Contenuto sponsorizzato

L’accordo sul nuovo Patto di Stabilità e Crescita e il rompicapo delle finanze pubbliche

DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 30 dicembre 2023

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

di Andrea Fracasso, Docente di economia presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Economia e Management

 

Ci sono voluti molti mesi per arrivare a un accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita che regola il coordinamento delle politiche di bilancio dei Paesi dell’Unione europea. Il 20 Dicembre 2023 le nuove regole sono state adottate all’unanimità dal Consiglio e, dopo la contrattazione finale con il Parlamento europeo, inizieranno a essere applicate nel 2024. Le lunghe negoziazioni hanno prodotto un risultato non del tutto soddisfacente, nonostante alcuni passi avanti rispetto alle norme in vigore (e sospese per la pandemia).

 

Le nuove regole sono infatti molto complesse e ispirate a principi che, a volte, appaiono in contraddizione tra loro. Questo è dovuto al fatto che il nuovo Patto risponde a preoccupazioni diverse e che la negoziazione è stata condotta da una classe politica con la testa rivolta ai dibattiti nazionali, in vista delle delicate elezioni europee del 2024. Oltre alla eccessiva complessità, le nuove regole non risolvono inoltre pienamente tutti i problemi che la riforma avrebbe, idealmente, dovuto affrontare.

 

Si è partiti nell’aprile 2023 con la proposta della Commissione europea che voleva adottare un approccio pluriennale e diversificato per ciascun Paese al fine di garantire la riduzione e/o il mantenimento del debito pubblico nazionale a un livello sostenibile e credibile, anche in presenza di rischi e shock. Un approccio basato su proiezioni statistiche dell’andamento delle finanze pubbliche nel medio termine, considerati anche i piani di aggiustamento, di investimento e di riforma proposti dai Paesi per affrontare le proprie criticità. Una proposta che, permettendo alla Commissione di definire delle traiettorie di bilancio pluriennali diverse per ciascun Paese, rispondeva all’esigenza di guardare a ciò che davvero conta per la finanza pubblica, ovvero la sostenibilità del debito pubblico nel medio termine.

 

Una proposta basata soltanto su impegni pluriennali e proiezioni statistiche rischiava, per alcuni Paesi, di alleggerire troppo la sorveglianza sui bilanci pubblici prevista dai Trattati europei. Su proposta dei Paesi “frugali”, così, nel nuovo Patto sono state incluse due clausole di salvaguardia per garantire che i Paesi (specialmente quelli più indebitati) conseguano nel medio temine un disavanzo di bilancio limitato e riducano progressivamente il rapporto tra debito pubblico e Pil. Queste clausole rendono meno probabile la procrastinazione dell’aggiustamento, ma riducono anche quella differenziazione nelle traiettorie di aggiustamento che l’elevata eterogeneità dei Paesi europei richiederebbe. L’accordo cerca quindi di raggiungere un compromesso difficile tra esigenze opposte, a costo di qualche incoerenza.

 

L’effetto previsto per l’Italia

 

Nel valutare il nuovo Patto, gran parte della stampa italiana ha sottolineato i suoi probabili effetti sulle future politiche di bilancio del nostro Paese. Data l’alta spesa incomprimibile legata al pagamento degli interessi sul debito è possibile che il Patto costringa l’Italia a introdurre delle misure di austerità in un prossimo futuro. Nonostante le numerose eccezioni previste nel testo possano alleggerire l’effettiva portata delle disposizioni, alcuni osservatori hanno espresso il timore che le clausole di salvaguardia possano rivelarsi particolarmente restrittive per il nostro Paese. Altri osservatori e i Partner europei hanno, al contrario, fatto notare come la riduzione del debito (e degli interessi da corrispondere ai creditori) sia nell’interesse dell’Italia e faccia parte di quella traiettoria virtuosa che i Partner si aspettavano di vedere attuata dopo aver fornito molti aiuti tramite la Banca Centrale Europea e il finanziamento europeo del PNRR. Le clausole, inoltre, impongono limitazioni meno severe di quanto previsto dalle precedenti norme che, qualora nuovamente applicate, avrebbero richiesto sforzi decisamente maggiori di aggiustamento. Infine, alcuni osservatori hanno suggerito come l’elevata entità dell’aggiustamento richiesto all’Italia non discenda tanto dalle clausole di salvaguardia, ma dagli sforzi necessari a ottenere un avanzo strutturale primario elevato (sui livelli di metà anni 2010) sufficiente a coprire l’alto servizio del debito, ridurre l’indebitamento e finanziare le crescenti spese legate all’invecchiamento della popolazione.

