Il cammino dell'Europa verso la sostenibilità delle grandi imprese: ecco gli ultimi (importanti) sviluppi


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Di Francesca Mussi, docente di diritto internazionale alla Scuola di Studi Internazionali
TRENTO. Il primo trimestre del 2024 ha visto le istituzioni dell’Unione Europea impegnate in varia misura nell’elaborazione di strategie e politiche di sostenibilità destinate alle imprese multinazionali operanti negli Stati membri, con l’ambizioso obiettivo di gettare le basi per lo sviluppo di standard a portata applicativa potenzialmente mondiale. Particolarmente rilevanti risultano essere gli sviluppi normativi registrati, da un lato, in ordine al dovere di diligenza delle grandi imprese rispetto agli impatti negativi e potenziali che le loro attività e quelle delle società controllate lungo l’intera catena del valore producono sull’ambiente e sui diritti umani dei lavoratori, e, dall’altro lato, in materia di contrasto al c.d. greenwashing, vale a dire quelle strategie di comunicazione o di marketing attraverso cui le imprese mirano ad attirare il consumatore/cliente mediante immagini o messaggi che promuovono, in maniera non veritiera o fuorviante, caratteristiche ambientali o di sostenibilità di propri prodotti o servizi in realtà inesistenti o non esattamente corrispondenti alla descrizione fatta.
Per quanto concerne il primo profilo, lo scorso 15 marzo i capi delegazione degli Stati membri dell’Unione Europea riuniti presso il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) hanno votato a favore della direttiva sul dovere di diligenza delle imprese multinazionali in materia di sostenibilità, proposta dalla Commissione europea il 23 febbraio 2022, mettendo così fine a una saga fatta di continui rinvii e bocciature. Nelle ultime settimane, infatti, intorno al testo dell’accordo provvisorio raggiunto tra Consiglio e Parlamento il 14 dicembre 2023, si è giocata una vera e propria battaglia diplomatica: l’adozione formale della direttiva da parte degli Stati membri inizialmente prevista il 9 febbraio è infatti “saltata” a causa dell’ostruzionismo di alcuni Stati, tra cui Germania e Italia (quest’ultima ha però successivamente rivisto la propria posizione con il voto del 15 marzo), le cui delegazioni si sono fatte portavoce delle preoccupazioni delle principali associazioni industriali circa il rischio derivante dall’introduzione di eccessivi oneri burocratici e di costi aggiuntivi a carico delle imprese, nonché della necessità di ribilanciare le disposizioni in materia di sanzioni e responsabilità civile (il testo del menzionato accordo provvisorio prevedeva sanzioni alle aziende inadempienti fino al 5% del loro fatturato netto mondiale). La maggioranza qualificata necessaria in sede di Coreper è stata ottenuta attraverso intensi sforzi diplomatici e notevoli compromessi dell’ultimo momento, negoziati dalla Presidenza belga del Consiglio dell’Unione Europea, che hanno però comportato una significativa diluizione del livello di ambizione del testo. In questo senso, basti pensare che il perimetro applicativo della direttiva sarà ristretto alle imprese che contano oltre 1.000 addetti (e non più 500 come nella precedente proposta) e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di Euro. Inoltre, i comparti considerati ad alto rischio al momento sembrano essere stati interamente esclusi, mentre l’introduzione della normativa subirà ulteriori posticipazioni. Infine, sono state rimosse le clausole relative alla responsabilità civile, che avrebbero permesso ai sindacati di avviare azioni legali contro le aziende non conformi. Il prossimo passo sarà l’adozione formale dell’accordo da parte del Consiglio dell’Unione Europea, dopodiché il testo sarà votato prima dalla Commissione Affari Legali del Parlamento europeo e poi in plenaria ad aprile.
