annusandone l’odore nell’aria e disinteressandosi alla mia ingombrante presenza. Nel momento del nostro incontro i gatti selvatici sono molto attivi e percorrono lunghe distanze alla ricerca di una partner, generalmente nell’areale che occupano. I maschi hanno un territorio che va dai 600 ai 3.000 ettari e può sovrapporsi a quello di una o più femmine che hanno areali più piccoli, da 300 a 900 ettari circa. Per questo, il fatto di averlo visto ora, così allo scoperto, non è un caso. Il gatto selvatico è una specie in espansione, in particolare lungo l’arco appenninico nord-occidentale e lungo l’arco alpino. L’aumento dei boschi anche sulle Colline Metallifere, un tempo molto più spoglie a causa dell’attività agricola e pastorale e di quella mineraria, ha probabilmente contribuito all’aumento del loro numero.
Nonostante lo stato positivo di questa specie in Italia, ci sono comunque molti potenziali pericoli che minano la sua conservazione. Tra questi, direttamente correlato all’espansione del suo areale, è la possibilità sempre maggiore di ibridarsi con gatti domestici e, non per ultima, anche la mortalità stradale.
Raggiunto il bosco, il gatto è visibilmente a suo agio e sembra volermi regalare il suo sguardo, una delle più belle visioni che ho avuto la fortuna di poter osservare in natura. Con l’ultima luce che filtra tra i cerri, si piazza su una pietra ricoperta di muschio, si accovaccia e si volta verso di me, permettendomi di scattare la foto che avevo tanto agognato. Sul cielo, la falce della luna è ora più luminosa e la luce azzurra investe la cerreta. È ora di rientrare a casa.

Per aiutare la ricerca su questa specie, segnalo il progetto di citizen science “Gatto selvatico Italia”, capitanato dal Museo di Storia Naturale della Maremma.

Naturalista e fotografo di natura. Si occupa di divulgazione scientifico-naturalistica, conservazione della natura e realizzazione di progetti legati alla tutela e promozione della biodiversità. Ideatore e direttore scientifico della rassegna “Le notti della natura” per i comuni di Scarlino, Follonica, Gavorrano e Parco nazionale delle colline metallifere (GR). Collabora con il Museo di Storia Naturale della Maremma e come esperto al programma GEO (Rai 3). Ha pubblicato per Quercuslibris “Di malerbe, tritoni, lucciole e altre storie”, un volume di racconti e fotografie.