Il Marzemino è un Lambrusco? Un vino che rischia l'oblio, nonostante i tentativi di rilancio di trasformarlo in "spumante classico" stile TrentoDoc

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Il Merano Wine Festival ha appena svuotato i bicchieri e subito rilanciato nuove sfide sull’evoluzione del vino. Tra le centinaia di cantine presenti sul Passirio è stata una sorta di over-enoturismo, con migliaia e migliaia di tourbillon di bicchieri, il vino in tutte le sue sfaccettature.
L’attenzione, la curiosità e la bramosia del sorso ha stimolato migliaia e migliaia di appassionati, tutti a cercare conferme o scoprire nuove interpretazione delle uve. Tra la sarabanda di vitigni esaltati a Merano, non sono riuscito a trovare neppure un Marzemino e un solo Teroldego, vinificato con autorevolezza dagli Endrici della cantina Endrizzi di San Michele all’Adige, rosso portentoso, da uve surmature, stile possente, sempre intrigante, comunque tutt’altro che una classica versione del vitigno stanziale della Rotaliana. Del Marzemino, nessun riscontro festivaliero.
In compenso a Merano, nei tanti convegni o masterclass imbandite nel "fuori salone", s’è diffusa pure una curiosa supposizione scientifica: il Marzemino è decisamente imparentato con la variegata famiglia dei Lambrusco. Lo studio è frutto di una ricerca minuziosa di un gruppo di genetisti dell’Università di Torino. Intrapresa negli ultimi anni e ora al centro del dibattito.
Questi ricercatori hanno analizzato la struttura genetica di 283 varietà di vite coltivate e 65 varietà di vite selvatica (sylvestris). Il risultato principale è che sia le varietà coltivate che quelle selvatiche sono "contaminate" con Dna proveniente dal gruppo opposto.
In particolare le 13 varietà geneticamente più vicine alle popolazioni selvatiche, ordinate in base ai loro valori di coefficienza nel gruppo degli addomesticati sono state: Lambrusco salamino, Ancellotta, Lambrusco a foglia frastagliata (Enantio del Trentino), quelli di Viadena e Sorbara, ma anche e specialmente il "nostro" Marzemino. Proprio così ed è un riscontro originale decisamente inconsueto.
Vitigni questi che presentano un genoma particolarmente eterogeneo che origina sia Vitis sativa (coltivata) che da Vitis sylvestris (selvatica). Tra questi - probabilmente - pure il Teroldego, ma sicuramente il Marzemino, che mostra un genoma "misto", riscontro innovativo, per certi versi eccezionale, che comunque non vuol certificare che il Marzemino sia prettamente un Lambrusco.
I genetisti ipotizzano che questa introgressione di Dna proveniente da viti selvatiche nelle varietà coltivate sia avvenuta in seguito alla domesticazione, e ha permesso a Lambruschi & Co. di adattarsi meglio anche in zone non propriamente adatte alla viticoltura. Come in Vallagarina.
La constatazione rivoluziona tutta la fascinosa narrazione sull’origine del Marzemino, i suoi stretti legami con le viti georgiane, il viaggio dalla Grecia sulla costa dalmata, per giungere a Venezia, risalire l’Adige - o scavalcare la Vallarsa - per stanziarsi a Isera ed ovviamente essere citato con l’immancabile Mozart.
Marzemino dunque da riscrivere? Probabilmente sì, proprio per non farlo morire. Definitivamente. Perché ora come ora è un vino che neppure le "liste bevande" del Trentino prendono in seria considerazione. Assente e spesso banalizzato. Ingiustamente, nonostante i suoi intrinsechi limiti organolettici, quasi sempre causati da coltivazioni troppo intensive o vinificazioni banali.
Tanti i tentativi per rianimarlo. Qualche ardito vignaiolo (Eugenio Rosi, su tutti) lo interpreta con grande devozione, per onorarlo nella sua gentile setosità e ammaliante color rubizzo, la viola mammola nella spinta odorosa, le bacche del bosco al sapido palato.
A Isera hanno pensato pure di trasformarlo in uno spumante, elaborato con il metodo classico della lenta rifermentazione in bottiglia, dopo aver chiarificato il mosto. Marzemino brut, sulla stramba scia di un ipotetico TrentoDoc, le bollicine che lo rianimano o che forse ne anticipano la decadenza? Speriamo di no, sicuramente è un disperato tentativo di rendere onore ad un vitigno/vino che - a parte i riscontri della recente genetica - ha soddisfatto la bramosia vinaria di schiere di bevitori grazie alla sua gentile forza vinosa. Custodita purtroppo nei piacevoli ricordi.