"Come abbiamo ricostruito il calo del manto nevoso negli ultimi sei secoli": il climatologo Michele Brunetti ospite del podcast "Un quarto d'ora per acclimatarsi"

Approfondiamo il tema della ricostruzione dell'andamento del manto nevoso nelle Alpi negli ultimi sei secoli insieme a Michele Brunetti, climatologo, ospite della nuova puntata di Un quarto d'ora per acclimatarsi, il podcast de L'AltraMontagna che approfondisce i problemi ambientali e sociali sperimentati dalle terre alte tramite la voce di chi le vive, le affronta e le studia

di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Negli ultimi mesi, così come era accaduto anche lo scorso inverno, abbiamo vissuto con angoscia l’assenza di neve, la lunga attesa del suo arrivo, le alte temperature che la rendevano pioggia. Fortunatamente, marzo è iniziato con una perturbazione che ha portato copiose nevicate sull’intero arco alpino, facendoci tirare un parziale sospiro di sollievo, dato che la situazione in Appennino rimane ancora molto preoccupante.
Nella nuova puntata di “Un quarto d’ora per acclimatarsi” abbiamo ragionato su questo tema guardando la cosiddetta big picture, approfondendo come la precipitazione nevosa sia cambiata negli ultimi secoli sull’arco alpino, grazie al contributo di Michele Brunetti, ricercatore dell’Istituto delle Scienze Atmosferiche e del Clima del Cnr di Bologna.
Brunetti è uno degli autori di un articolo uscito l’anno scorso su Nature Climate Change dal titolo “Il recente calo del manto nevoso sulle Alpi non ha precedenti negli ultimi sei secoli”, la cui uscita ha avuto una risonanza notevole, e che in un anno ha totalizzato più di 17mila accessi, un numero che testimonia l’enorme interesse verso questo tema.
Negli ultimi decenni la copertura nevosa è andata significativamente calando, ma tutti i lavori pubblicati su questo tema sono sempre stati basati su osservazioni dirette e dunque sui dati raccolti da stazioni meteorologiche, che chiaramente riescono a ricostruire solamente fino circa un secolo e mezzo fa le serie storiche. “Noi abbiamo individuato una misura indiretta della copertura nevosa, in modo da poter estendere il monitoraggio a più secoli e quindi inquadrare la recente variazione in un contesto di molto più lungo periodo” spiega Brunetti.
Ciò che i ricercatori sono riusciti a scoprire, come si evince dal titolo del lavoro pubblicato, è proprio che “a cominciare dalla fine dell'Ottocento c'è stato un forte calo che ha portato a una riduzione di oltre un mese la permanenza del manto nevoso al suolo con l'ultimo ventennio che è caratterizzato dalla durata più breve della neve al suolo”.

Oltre ai risultati, la ricerca ha attratto notevole interesse anche per le innovative tecniche utilizzate, che hanno sfruttato per la prima volta gli anelli di accrescimento di un arbusto, il ginepro, come misura indiretta. Brunetti spiega che il ginepro è “un arbusto che alle quote dei siti considerati, intorno ai 2000 metri, cresce in modo prostrato, ovvero si eleva a pochi centimetri da terra e d'inverno rimane sepolto dalla neve. Fino a quando il manto nevoso non fonde completamente, non riemerge e non vede la luce solare quindi non parte la sua stagione vegetativa”. Proprio la connessione tra la permanenza della neve al suolo e la durata della stagione vegetativa è alla base dell’utilizzo del ginepro per ricostruire le serie storiche in questione.

Lo studio degli anelli di accrescimento degli alberi, la dendrometria (dal greco dendron, albero, e mètron, misura) è una tecnica molto utilizzata in paleoclimatologia, la branca della climatologia che si occupa della ricostruzione del clima terrestre in tempi antichi, di cui Brunetti è esperto. "La paleoclimatologia si appoggia a misure indirette, i cosiddetti proxy che sono un surrogato delle variabili che solitamente studiamo con i dati strumentali - spiega Brunetti - e ne esistono molte tipologie, oltre alla dendrometria: si possono sfruttare i pollini, cercando delle trappole naturali dove questi rimangono incastrati, come le torbiere, oppure i ghiacciai, tramite l'analisi delle famose carote di ghiaccio, che costituiscono una vera e propria fotografia della composizione dell'atmosfera anno dopo anno".
L'area di studio selezionata insieme ai colleghi dell'Università di Padova, spiega il ricercatore, è la Val Ventina, nell'alta Valmalenco: "Una valle stupenda, che è un vero e proprio museo a cielo aperto. Lì abbiamo recuperato, un migliaio di campioni nell'arco di quattro anni". Se vi state chiedendo il perchè di così tanti campioni, è "perché è una pianta molto difficile da trattare: gli anelli sono sottilissimi, pochi decimi di millimetri e spesso è fatica datarli. E infatti di quei più di mille campioni alla fine ne sono stati utilizzati 572. Questi hanno permesso di costruire una robusta cronologia di oltre 600 anni di durata".
La tecnica utilizzata, ha anche importanti "prospettive future perché il ginepro è l'arbusto più diffuso nell'emisfero settentrionale ed è molto longevo, quindi l'applicazione di questa tecnica in altri siti è fattibile e auspicabile".
Qui è possibile ascoltare la puntata, disponibile anche su tutte le principali piattaforme podcast (Spotify, Apple e Google Podcast, Audible):