"Amerai il tuo prossimo come te stesso", il comandamento più bello di Gesù


Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,
In seguito alla disputa riguardante il tributo a Cesare, letto la scorsa domenica, altri esponenti delle “correnti” in cui si divideva il giudaismo al tempo di Gesù lo interrogano, chi per metterlo alla prova, chi per cercare di capire. Vi saranno prima i sadducei, che non credevano alla risurrezione dei corpi, i quali lo interrogheranno proprio su quel tema. In seguito – ed è la lettura di questa domenica – i farisei, strettamente osservanti della Torah che lo interrogano sulla Legge. Il brano, purtroppo (ma anche per fortuna), è così celebre da incorrere nel rischio di “scivolare” addosso al lettore. In realtà queste sono fra le parole più belle e importanti di tutti gli insegnamenti di Gesù, e andrebbero meditate.
Mt 22,34-40 In quel tempo 34 i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37 Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Prima di tutto, vi è da premettere che, in seno al giudaismo, le dispute riguardanti la Torah erano già molto frequenti ai tempi di Gesù. Non solo l'osservanza della Legge era fondamentale, ma anche la sua interpretazione cominciava ad esserlo, sintomo che il rapporto con Dio non era vissuto come semplice “sudditanza”, esso andava alimentato con il contributo umano. Contributo di razionalità che si apre all'orizzonte di un sentire autentico. Come scrive A. Poppi: «Anche nelle scuole giudaiche si discuteva per stabilire una graduatoria tra i numerosi comandamenti, che secondo la loro documentazione scritta, a partire dal III sec. d.C., ammontavano a 613, di cui 365 erano proibizioni (per analogia ai giorni dell'anno) e 248 precetti positivi (corrispondenti alle membra del corpo umano)».
Alla domanda del fariseo, Gesù non risponde “inventando” qualcosa di nuovo, ma citando due passi della Torah già molto noti nel giudaismo del tempo. Il primo, il comandamento dell'amore a Dio, viene dal libro del Deuteronomio ed è parte del cosiddetto Shemà (letteralmente “ascolta!”), la preghiera recitata quotidianamente – ancora oggi – da ogni ebreo. «4 Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. 5 Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. 6Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; 7li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. 8 Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi 9 e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6,4-9).
Il secondo comandamento viene dal libro del Levitico: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore» (Lv 19,18). Gesù pone i due insegnamenti l'uno di fianco all'altro, l'uno di fronte all'altro: quello dell'amore a Dio e quello dell'amore al prossimo. Ma come si ama il prossimo? «L’amore del prossimo non è teorico, non è amore in generale per tutta l’umanità, ma è concreto, e la sua forma la dobbiamo decidere ogni volta in modo intelligente e creativo, come richiede l’amore vero, autentico per l’altro» (E. Bianchi).
La discontinuità nella continuità Gesù la pone proprio qui, mettendo assieme questi due comandamenti e affermando che «da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Come posso amare Dio con tutto il cuore, l'anima e la mente? Come si può amare Dio con tutto se stessi? Per l'uomo contemporaneo la domanda risuona, se così si può dire, anche più forte: come posso amare con tutto me stesso un Dio che non vedo, che non posso toccare e raggiungere, che non sembra abbia nessuna influenza sulla mia vita? Come e perché amarlo qui e ora, se il momento di un possibile incontro, il “momento della Verità” è differito in un altro luogo, in un altro tempo – quando il “mio” tempo sarà finito? Amarlo solamente per una ricompensa futura? E quale ricompensa, la risurrezione dopo la morte?
A tutte queste domande risponde il seguito: «amerai il tuo prossimo come te stesso». Una risposta che lascia intatto il velo del mistero: che cosa ha a che fare il mio prossimo con Dio? Eppure Gesù dice che il comandamento è «simile al primo». Amare il prossimo, una dimensione assolutamente concreta, è sullo stesso piano – per Gesù – dell'amare Dio. Come posso amare un Dio che non vedo? Amando chi mi è prossimo, chi fisicamente vedo di fianco a me, e devo cercare di amarlo come amo me stesso.
Uno dei Maestri dell'ebraismo, Rav. Hillel, che visse nella generazione precedente a quella di Gesù, diede questa risposta ad uno studente che gli aveva chiesto di imparare tutta la Torah nel tempo in cui lui riusciva a reggersi su di un piede solo: «non fare agli altri ciò che hai in odio, questa è tutta la Torah, il resto è commento, vai e studia!». Anche per lui tutta la Torah poteva essere riassunta così, mantenendo l'importanza di studiare tutto il commento, tutta la Legge.
E come scrive Giovanni nella prima lettera, evocando atteggiamenti molto contemporanei di chi afferma con sicumera di amare Dio sopra ogni cosa, lasciando soffrire l'umanità che ha accanto: «19 Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. 20 Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21 Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello». Questo comandamento, più che un dogma, è il modo di vivere, cambiando, metamorfizzando infinite volte la propria vita.