Addio a Jacques Delors: “Un visionario che ha reso la nostra Europa più forte”. La sua scomparsa segna la fine di un'epoca, ma il suo messaggio resta vivo


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Jacques Delors, uno delle personalità politiche più importanti del processo di integrazione europea, è morto a Parigi il 27 dicembre 2023, quasi centenario, dopo una lunga malattia. Nelle parole di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione UE, ‘Jacques Delors è stato un visionario che ha reso la nostra Europa più forte. L’opera della sua vita è un’Unione europea unita, dinamica e prospera’.
Delors, un economista di formazione (lavorò per molti anni alla Banca di Francia), è stato un politico socialista di primo piano sia a livello nazionale in Francia, che in Europa: dal 1979 al 1981 è stato membro del Parlamento europeo; dal 1981 al 1984 è stato Ministro delle Finanze nel Governo Mitterand; soprattutto, è stato Presidente della Commissione europea per ben tre mandati, dal 1985 al 1994, lasciando un’impronta indelebile non solo nella Commissione, connotandola più nettamente come istituzione capace di una visione politica, e non solo tecnocratica, ma più in generale sulla visione e la dinamica politica dell’integrazione europea.
In particolare, Delors ha rinnovato la tradizionale visione alla base della nascita delle Comunità europee negli anni ’50 del ‘900, quella delineata in modo straordinariamente incisivo ed efficace da un altro padre nobile dell’Unione europea, Robert Schuman (nella cd. Dichiarazione Schuman, un documento così fondativo da fissare la data ufficiale dell’Europa, ovvero il 9 maggio). Come Schuman, anche Delors era convinto che l’integrazione economica fosse la molla fondamentale per garantire un’integrazione anche di natura politica, seguendo una logica funzionalista, in base a cui la continua espansione dell’integrazione di aspetti economici cruciali avrebbe comportato l’estensione anche a piani di natura diversa, politica e sociale.
Il grande successo di Delors è stato quello di riuscire a trasformare queste idee in processi normativi epocali, che hanno modificato, dopo diversi decenni di quiescenza, la fisionomia dei Trattati europei. In primo luogo, con l’Atto Unico Europeo del 1985 (entrato in vigore nel 1986), che, modificando le procedure decisionali attraverso il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio (in luogo della precedente regola dell’unanimità e i conseguenti veti nazionali) e un intervento più incisivo del Parlamento europeo, ha consentito di mettere a punto un’ambiziosa strategia normativa mirata alla creazione e al funzionamento del mercato interno, secondo una tempistica serrata fissata alla scadenza del 1992.
Ancora più ambiziosa è l’ispirazione alla base della successiva modifica dei Trattati, quella del Trattato di Maastricht del 1992 (entrato in vigore nel 1993), che affianca alla tradizionale integrazione di natura economica anche nuovi ambiti di integrazione schiettamente politica, dando vita così all’Unione europea. La cerniera fra integrazione economica ed integrazione sociale e politica viene costruita su due fondamentali perni: la moneta unica, ovvero l’euro, che ha spostato la sovranità monetaria a livello europeo; e la cittadinanza europea, che incarna la duplice appartenenza dei cittadini a due comunità politiche distinte ma interconnesse, lo Stato e l’Unione europea.
Tale visione, di cui Delors fu uno dei principali artefici, si basava per l’ambito economico su una scommessa molto ambiziosa, ovvero che la messa in comune della sovranità in un settore strategico come quello monetario, avrebbe generato una pressione integrativa irresistibile, che avrebbe portato prima alla graduale integrazione delle scelte fondamentali di politica economica, e infine all’integrazione politica (le premesse di questa evoluzione erano poste nella struttura del Trattato di Maastricht, che consentiva di intraprendere azioni comuni anche nei settori della politica estera e di sicurezza comune, e della giustizia ed affari interni, secondo complessi meccanismi istituzionali basati su una cd. ‘struttura a pilastri’).
Oggi sappiamo che le cose, non sono andate secondo questo disegno: l’integrazione economica è effettivamente stato un processo che ha conosciuto una continua espansione, portando ad un livello di integrazione che non ha pari in nessuna altra organizzazione regionale a livello mondiale, e che per molti aspetti assomiglia più a quello che accade in sistemi nazionali di natura federale. Tuttavia, non c’è stato alcun automatismo nel passaggio dall’integrazione economica a quella politica e sociale; anzi, quello che è accaduto negli ultimi decenni ha dimostrato che le reazioni politiche ad un’interferenza crescente dell’Unione europea in tutti gli ambiti economici può addirittura mettere in crisi la logica integrativa, come è evidente dalle tensioni fra gli Stati membri su molti temi cruciali a livello europeo, nonché dal successo crescente di partiti politici euroscettici e populisti in gran parte dei paesi membri dell’UE (un fenomeno questo, peraltro, certamente non esclusivo dell’Europa).
Che il re fosse nudo è stato impietosamente messo in luce dalla devastante crisi finanziaria ed economica del 2008, in cui è risultato chiaro che un meccanismo basato su una piena centralizzazione della politica monetaria a livello europeo, a fronte di meccanismi blandi di coordinamento delle politiche economiche e sociali nazionali (che gli Stati non erano disposti a cedere) era un modello che non era in grado di reggere e reagire a shock sistemici. La nuova governance economica che ne è conseguita, e che, pur essendo sbilanciata in molti aspetti fondamentali, governa la situazione attuale in Europa, è più il frutto di una reazione di sopravvivenza, che di un radicale ripensamento del modello (le vicende di questi giorni riguardo al cd. Patto di stabilità e al Meccanismo europeo di stabilità (MES) sono emblematiche).
La scomparsa di Delors segna probabilmente la fine di un’epoca, quella della fiducia nella capacità dell’integrazione economica europea di fungere da catalizzatore per un’ulteriore integrazione complessiva su scala sociale e politica. Resta vivo però il suo messaggio, ovvero che per far progredire l’integrazione europea occorre essere audaci, ed essere capaci di proporre modelli e strategie innovative ed ambiziose, seguendo la sua filosofia, che si riassume nella frase ‘competizione che stimola, cooperazione che rafforza, e solidarietà che unisce’. In tempi di crisi come quello attuale, appare particolarmente evidente il bisogno di visione politica e capacità operativa, e di una classe politica all’altezza delle sfide da affrontare.
di Luisa Antoniolli – Scuola di studi internazionali – Università di Trento