“Per i siriani la caduta di Assad è l’Indipendence Day: il loro entusiasmo è genuino, speriamo non venga tradito”. Da Idlib il racconto di una volontaria
Arianna Martini da oltre 10 anni lavora in Siria, nella zona di Idlib, con la sua onlus Support and sustain children: “L’entusiasmo dei siriani oggi è comprensibile, si guarda al futuro con ottimismo. La speranza è che quell’entusiasmo non venga tradito”

IDLIB. Da Idlib ad Aleppo, poi l’avanzata prima verso Hama e fino a Homs, infine la presa della capitale, Damasco. L’operazione dei gruppi ribelli anti-assadisti in Siria, guidati da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), è stata fulminea e ha portato nel giro di nemmeno due settimane (l’offensiva è iniziata il 27 novembre, i ribelli sono entrati a Damasco tra il 7 e l’8 dicembre) alla caduta di un regime, quello degli Assad, al potere ininterrottamente dal 1971. Fuori dalla Siria, per molti la rapidissima offensiva dei gruppi ribelli è stata completamente inaspettata, ma in particolare nella zona di Idlib, da anni la roccaforte di Abu Mohammed al-Jolani e del suo gruppo (Hts), i segnali che qualcosa di grosso stava per succedere si percepivano da diversi mesi.
A raccontarlo a il Dolomiti è Arianna Martini, presidente di Support and sustain children, una onlus attiva dal 2013 e che opera proprio nella zona di Idlib per fornire supporto alla popolazione locale, colpita dalla prima fase della Guerra civile siriana, dai bombardamenti del regime di Damasco e, lo scorso anno, dal devastante terremoto che ha colpito la fascia di confine tra Siria e Turchia (causando circa 60mila vittime, Qui avevamo raccontato le attività di supporto di alcuni volontari trentini nella zona). “Dall’agosto di quest’anno – dice – ci siamo accorti che qualcosa stava cambiando. Da oltre 10 anni, come realtà assolutamente apolitica, operiamo nell’area, inizialmente fornendo supporto materiale diretto (tende, cibo, acqua, medicinali, latte in polvere) e poi riuscendo a strutturare progetti di più ampio respiro come cliniche, health point e un centro di protezione per le donne. Rispetto a prima, verso la fine dell’estate abbiamo percepito che la situazione si stava inasprendo: i checkpoint militari si sono fatti più frequenti, le autorità ci hanno chiesto di evitare diverse aree. È difficile da spiegare, ma si percepiva la crescente insoddisfazione della popolazione e parallelamente l’aumentare della tensione”.
L’offensiva, non a caso, è arrivata in una fase di grande fatica, o debolezza, per i più importanti partner del regime assadista: la Russia, impegnata nella sua guerra d’invasione in Ucraina, l’Iran e il suo più importante proxy nell’area, Hezbollah, nel conflitto con Israele. L’avanzata dei ribelli, guidati da Hts e al-Jolani, è stata raccontata in diretta a Martini dai suoi collaboratori in Siria: “Per circa 15 giorni le nostre attività sono state sospese – dice – ma l’offensiva si è presto spostata verso sud e siamo potuti tornare al lavoro. Sono rimasta quotidianamente in contatto con il nostro coordinatore locale: i siriani, ci ha detto fin dal principio, avevano capito che era arrivato il momento di lottare per la loro libertà. Per la popolazione la caduta di Assad è stata una sorta di ‘Indipendence Day’, una grande festa per tutti. I nostri collaboratori ci hanno scritto, esultando: ‘Siamo liberi’. Il loro entusiasmo è genuino e, personalmente, da una parte non posso che condividere questo senso di liberazione. Dall’altra però non sappiamo cosa sarà domani e non è facile essere ottimisti. La speranza è che quell’entusiasmo non venga, nuovamente, tradito”.
Chi, e soprattutto come, governerà la Siria rimane infatti ancora da stabilire: il gruppo di ribelli armati che ha guidato l’offensiva, Hayat Tahrir al-Sham, è stato creato nel 2011 con un nome diverso, Jahbat al-Nusra, come gruppo islamista affiliato diretto di al-Qaeda. Anche il leader dello Stato Islamico (Is), Abu Bakr al-Baghdadi, è stato coinvolto nella sua formazione e nel corso dei combattimenti contro il regime il gruppo ha condotto diversi attacchi terroristici, che coinvolsero anche civili. Ad oggi molti Paesi, tra i quali gli Stati Uniti, gli stati membri dell’Unione europea e la Turchia, considerano Hts un’organizzazione terrorista. Nel corso degli anni la formazione armata (di orientamento salafita) si è poi staccata da al-Qaeda e il suo leader ha cercato di presentare il gruppo in una veste più moderata sia dal punto di vista politico che ideologico. “Sulla carta – continua Martini – si dicono moderati. Negli ultimi anni un cambiamento in questo senso si è percepito a Idlib: io, per esempio, ho smesso di indossare il velo, cosa impensabile in precedenza”.
Il messaggio lanciato è stato di allontanamento dalle posizioni religiose più estremiste: “Ma bisogna sperare che quanto ha raccontato quest’uomo, al-Jolani, corrisponda al vero, che si mantenga quanto ha detto e che il cambiamento impresso negli ultimi anni non sia solo una temporanea ripulitura dell’immagine del gruppo. I civili comunque guardano al futuro con ottimismo, come detto, e pensano alla ricostruzione”. Tra di loro ci sono milioni di profughi che, dallo scoppio della guerra civile, hanno dovuto lasciare le loro case. Oltre a quelli arrivati nei Paesi europei, in molti stanno già rientrando dal Libano e dalla Turchia. Molti altri si stanno spostando internamente alla Siria, cercando di far ritorno nei paesi che hanno abbandonato per fuggire dai combattimenti.
“Molti trovano le loro case distrutte e non hanno i mezzi – dice la volontaria – per ripartire. Tanti ci hanno chiesto una mano come associazione, ma c’è molto da fare. Stiamo aiutando anche diverse persone uscite dalle prigioni di Assad: negli anni ne ho conosciute a decine, persone segnate per la vita dalle violenze e dalle torture”. Per chi opera a sostegno dei civili il momento è critico, ma in questo momento non è nemmeno chiaro a chi chiedere i permessi per poter entrare nel Paese: “Prima i permessi per accedere nell’area di Idlib si richiedevano alla Turchia, ora non si sa. Qualcuno suggerisce di atterrare direttamente a Damasco, dicendo che l’ingresso alle associazioni è permesso. Personalmente, io credo che passerò dal Libano. La popolazione, e in particolare i più fragili, hanno bisogno d’aiuto ma ora c’è la speranza: speriamo non vengano traditi un’altra volta”.