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Bisogna distinguere il biologico dal tanto ostentato, mediaticamente, cornoletame: senza scandali o accuse tra schiere di contadini

I tanti interpreti trentini della biodinamica nel contesto vinicolo lasciano l'assoluta libertà di giudizio, liberando di fatto quella dose di fantasia che l'assaggio di un vino, o di un prodotto agricolo, deve suscitare
DAL BLOG
Di Ades, by Nereo Pederzolli - 30 maggio 2021

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia

Più che rumore è un fruscio, comunque stridulo. Perché – citando Mao – c’è tanta confusione sotto il cielo. Ma NON è (in questo caso) una situazione eccellente. La questione è legata al clamore mediatico sulla pratica agronomica al tanto ‘vituperato’ cornoletame. Forse perché la parola stessa è affascinante. Come pratiche agricole altrettanto strambe, talmente inusuali da sembrare riti esoterici, presunte stregonerie materiche. Subito una doverosa precisazione. Questa.

 

La proposta di legge – che a breve sarà discussa alla Camera, dopo l’iter positivo al Senato - prevede sostegni alle colture biologiche. Certificate. Che non si devono confondere con le pratiche agricole improntate alla biodinamica. Un distinguo non da poco, che verrebbe meno proprio in funzione di un passaggio del Ddl, in cui l'agricoltura biodinamica viene equiparata a quella biologica. La prima, però, non ha un sistema ufficiale di ‘certificazione’. Può – o meglio: potrebbe – avere un supporto finanziario solo se, e in quanto, dotata di una specifica appropriata certificazione come agribio. Un riscontro che poche aziende biodinamiche possono dimostrare. Dunque, bisogna distinguere il biologico dal tanto ostentato – mediaticamente – cornoletame.

 

Senza suscitare scandali, senza scambiare accuse tra schiere di contadini di ‘tradizione’ e quanti praticano personalissime, libere, pure contraddittorie, talvolta astruse, ma comunque diffuse attività colturali.

 

Lo fanno per scelta di vita, per lasciare spazio alla stessa fantasia legata anzitutto ad un prodotto agricolo come il vino. Tra le Dolomiti le teorie di Rudolf Steiner – teosofo croato/austroungarico d’inizio Novecento – hanno fatto capolino da diversi decenni. Merito di alcuni enologi, espertissimi e altrettanto coraggiosi visionari.

 

Tra i primi Rainer Zierock, esperienze enologiche in mezzo mondo, approdato alla scuola agraria di San Michele sul finire degli anni ’70 e subito protagonista e ‘stimolatore’ di forme colturali d’impostazione filosofica. Lui – prematuramente scomparso – è stato tra i leader a propugnare la biodinamica. Coinvolgendo anzitutto sua moglie Elisabetta Foradori. Ed è ancora lei, la ‘Signora del Teroldego’, la vera e autorevole interprete (a livello europeo) di forme biodinamiche legate al vino. Elisabetta Foradori e i suoi figli, Teo, Emilio e Myrta, autentici quanto entusiasti agricoltori biodinamici.

 

Vinificano rispettando rigidi parametri biodinamici, coltivano pure ortaggi e addirittura conducono una stalla sul Baldo, proponendo formaggi d’assoluta qualità. Biodinamica.

Non ostentano e non impongono le loro pratiche produttive. Al consumatore non chiedono di mirare alle procedure colturali. Per bere senza ideologia’, puntando anzitutto e principalmente al piacere che suscita il sorso.

 

Lasciano – i Foradori, come altri interpreti, tra i quali alcuni vignaioli trentini de I Dolomitici - l’assoluta libertà di giudizio. Liberano, di fatto, quella dose di fantasia che l’assaggio di un vino – o di un prodotto agricolo – deve suscitare. Rispettando il gusto. Al quale non si comanda. Indipendentemente dal cornoletame.

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