Gesù attacca i legittimi pastori del suo popolo


Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,
Con la lettura della scorsa settimana, Gesù ha definitivamente sancito quale sia il comandamento più grande per ogni essere umano che nella sua Parola voglia credere: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso».
E lo ha fatto in risposta alle provocazioni delle autorità del suo popolo. Con la lettura di oggi, Gesù comincia una lunga requisitoria contro queste stesse autorità, e i loro modi di interpretare la fede. Contro i loro modi di agire, che invece poco riguardavano la fede.
Mt 23,1-12 In quel tempo 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Attraverso queste parole, così incisive, il pensiero di Gesù risulta splendidamente chiaro. Ma che cos'è la cattedra di Mosè? «La “cattedra di Mosè” designa un seggio distinto nelle sinagoghe, posto di fronte agli altri scranni» (A. Poppi). Un posto che sta innanzi agli altri, perché chi vi sedeva doveva essere un rabbino, un maestro della Torah. Alla luce di questo il ragionamento di Gesù appare lapalissiano: come possono, coloro i quali hanno conseguito il titolo di Rabbì, avendo studiato a fondo le Scritture, non praticarle? Come possono queste persone insegnare le Sacre Scritture e non conformare la propria esistenza ad esse? In una parola, quanto sono ipocriti? Un male questo che storicamente, ed innegabilmente, i cristiani, i Cattolici, non sono riusciti lontanamente ad estirpare.
«Gesù – possiamo dire – attacca i legittimi pastori del suo popolo, i dirigenti, quelli che erano riconosciuti esperti delle sante Scritture, che erano ritenuti maestri e modelli esemplari per i credenti. Sia però chiaro che queste sue parole vanno a colpire vizi religiosi non solo giudaici ma anche cristiani! […] Dopo Mosè, molti e diversi sono stati i maestri, dotati di un magistero per il popolo, ma quanti in quel momento storico (30 d.C.) erano i dirigenti e le guide religiose, abitualmente insegnavano in modo conforme alla tradizione ma in loro non c’era coerenza di comportamento, perciò mancavano di autorità (exousía). Predicavano ai fedeli ma in realtà non osservavano quanto dicevano. Erano persone divise, che con le labbra dicevano una cosa ma con il cuore ne pensavano altre (cfr. Mt 15,8; Is 29,13)» (E. Bianchi).
Il problema, in realtà, era ben noto all'evangelista: «queste ammonizioni valevano anche per la comunità cristiana, tenuta a confrontarsi costantemente con il Vangelo, per non imitare il comportamento incoerente e colpevole dei farisei» (A. Poppi). Quanta apparenza, ancora oggi. Un'apparenza che spesso, nei rapporti umani, viene, per così dire, palesemente mascherata con la forma, con la tradizione. Con alcune forme di tradizione. La formalità tronca sul nascere qualsiasi possibilità di rapporto autentico con gli altri e, di conseguenza, con se stessi. Coprendo completamente la sostanza con un pesantissimo velo. Forse non è possibile avere rapporti sostanziali con tutti gli altri, ma sicuramente è possibile andare al di là della forma. Sarebbe già molto.
«Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente». Storicamente, credo, questa frase si (di)spieghi da sola: in quanti modi, e da sempre, le istituzioni – comprese, e per molti secoli in primis, quelle religiose – hanno legato pesi impossibili da portare per operare una leva di potere basata sul senso di colpa? «Ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito». Ed il dramma esistenziale di queste persone che utilizzano il potere che hanno - anche quello di amministrare le cose sacre – è proprio quello, sì, di non voler portare i pesi che mettono sulle spalle degli altri, ma in realtà non voglio perché non possono, non ne sono capaci perché snaturano le Scritture per mantenere un certo grado di controllo.
Ma la logica cristiana, quella autenticamente trasparente, è inversa. È diamantina nella sua semplicità, nel suo – se così ci si può esprimere – banalissimo e, sembra, difficilissimo: «ama il prossimo tuo come te stesso». Ai tanti cristiani esaltati, ai tanti che si sentono esaltati proprio perché appartengono ad un'istituzione e credono fermamente che la cosa davvero importante sia l'attribuzione di un, o di molti, titoli (come poteva esserlo Rabbì), a tutti costoro Gesù ha detto: «chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».