 

Sia come sia l’effetto sull’Italia, il fatto che esistano valutazioni così contrastanti del Patto conferma la complessità delle norme approvate, come testimoniato, tra gli altri, anche dal commissario agli affari monetari Gentiloni e dal ministro dell’Economia Giorgetti.

 

 

Le criticità dell’impianto

 

L’accordo sembra quindi criticabile per l’elevata complessità e la presenza di alcune contraddizioni di fondo. La riforma doveva superare vari limiti della versione esistente (adozione di misure di bilancio non direttamente osservabili, implicazioni pro-cicliche, inadeguate disposizioni per ridurre l’indebitamento, mancanza di spazio per il finanziamento dei beni pubblici europei) e i progressi sono stati limitati. Non sono state pienamente considerate le esigenze di finanziamento della transizione digitale e ambientale, né sono stati scongiurati i rischi che i Paesi finiscano per implementare politiche di austerità quando sarebbero necessarie delle misure espansive. L’inclusione delle clausole di salvaguardia per assicurare un certo “ritmo” ai piani di aggiustamento contraddice l’idea innovativa della Commissione di adottare una valutazione complessiva dei rischi per la sostenibilità delle finanze pubbliche. La previsione che, all’inizio di una legislatura, il governo stili un piano di aggiustamento pluriennale capace di vincolare anche i successivi governi (in grado di proporre revisioni di portata solo limitata) appare poi problematica sul terreno politico e democratico.

 

La decisione di “sterilizzare” gli effetti più restrittivi del braccio correttivo del Patto fino a fine 2027, attraverso lo scorporo parziale delle spese per il servizio del debito, deriva dalla necessità di dare “respiro” ai governi in carica. Si tratta di una soluzione politicamente comprensibile durante la fase di transizione, ma essa indica l’esistenza di un problema perchè o le norme sono appropriate in qualunque contesto (e non andrebbero “sterilizzate”) o non lo sono (e non dovrebbero vincolare troppo in futuro).

 

Anche se la negoziazione della proposta con il Parlamento europeo potrebbe condurre a qualche miglioramento prima dell’entrata in vigore delle norme, l’impianto rimarrà convoluto e poco comprensibile ai non addetti ai lavori. Sappiamo che la scarsa comprensione delle norme europee tende a ridurre la qualità del dibattito pubblico nei e tra i Paesi. Il timore è che, in caso di serie incomprensioni, questo possa contribuire a lacerare le istituzioni europee e ridurre il sostegno al progetto di integrazione europea.

 

Gli aspetti tecnici del nuovo Patto di stabilità e crescita.

 

Entrando ora nella descrizione più tecnica del Patto (per i lettori e le lettrici più curiosi), serve innanzitutto ricordare che il Patto contiene un braccio preventivo e uno correttivo. Il braccio preventivo riguarda tutti i Paesi e le disposizioni vincolano quelli con un debito superiore al 60% del Pil o un deficit sopra il 3% del Pil (o entrambi). Questi Paesi devono condividere un piano di aggiustamento pluriennale dei conti pubblici che comprenda misure di bilancio, investimenti e riforme strutturali. Le disposizioni del braccio correttivo riguardano invece i Paesi le cui finanze pubbliche, nei periodi precedenti, non abbiano soddisfatto i percorsi di aggiustamento attesi e il cui deficit di bilancio sia ritenuto “eccessivo” dal Consiglio. I Paesi sotto procedura di deficit eccessivo diventano dei sorvegliati speciali e devono intraprendere delle azioni correttive per rientrare dalla posizione di disequilibrio, seguendo le raccomandazioni del Consiglio.

 

Il nuovo braccio preventivo del Patto, come anticipato, prevede l’adozione di un approccio di medio termine basato su proiezioni pluriennali dell'evoluzione del debito pubblico. I Paesi che presentano un debito/Pil sopra il 60% o un deficit sopra il 3% del Pil ricevono dalla Commissione una traiettoria tecnica di rientro; su questa base, ogni Paese deve proporre al Consiglio un piano di aggiustamento quadriennale, estendibile a sette anni qualora il Paese si impegni a realizzare investimenti e riforme approvate e monitorate dalla Commissione, per mettere il debito su un percorso ragionevolmente decrescente che, alla fine del periodo, sia in linea con i valori di riferimento dei Trattati. Dati gli obiettivi di miglioramento, il Consiglio approva un percorso che copre tutto il periodo di aggiustamento e da cui derivano i limiti di spesa pubblica annuale che il Paese deve rispettare.

