Dalla guerra del 2012 ai 100.000 sfollati nel 2015. Il Mali, un Paese sotto attacco
Dopo la caduta di Gheddafi armi e soldati hanno invaso il Sahel. Nel Nord tuareg e jihadisti, anche di Al-Qa'ida, spingono per la secessione e Bamako è sotto scacco

Il Dolomiti non è solo un giornale locale: nasce e vive in rete e può quindi permettersi di non darsi confini, di viaggiare sulle ali di internet, sui canali dei social, sui link e le foto condivise con whatsapp dando sfogo a una vocazione internazionale che è sempre più, ormai, patrimonio di tutti.
Una vocazione da coltivare che può dare chiavi di lettura nuove, diverse e permettere di capire anche tanti dei fenomeni che succedono in casa nostra. E se la domenica cercheremo di raccontarvi i grandi eventi del mondo visti con gli occhi dei trentini di prima, seconda o terza generazione che si trovano sul posto o di nuovi-trentini che da qui ci spiegheranno cosa sta succedendo nella loro terra d'origine, oggi comincia un viaggio tutto speciale.
A guidarci è il giornalista di Trento Marco Pontoni che si trova in Mali. Un paese che solo due anni fa si trovava in pieno stato di guerra tra spinte separatiste tuareg e movimenti jihadisti. Quest'ultimi sono nati dallo sciogliersi del regime di Gheddafi in Libia. Con il rovesciamento del regime libico, ex guerriglieri e soprattutto armi e mezzi hanno invaso il Sahel. I tuareg hanno proclamato il loro Stato indipendente, l'Azawad, appoggiandosi ai gruppi di salafiti cresciuti nel deserto, Ansar Dine (Difensori dell'Islam) legati all'Aqmi, la rete di al Qaeda nel Maghreb islamico, e il Mujao (Movimento per l'unicità e il jihad nell'Africa Occidentale).
Nel 2013 l'intervento dei francesi ad appoggiare il presidente maliano Dioncounda Traoré con l'"Opération Serval", di aiuto militare (soprattutto con i bombardamenti aerei) e logistico alle forze del governo maliano. I caccia francesi in pochi giorni a gennaio riescono nell'impresa di distruggere la sede di Al-Qa'ida nel Maghreb islamico a Timbuctu e permettono anche alle truppe franco-maliane la riconquista della città con tanto di visita, il primo febbraio, del presidente Holland.
I combattimenti poi sono proseguiti nel corso dei mesi con anche l'intervento in appoggio della Francia di altre nazioni europee. Il 20 febbraio 2015 il cessate il fuoco ma la nazione è ancora fortemente instabile e i combattimenti tra gruppi armati, soprattutto nelle aree di Gao, Mopti e Timbuktu del nord del paese, si riaccendono ciclicamente come fossero tizzoni sepolti sotto braci sempre pronte ad ardere. A metà 2015 erano più di 100 mila le persone sfollate e meno di un anno fa, il 20 ottobre, è arrivato l'attentato all'hotel Radisson Blu di Bamako, la capitale del Paese dove si trova Marco in questi giorni, che è costato la vita a 27 persone e orchestrato da un'organizzazione jihadista, il gruppo fondato da Mokhtar Belmokhtar, ex comandante di al Qaeda nel Maghreb.
Quattro mesi dopo è toccato all’hotel Nord-Sud che ospita, oltre a numerosi cittadini stranieri, un campo d’addestramento della Eutm, la Missione di formazione dell’Unione Europea in Mali. Ma i morti e gli attentati anche in questo 2016 sono quasi incalcolabili. Solo due giorni fa l'ultima denuncia delle Nazioni Unite che nella regione di Kidal, nel nord del paese, continuerebbero a ripetersi scontri. Scontri che rischiano di far saltare l’accordo di pace tra governo centrale e ribelli tuareg firmato lo scorso giugno. Il riferimento è agli scontri tra gli ex ribelli del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad e i combattenti del gruppo filo-governativo Gatia per il controllo della città di Kidal.
La missione - prosegue il comunicato della Nato - ha espresso preoccupazione per i sospetti casi di violazione dei diritti umani e ha definito inaccettabile il blocco degli aiuti umanitari, che priva le popolazioni beneficiarie dei loro diritti fondamentali. Ma non è tutto. Anche nella capitale Bamako, dove si trova in questi giorni Marco, la situazione è piuttosto tesa. In Mali, tra i tanti soldati stranieri presenti, ci sono anche 12 militari italiani dislocati in zone diverse (a marzo 3 erano a Bamako).