Nuovi scontri e una logora prospettiva di pace in Palestina


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Sondra Faccio, docente di diritto internazionale della Scuola di Studi Internazionali
Nelle ultime settimane, numerosi quotidiani hanno riportato notizie di scontri nei territori palestinesi occupati. Si tratta degli ennesimi articoli che cercano di dar conto della difficile situazione politica e umanitaria della Palestina e di una prospettiva di pace ormai logora.
Com’è noto, il conflitto israelo-palestinese è uno dei più lunghi e delicati aperti dal dopoguerra. Esso riguarda non solo il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e l’aspirazione di Israele di garantire la sicurezza di uno Stato ebraico in Palestina; ma più ampiamente il destino della città santa di Gerusalemme, il fulcro spirituale delle tre principali religioni monoteiste del mondo.
Quella israelo-palestinese è dunque una questione centrale per tutta la comunità internazionale e uno dei temi più dibattuti in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite che, dal 1947 ad oggi, ha adottato numerose risoluzioni e iniziative. Nel corso degli anni, il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno votato centinaia di risoluzioni chiedendo il ritiro di Israele dai territori occupati e invitando le parti a riprendere il dialogo per addivenire ad una soluzione secondo il principio “due popoli, due Stati”. Nel 2003, alla luce del protrarsi dell’occupazione israeliana, l’Assemblea Generale ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di rendere un parere sulla legalità delle misure applicate da Israele nei territori occupati, in particolare della costruzione di una barriera di separazione in Cisgiordania. Nel 2004, la Corte sanciva l’illegalità della costruzione del muro e delle misure volte all’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati. Ad avviso della Corte, tali misure rappresentavano non solo una violazione del diritto internazionale, ma anche un ostacolo all’esercizio del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese.
Più recentemente, nel 2021, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito una Commissione internazionale indipendente d’inchiesta, con il compito di indagare sulle presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale sui diritti umani commesse nei territori occupati. Ed è proprio sulla scia dell’ultimo rapporto pubblicato dalla Commissione d’Inchiesta (Rapporto del 14 settembre 2022), che a fine 2022 l’Assemblea Generale ha deciso di chiedere un nuovo parere alla Corte Internazionale di Giustizia sulle conseguenze giuridiche delle misure implementate da Israele nei territori palestinesi occupati. Il rapporto, infatti, ha evidenziato il carattere “permanente” dell’occupazione israeliana e la grave situazione umanitaria in cui versa il popolo palestinese. I voti in seno all’Assemblea Generale sono stati: 98 a favore della risoluzione per la richiesta di un nuovo parere alla Corte, 52 astenuti (tra cui alcuni Paesi dell’Unione Europea, per esempio: Bulgaria, Danimarca, Francia, Spagna, Svezia) e 17 contrari, tra cui quello degli Stati Uniti e di altri paesi dell’Unione Europea. L’argomento sostenuto dai Paesi che hanno espresso voto contrario, inclusa l’Italia e la Germania, è che la richiesta di parere rischia di compromettere la soluzione del conflitto e di frustrare le aspirazioni di sicurezza di Israele, da un lato; e all’autodeterminazione del popolo palestinese, dall’altro. È interessante notare che si tratta di un pattern di voto diverso da quello emerso in occasione della richiesta di parere alla Corte del 2003 sulla legalità della costruzione del muro. In quel caso, i voti favorevoli furono 90, 74 astenuti e 8 contrari. L’Italia al tempo, pur sostenendo che la richiesta di parere non avrebbe favorito il dialogo e fosse pertanto inappropriata, si era astenuta.
È verosimile che questi argomenti, sulla non appropriatezza del parere e sul suo essere ostacolo alla pace, non avranno presa sulla Corte, che già in occasione del precedente parere aveva chiarito che la valutazione sull’utilità dello stesso rimaneva prerogativa esclusiva dell’Assemblea Generale e che, nel caso specifico, il parere non rappresentasse un impedimento alla risoluzione negoziata del conflitto.
Tuttavia, gli scontri esplosi nelle ultime settimane nei territori palestinesi occupati danno conto di una situazione ormai incancrenita, rispetto alla quale è inevitabile chiedersi quali siano le concrete chance di riavviare un processo di pace in Palestina e se sia ancora realistico parlare di una soluzione sulla base del principio “due popoli, due Stati”. A tal proposito, seppur la comunità internazionale sia oggi ancora (quasi) unanime nel riconoscere la validità del principio, rimane dubbio come esso possa essere concretamente realizzato. Certamente un negoziato di pace lasciato alla sola iniziativa israeliana e palestinese non fa ben sperare circa la possibilità di un confronto ad armi pari e di una pace giusta e, soprattutto, duratura. Israele negozierebbe infatti da potenza occupante, con il proprio esercito in territorio palestinese.
D’altra parte, gli Stati Uniti non paiono più un mediatore credibile. La decisione nel 2017 di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, convalidando la “realtà di fatto” creatasi in seguito all’occupazione, ha reso impossibile per i palestinesi accettare una mediazione americana. Anche lo Stato italiano, indicato in passato come possibile candidato per una mediazione, sembra aver cambiato rotta allineandosi alla posizione statunitense, passando da un voto di astensione (in occasione della richiesta di parere nel 2004) o favorevole (alla concessione dello status di osservatore alla Palestina nel 2012), al voto contrario di fine 2022.
Nel complesso, la comunità internazionale rimane concentrata su altri scenari e priorità che sembrano toccare più da vicino l’opinione pubblica - la crisi in Ucraina, il rincaro dei prezzi dell’energia, l’espansionismo cinese, … -, relegando la questione israelo-palestinese a stanchi dibattiti in seno alle organizzazioni internazionali.