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Cristian Pasquato segna e fa sognare il Campodarsego. "Ho 35 anni, ma ho ancora lo spirito del bimbo che sogna. Il Trento? Nemmeno una telefonata quando è finita"

Con il Campodarsego Pasquato ha già realizzato 10 reti (senza rigori) in campionato più due in Coppa Italia. E' il capocannoniere del girone C di serie D. "A Trento ho trascorso tre anni di vita: avrei voluto raggiungere le 100 presenze, ero molto vicino, ma mi è stato impedito. Pace, peccato. Ho creato tante amicizie, dentro e fuori dal campo, che resteranno per sempre. E questa è la cosa più importante"

Di Daniele Loss - 12 dicembre 2024 - 13:10

PADOVA. Una seconda giovinezza. Anzi no, perché lui non si è mai sentito né "vecchio", né "superato" e, tanto meno, "non all'altezza" della serie C. I numeri nel calcio non mentono mai e, allora, a 35 anni Cristian Pasquato continua a disegnare calcio e a far piangere i portieri avversari: sì, perché quando prende palla ai venti metri dalla porta c'è da aver paura per gli avversari. Ancora di più se si tratta di un calcio piazzato.

 

Come ha fatto negli ultimi tre anni a Trento, adesso "El Diez" lo fa in serie D con la maglia del Campodarsego, di cui è capitano, bomber (10 reti in campionato, senza rigori, più 2 gol in Coppa Italia) e leader indiscusso. La compagine biancorossa è terza in classifica nel girone C - lo stesso del Lavis - a sole tre lunghezze di distanza dalla capolista Dolomiti Bellunesi e a meno due dal Treviso dell'ex direttore sportivo gialloblù Attilio Gementi, che la scorsa estate ha provato a portarlo al "Tenni", senza però riuscirci. Insomma, per la promozione tra i "pro" c'è anche la compagine patavina con Pasquato che, a dispetto della carta d'identità, ha ancora voglia di giocare tra i professionisti.

 

"E' il mio obiettivo - racconta a Il Dolomiti -, perché non ho nessuna intenzione di smettere, ho piena consapevolezza delle mie capacità e della mia forma fisica e, dunque, perché non dovrei avere quest'ambizione? So di poter stare ancora in serie C, senza dubbio e ci sarei rimasto più che volentieri, ma a Trento non mi è stata data la possibilità e, allora, con il Campodarsego lotteremo per raggiungere tale traguardo. Rispetto a Dolomiti Bellunesi e Treviso la nostra è una rosa un po' più "corta", ma con qualche aggiustamento di mercato e la consapevolezza nei nostri mezzi sono sicuro ce la giocheremo sino alla fine".

A 35 anni, dopo una carriera che l'ha portata a calcare i campi della serie A con Juventus, Lecce e Bologna, della serie B con Empoli, Triestina, Modena, Torino, Padova, Pescara e Livorno, della serie A russa con il Samara e della massima serie polacca con il Legia Varsavia, dove trova gli stimoli per lottare sui campetti "di periferia" della serie D?

"Non tutti sono campetti, perché si gioca anche in qualche stadio importante, però il calcio è stata ed è la mia vita e dentro di me c'è ancora l'entusiasmo di quel bambino che sogna e continuare a "spingere" fortissimo per arrivare sempre in alto. Anzi, il più in alto possibile. Chiamatela "mentalità Juventus" (dove Cristian è cresciuto calcisticamente, ndr) o come volete, ma per me gli stimoli sono sempre massimali. Questa è l'ennesima sfida della mia carriera: non ho vissuto la discesa in serie D come un declassamento, ma come un grandissimo stimolo. Non ho mai pensato "non mi vuole più nessuno" e, dunque, sono "costretto" ad accettare quel che viene. Anche perché non è stato così. Con il Campodarsego ho impiegato dieci minuti per trovare un accordo, e non parlo dell'aspetto economico: ho sottoscritto un accordo pluriennale, c'è un progetto serio, il presidente ha grande entusiasmo, a breve partiranno i lavori per sistemare lo stadio e renderlo a norma per la serie C. Ecco, questi sono i miei stimoli e sono certo di aver fatto la scelta migliore".

 

L'addio con il Trento non è stato proprio indolore.

