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Coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi. La lettura di oggi, dal Vangelo di Giovanni "La guarigione di un cieco nato"

Ancora una volta Gesù rompe con la tradizione: il racconto precisa che la guarigione è avvenuta di sabato, durante il periodo di Shabbat, giorno santo e consacrato a Dio, secondo i dettami della Torah
DAL BLOG
Di Alessandro Anderle - 25 marzo 2017

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Gv 9,1-41
In quel tempo Gesù 1 passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

 

8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». 9 Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10 Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11 Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista».

 

12 Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so». 13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

 

18 Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19 E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20 I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé».

 

22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».

 

24 Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». 25 Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26 Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27 Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28 Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29 Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».

 

30 Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35 Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37 Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38 Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

 

39 Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40 Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».

 

La lettura di questa quarta domenica di Quaresima è il capitolo nono del Vangelo secondo Giovanni, il brano conosciuto con il titolo di “Guarigione di un cieco nato”. Proviamo a seguire le tracce di questo racconto.

 

Dopo aver celebrato al Tempio di Gerusalemme la festa di Sukkot/Capanne, festa autunnale nella quale si invocava l’acqua come dono di Dio per la vita piena, Gesù vede un uomo colpito dalla cecità fin dalla sua nascita nei pressi della piscina di Siloe. Subito emerge una tensione fra Gesù e i discepoli, i quali – secondo la tradizione – chiedono al Maestro a chi sia da imputare il peccato che causò la cecità di quell'uomo: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?».

 

Gesù, qui, rovescia la logica secondo cui la malattia è interpretata come castigo divino, come punizione per aver peccato contro Dio. Infatti egli non si chiede da dove venga la malattia, non giudica l'uomo che ha davanti a causa della sua menomazione, ma vede in essa il campo in cui impiantare il seme della parola di Dio, affinché «in lui siano manifestate le opere di Dio».

 

Tutto il racconto è modulato sul senso della vista, sull'illusione di vedere e sapere, mentre in verità non si vede e non si conosce.  Bisogna che Gesù compia la sua opera finché è giorno, prima della sua morte, per rendere manifesta la verità, se così ci si può esprimere, di Dio. Una verità che passa attraverso la luce stessa, che la illumina, una luce che lascia essere l'altro e che in esso vede prima di tutto un'opera di Dio. Una luce tenue, che non acceca ma rischiara, una luce aurorale che lascia intravedere alla creatura la verità del creatore. «Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

 

Gesù compie «un gesto di cura, terapeutico: impasta della polvere con la sua saliva e la spalma sugli occhi del cieco. In tal modo ripete il gesto con cui Dio ha creato Adam, il terrestre, plasmandolo dalla polvere del suolo (cf. Gen 2,7). Non è un gesto di magia, ma un gesto umanissimo: l’uomo non vedente si sente toccato da Gesù, sente le sue dita e il fango sui propri occhi, sente di poter mettere fiducia in chi lo ha “visto” e lo ha riconosciuto come una persona nel bisogno. E non appena Gesù gli dice di andarsi a lavare nella piscina adiacente – detta di Siloe, cioè dell’Inviato di Dio –, egli obbedisce, va, poi torna da Gesù capace di vedere». (E. Bianchi)

 

L'atto miracoloso attira l'attenzione dei presenti che, spaesati, non sono più nemmeno sicuri che l'uomo ora guarito che gli sta di fronte, fosse lo stesso mendicante cieco dalla nascita che erano abituati a vedere. La novità di quel gesto è 'spaesante' perché rompe con la tradizione, con i normali schemi di pensiero a cui i giudei – e l'uomo? - erano legati. Subito, infatti, il racconto precisa che la guarigione è avvenuta di sabato, durante il periodo di Shabbat, giorno santo e consacrato a Dio, secondo i dettami della Torah. Ed un fare, così simile al racconto di creazione, come abbiamo visto, era assolutamente vietato.

 

I farisei, gli osservanti esperti della Torah di Mosè, chiamati a giudicare l'operato di Gesù, non ottenendo le risposte attese, si decisero ad interrogare ancora il cieco, guarito. L'uomo risponde con ironia all'incredulità dei farisei, i quali erano convinti di possedere la verità, essendo essa interamente contenuta nella tradizione. «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». E la risposta dei farisei è ancora pienamente incentrata sulla tradizione che diviene verità assoluta, dimostrando in qualche modo di essere loro quelli che, in verità, non vedono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?».

 

Solo quando il cieco guarito venne cacciato, Gesù andò a cercarlo per interrogarlo sulla sua fede, per arrivare al culmine del riconoscimento quando il sanato esclama: «Credo, Signore!». Attribuendo a Gesù il titolo di Kyrios, Signore.

 

Gli ultimi versetti del capitolo sono densi di significato. Gesù dice: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». L'essere ciechi, qui, più che una menomazione o una malattia, rappresenta uno stato esistenziale. Guardare il bene  - oppure il male – quando viene compiuto, ma non vederlo, non riconoscerlo e quindi comprenderlo, assumerlo su di sé: ecco il vero peccato.

 

Nell'omelia tenuta da Papa Francesco a Santa Marta il 23 marzo scorso, il Pontefice ha esortato i fedeli ad ascoltare sempre la Parola del Dio vivo e a non lasciarsi indurire il cuore. Se queste due dimensioni della fede, due dimensioni che sono appunto esistenziali e non possono essere assunte ad – mi si passi il termine – intermittenza, «Si perde il senso della fedeltà, e diventiamo cattolici infedeli, cattolici pagani o, più brutto ancora, cattolici atei, perché non abbiamo un riferimento di amore al Dio vivente. Non ascoltare e voltare le spalle – che ci fa indurire il cuore – ci porta su quella strada della infedeltà».

 

Alcuni farisei, scossi da quanto avevano appena visto ed udito, preoccupati per loro stessi, si affrettano a chiedere a Gesù se anche loro fossero, quindi, ciechi. E Gesù rispose: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane». Sovverte definitivamente la prospettiva tradizionale, non attribuisce più il peccato alla malattia, ma alla presunzione di conoscenza.

 

Gesù qui sembra dirci che si può compiere il male anche semplicemente seguendo la tradizione, non interrogandosi e arrivando al punto di diventare ciechi, rinchiusi nella propria inscalfibile e diamantina forma mentis. Le strade, qui, sembrano dividersi: da una parte vi è chi continuamente ricerca la verità viva e vivente di Dio, dall'altra chi pensa di possedere una verità che assurge a certezza e che, spesso, è solo lettera morta, parole vuote che da molto tempo non risuonano più nell'anima dell'uomo.

 

Le parole di accusa del profeta Geremia, assieme a quelle di Gesù, rimangono sempre attuali: «Anche la cicogna nel cielo conosce i suoi tempi; la tortora, la rondinella e la gru osservano la data del loro ritorno; il mio popolo, invece, non conosce il comando del Signore. Come potete dire: Noi siamo saggi, la legge/Torah del Signore è con noi? A menzogna l'ha ridotta la penna menzognera degli scribi! I saggi saranno confusi, sconcertati e presi come in un laccio. Essi hanno rigettato la parola del Signore, quale sapienza possono avere?» (Ger 8,7-9).

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