 

Due vincoli, detti salvaguardie, sono previsti per assicurare dei valori minimi di correzione lungo il percorso di aggiustamento. La prima salvaguardia riguarda il debito: il piano di aggiustamento pluriennale deve garantire che il rapporto debito/Pil si riduca di almeno un punto percentuale all’anno (in media) nel periodo di riferimento per i Paesi con debito iniziale superiore al 90% sul Pil (e dello 0,5% per quelli con un rapporto debito/Pil tra il 60% e il 90%). Questa norma sostituisce la regola precedente che stabiliva che la quota del rapporto debito/Pil superiore al 60% dovesse ridursi di 1/20 all’anno. La seconda salvaguardia riguarda il disavanzo strutturale (quindi al netto degli effetti congiunturali e delle operazioni straordinarie). I Paesi devono avere, alla fine del percorso di aggiustamento, un deficit strutturale pari al massimo all’1,5% del Pil (contro il precedente e più restrittivo 0,5%). Questo obiettivo deve essere raggiunto con un miglioramento del deficit primario strutturale pari allo 0,4% all’anno in media nel quadriennio (o dello 0,25% nel caso di un piano di aggiustamento lungo sette anni).

 

Dati gli obiettivi di miglioramento che soddisfano le clausole di salvaguardia e i piani di investimento e riforma dei Paesi, il Consiglio definisce per ciascun Paese un percorso di aggiustamento che assicura un debito pubblico su un percorso ragionevolmente decrescente e un disavanzo strutturale limitato. Questo percorso viene espresso nei termini dell’evoluzione della spesa primaria netta, ovvero la spesa pubblica senza il pagamento degli interessi sul debito, le spese interamente finanziate da fondi europei e la componente ciclica dei sussidi di disoccupazione. Per verificare se il Paese stia o meno attuando il piano di aggiustamento nel tempo, la Commissione ogni anno verifica se l’andamento della spesa primaria netta stia deviando considerevolmente dal percorso previsto. La deviazione rispetto al percorso previsto è considerata rilevante quando essa è maggiore dello 0,3% del Pil su base annua o dello 0,6% cumulato nel tempo (e se altre condizioni sono verificate). In questo caso, come dispone il braccio correttivo del Patto, la Commissione può proporre al Consiglio di aprire una “procedura per deficit eccessivo basata sul debito”.

 

Nel fare questa proposta, la Commissione deve tenere in considerazione una serie di fattori rilevanti, quali i rischi di sostenibilità del debito pubblico (fattore aggravante), le eventuali spese per la difesa (fattore mitigante), l’andamento della crescita e del ciclo economico (fattori mitiganti), le spese per le riforme (fattore mitigante). Inoltre, la Commissione può prendere in considerazione e accordare delle deviazioni, modeste e temporanee, dovute a fattori eccezionali al di fuori dal controllo del governo. I Paesi eventualmente sottoposti a “procedura di deficit eccessivo basata sul debito” devono seguire una traiettoria correttiva di aggiustamento definita dal Consiglio che sia almeno tanto sfidante quanto quella originaria da cui il Paese si è discostato.

 

La Commissione può altresì proporre al Consiglio di aprire una procedura per deficit eccessivo “basata sul deficit” qualora il disavanzo di bilancio complessivo sia superiore al 3% del Pil, come da sempre stabilito nel Patto. Anche in questo caso una serie di fattori mitiganti e aggravanti può essere presa in considerazione nel decidere se un deficit eccessivo esiste, ma solo nella misura in cui lo scostamento è limitato e temporaneo. I Paesi sottoposti a “procedura di deficit eccessivo basata sul deficit” devono riportare il deficit al di sotto del 3% del Pil attraverso un piano di aggiustamento correttivo che deve soddisfare un ritmo annuale di riduzione del deficit strutturale pari ad almeno lo 0,5% del Pil.

 

Data la previsione che moltissimi (16) Paesi, tra cui l’Italia, siano immediatamente sottoposti a procedura di deficit eccessivo basata sul deficit, l’accordo prevede che, per il triennio 2025-2027, l’incremento nella spesa per interessi (dovuto alla politica monetaria adottata per ridurre l’inflazione) possa essere parzialmente “scontato” nel piano di riduzione del disavanzo strutturale previsto dal braccio correttivo.

Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
In evidenza
Ambiente
21 gennaio - 12:42
Il Gps di Puck ha trasmesso i segnali e subito i carabinieri forestali si sono attivati raggiungendo la casa dell'uomo. Dopo una perquisizione la [...]
Esteri
21 gennaio - 12:24
Non è la prima volta che si verifica un fenomeno di gelicidio sulle strade della Valsugana
Cronaca
21 gennaio - 12:31
E' successo poco prima di mezzogiorno e sul posto si sono portati i vigili del fuoco e i soccorsi sanitari. L'uomo sarebbe rimasto con la gamba [...]
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato