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Ambiente | 01 ottobre | 06:00

Uno scienziato nato ai piedi dell'Everest. Tenzing Chogyal Sherpa racconta il rapporto tra crisi climatica e comunità di montagna

I ghiacciai dell’Himalaya si stanno ritirando a un ritmo allarmante. Secondo recenti valutazioni, entro la fine del secolo potrebbero perdere fino all’80% del loro volume. La visione e la storia di Tenzing Chogyal Sherpa, cresciuto a Namche Bazaar e oggi scienziato e analista della criosfera

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Tenzing Chogyal Sherpa è cresciuto a Namche Bazaar, una cittadina arroccata su un versante dell’Himalaya nepalese, conosciuta come la porta d'accesso alla vetta più alta del mondo: l’Everest. Per lui, da bambino, quella valle lussureggiante incorniciata da imponenti montagne era semplicemente casa.

 

Oggi, come scienziato e analista della criosfera presso l’International Centre for Integrated Mountain Development, Chogyal osserva con preoccupazione come quell’ambiente stia subendo cambiamenti rapidi e drammatici a causa del riscaldamento globale.

 

I ghiacciai dell’Hindu Kush Himalaya, una catena montuosa che attraversa otto Paesi asiatici, tra cui il Nepal, stanno scomparendo a un ritmo allarmante. Secondo recenti valutazioni, entro la fine del secolo questi ghiacciai potrebbero perdere fino all’80% del loro volume: un arretramento che non solo minaccia le risorse idriche e la biodiversità della regione, ma mette in pericolo anche le vite delle comunità montane che da secoli abitano queste zone.

Le comunità di montagna hanno spesso dovuto essere capaci di adattarsi alle difficoltà e di vivere in armonia con l’ambiente ostile ma affascinante delle alte quote. Gli sherpa, popolo di origine tibetana che da generazioni abita l’area intorno all’Everest, hanno sviluppato un modo di vita che si fonde con la montagna. La loro è una storia di pastorizia, commercio e alpinismo, che si intreccia con la spiritualità buddista che attribuisce un valore sacro ai paesaggi montani, alle vette innevate e ai laghi glaciali, che diventano dimora di divinità e spiriti.

 

Ma oggi, come racconta Chogyal in un'intervista per il magazine britannico Atmos, il cambiamento climatico sta alterando radicalmente questo equilibrio: il surriscaldamento sta fondendo i ghiacci che per secoli hanno alimentato fiumi e laghi, alterando le stagioni e mettendo a rischio l’agricoltura e il turismo, le principali fonti di sostentamento per queste popolazioni. E così, lo stesso paesaggio che il nonno di Chogyal, Kanchha Sherpa, attraversò per scalare l’Everest come uno dei membri della spedizione di Sir Edmund Hillary nel 1953, oggi è profondamente cambiato.

 

Per Chogyal, che ha studiato scienze ambientali e ora lavora per sensibilizzare la sua comunità sui rischi del cambiamento climatico, si tratta di una missione personale: la sua città natale, il suo stile di vita e il futuro stesso del popolo sherpa sono a rischio.

 

Uno dei pericoli più imminenti è rappresentato dai laghi glaciali, quei bacini d’acqua che si formano a causa della fusione dei ghiacciai e che rischiano di esondare, ad esempio in seguito a terremoti o frane, causando devastanti inondazioni. Questo tipo di eventi estremi sta già diventando più frequente, abbiamo già assistito a diversi esempi nel corso dell'estate 2024, ed è destinato ad aumentare.

 

Nel tentativo di mitigare questi rischi, il Nepal ha investito negli ultimi anni in sistemi di monitoraggio e allarme precoce per i laghi glaciali. Tecnologie moderne, come i sensori e i droni, vengono utilizzate per tracciare il livello dell’acqua e prevedere eventuali esplosioni. Ma, come sottolinea Chogyal, queste misure non sono sufficienti a eliminare il rischio. La soluzione a lungo termine deve necessariamente passare attraverso un’azione globale per ridurre le emissioni di gas serra.

Ora, nonostante i gravi rischi che si trovano ad affrontare, le comunità montane sono spesso invisibili nel dibattito internazionale sul cambiamento climatico. Gli sherpa, ad esempio, rappresentano solo l’1% della popolazione nepalese e vivono in regioni remote e difficilmente accessibili.

 

Tuttavia, grazie all’attivismo di persone come Chogyal, queste voci stanno iniziando a farsi sentire. Durante il One Planet Polar Summit, ad esempio, il video che raccontava la storia della sua famiglia e dei ghiacciai himalayani è stato proiettato davanti a capi di Stato e leader internazionali.

 

Come spesso accade quando si parla di cambiamento climatico, le popolazioni montane non sono solo vittime del cambiamento climatico, ma anche custodi di un sapere ancestrale che può offrire soluzioni importanti: la saggezza indigena, basata su una profonda connessione con la natura, può essere complementare alla scienza moderna nel trovare vie sostenibili per adattarsi ai cambiamenti in corso.

 

Nonostante le sfide, c’è ancora speranza. In molte parti del mondo, dalle Alpi europee all’Himalaya, si stanno sperimentando soluzioni innovative per affrontare la crisi climatica. In Ladakh, ad esempio, gli ingegneri locali stanno costruendo “stupa di ghiaccio”, ghiacciai artificiali creati per immagazzinare acqua durante i mesi invernali e rilasciarla in primavera, quando la siccità colpisce le comunità (di cui abbiamo parlato qui).

E così, anche a Namche Bazaar, il sogno di Chogyal è quello di coinvolgere la sua comunità nella scienza, formando una rete di citizen science in grado di raccogliere dati e mettere in atto misure di adattamento climatico. È una visione che Kanchha Sherpa, il nonno ormai novantenne, sostiene pienamente, vedendo nel nipote un ponte tra passato e futuro, tra spiritualità e scienza.

 

Le montagne, come dice Chogyal, stanno cambiando, ma le comunità che le abitano hanno la capacità e la determinazione di adattarsi, purché il mondo non le lasci sole in questa lotta.

 

E anche per questo motivo è importante aiutare e favorire la partecipazione di rappresentanti di comunità come quella di Namche Bazaar a processi partecipativi come le Conferenze per il Clima delle Nazioni Unite, le cosiddette Cop, luoghi preziosi dove si porta avanti la cooperazione climatica e, insieme, si capisce come affrontare le conseguenze del surriscaldamento globale.

 

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