"Ma, di fatto, come ho già avuto modo dire, non c'è stato alcun "addio", perché nessuno mi ha detto niente, nessuno mi ha chiamato e non ho avuto notizie. Faccio parte di questo mondo da tanti anni, sono perfettamente consapevole che nel calcio molto spesso non esistono né meritocrazia né riconoscenza, ma mi sarei aspettato un comportamento diverso. Le strade possono separarsi, ci mancherebbe, ma c'è modo e modo di farlo. In tre stagioni a Trento ho dato il mio contributo, contribuendo prima al raggiungimento della salvezza ai playout, poi alla salvezza diretta e, infine, all'approdo ai playoff. Ho indossato orgogliosamente e onorato, sempre, la fascia di capitano dell'Aquila e quella di Trento è stata la mia esperienza più lunga in una squadra, visto che mai - prima - ero rimasto per tre stagioni nel medesimo club. Sono tre anni di calcio ma anche di vita: avrei voluto raggiungere le 100 presenze, ero molto vicino, ma mi è stato impedito. Pace, peccato. Ho creato tante amicizie, dentro e fuori dal campo, che resteranno per sempre. E questa è la cosa più importante".

 

Le frizioni erano iniziate a metà stagione, dopo la sconfitta contro il Pergocrema.

"Sì, ma parlai nell'interesse di tutti, esprimendo concetti e dicendo ciò che andava detto in quel momento, per il bene della squadra, senza attaccare nessuno. Qualcuno ci ricamò sopra e anche chi consideravo un amico si è comportato voltandomi le spalle. La cosa venne ingigantita clamorosamente e da quel momento non giocai più, tornando poi in campo quando vi fu il cambio panchina e dando il mio contributo alla causa, come ho sempre fatto, non tirandomi mai indietro e nell'interesse della squadra. Perché, sfido chiunque ad affermare il contrario, ho sempre messo l'interesse comune davanti a tutti i personalismi. In tal senso i fatti parlano per me. E non dallo scorso anno, ma da sempre. Acqua passata".

 

Sarà banale e questa domanda gliela ripetono praticamente ogni giorno. Cosa è stato Alessandro Del Piero per lei?

"Il mio idolo, l'esempio di una vita, con il quale ho avuto la possibilità di giocare e, per questo, mi ritengo molto fortunato. Tra l'altro, siamo entrambi padovani".

 

Andare al Campodarsego ha significato anche tornare a casa e "riassaporare" la routine familiare quotidiana con sua moglie e i figli. La tranquillità personale influisce su rendimento e prestazioni?

"Ho qui a fianco mia moglie Giulia - risponde ridendo - e dunque non posso che dire sì. Scherzi a parte, certamente: ero tranquillo quando ero via da casa, da solo, ma essere qui con le tre persone - più il cane - che mi amano e che amo più di ogni persona al mondo è certamente un aspetto fondamentale. Adesso l'obiettivo è continuare così. Anzi, fare ancora meglio".

Dieci gol, senza battere i rigori, capocannoniere della squadra e del girone. Non male.

"Eh ma ci sono tanti altri attaccanti bravi che "corrono" e spingono, quindi bisogna restare sempre sul pezzo. Sto bene, giochiamo a calcio e la classifica dice che siamo in corsa per un obiettivo importante. E non ci tireremo indietro sicuramente. Anzi, siamo più carichi che mai. Poi il 5 gennaio tornerò in Trentino, per affrontare il Lavis, e spero di rivedere anche qualche amico. Oltre, ovviamente, a conquistare i tre punti".

 

Parla da allenatore, ma pare di capire che non ha alcuna intenzione di smettere di giocare.

"Ah, fosse per me andrei avanti altri 20 anni. Sapete, quando si sta bene fisicamente, ci si diverte tantissimo a giocare, non si sente il peso della fatica e si hanno obiettivi non ha senso smettere. Di quel che sarà dopo ancora non lo so ma, in questo momento, il "dopo" lo vedo ancora molto lontano. Nella mia testa e nelle mie gambe ho ancora tanti traguardi da raggiungere".

 

Chiudiamo con un amarcord "positivo". A Trento ha segnato solamente gol belli, anzi bellissimi. Quello che ricorda con maggiore gioia?

"Uhm, difficile. Il più importante è stato certamente quello all'ultima giornata contro il Novara, che ci ha dato la certezza della salvezza diretta. Il più bello forse la punizione contro la Pro Sesto. Ero lontanissimo e scelsi di calciare non "a giro" ma di potenza, il portiere avversario sembrava insuperabile ma su quella palla non ci arrivò".

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