Più incisivi risultano essere gli esiti degli sforzi intrapresi a livello europeo al fine di rendere le dichiarazioni delle aziende sulla sostenibilità dei propri prodotti affidabili, comparabili e verificabili. Lo scorso 28 febbraio è infatti stata approvata in via definitiva la direttiva 2024/825 sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il successivo 6 marzo. La direttiva in parola mira a consentire ai consumatori di compiere scelte d’acquisto maggiormente consapevoli e rispettose dell’ambiente, nonché a rafforzare la loro tutela rispetto a dichiarazioni sulla sostenibilità inattendibili o false. A tale fine, essa aggiorna la cd. “black list” delle pratiche commerciali considerate ingannevoli già contenuta nell’omonima precedente direttiva 2005/29/CE, inserendovi e sanzionando, tra le altre, il ricorso a dichiarazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “biodegradabile”, “neutrale dal punto di vista climatico” o “ecologico”, se non accompagnate da prove dettagliate pertinenti all’indicazione; l’impiego di dichiarazioni relative all’intero prodotto, se la dichiarazione è vera solo per una parte di esso; ancora, la presentazione di requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione Europea per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico. La direttiva si propone anche di sensibilizzare produttori e consumatori sulla durabilità dei prodotti, includendo tra le pratiche sleali le indicazioni ingannevoli sulla loro durata (ad esempio, dichiarare che una lavatrice avrà una durata di 5.000 cicli di lavaggio, se tale affermazione non è veritiera in condizioni normali) e gli inviti a sostituire beni di consumo senza un’effettiva necessità, fenomeno comune, ad esempio, nel caso dell’inchiostro delle stampanti. La direttiva 2024/825 entrerà in vigore il ventesimo giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e gli Stati membri avranno tempo sino al 27 marzo 2026 per adottare le misure necessarie al recepimento nel diritto nazionale.
Un’ulteriore conferma che attesta come il quadro normativo in materia di contrasto al greenwashing stia conoscendo importanti sviluppi è da rinvenirsi nell’adozione, il 12 marzo scorso, da parte del Parlamento europeo, della propria posizione rispetto alla proposta di direttiva sull’attestazione e sulla comunicazione di asserzioni ambientali esplicite, avanzata il 22 marzo 2023 dalla Commissione. La proposta di direttiva rispetto cui il Parlamento si è espresso in termini di sostanziale condivisione integra la già esaminata direttiva 2024/825, stabilendo norme dettagliate sulla comunicazione di tutte le dichiarazioni diffuse volontariamente da un’impresa in merito alle interazioni con l’ambiente, alle performance ambientali o agli impatti – positivi o negativi –sull’ambiente di un prodotto, di un servizio o dell’attività dell’impresa stessa, escludendo le autodichiarazioni ambientali già disciplinate da altre norme europee, quali ad esempio il marchio Ecolabel o il logo degli alimenti biologici. Più precisamente, le imprese che sceglieranno di adottare un’autodichiarazione ambientale per promuovere i propri prodotti/servizi o la propria attività dovranno sempre rispettare una serie di requisiti minimi – espressamente previsti dalla stessa proposta di direttiva – sia per comprovare tali autodichiarazioni ambientali sia per comunicarle correttamente al pubblico. La proposta di direttiva prevede altresì che, prima del loro utilizzo nella comunicazione commerciale, le autodichiarazioni ambientali debbano essere verificate e convalidate in modo indipendente. Gli Stati membri dovranno infatti incaricare soggetti terzi e indipendenti rispetto alle imprese della cui autodichiarazione si tratta di controllare, caso per caso, il rispetto di tutti i requisiti posti dalla direttiva in merito alla prova e alla comunicazione al pubblico. Una volta completata la verifica e appurata la conformità dell’autodichiarazione ai parametri posti dalla direttiva, il soggetto incaricato dei controlli dovrà, ove possibile, predisporre un certificato di conformità. La proposta di direttiva passa ora al Consiglio dell’Unione Europea per l’esame del testo in questione e non sono da escludere ulteriori emendamenti.
Le iniziative legislative sinteticamente tratteggiate confermano che lo sviluppo sostenibile rappresenta un principio fondamentale per l’Unione Europea, che le istituzioni cercano di perseguire considerando le imprese – soprattutto quelle a carattere multinazionale – “attori” di primario rilievo non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche ambientale e della tutela dei diritti fondamentali. L’auspicio è che le imminenti elezioni per il Parlamento europeo, che si terranno tra il 6 e il 9 giugno, consolidino il solco tracciato, senza lasciare spazio ad arretramenti nelle strategie di sostenibilità intraprese sinora.
* Il presente contributo è stato scritto con il finanziamento dell’Unione Europea, nell’ambito del progetto “Le nuove frontiere della responsabilità sociale d'impresa: verso una crescita verde, sostenibile ed inclusiva” (FSE-REACT-EU, PON Research and Innovation 2014-2020 DM1062/2021).