Romania, il popolo blocca il decreto 'salva-corrotti', il console trentino: "Mobilitazione importante e pacifica"
Oltre 500 mila persone sono scese in piazza per protestare contro il decreto legge e per chiedere le dimissioni dell'esecutivo. Il governo fatica a iniziare il proprio mandato dopo le elezioni dello scorso dicembre. Passerotti: "Un errore la bassa affluenza alle urne"

TRENTO. Un inizio d'anno teso e difficile per la giovane democrazia rumena, ancora parzialmente in stallo dopo le elezioni di domenica 11 dicembre e le proteste contro la corruzione di questo inizio febbraio. Gli ingredienti della crisi in Romania iniziano a mescolarsi all'indomani della tornata elettorale. Il partito socialdemocratico di Liviu Dragnea strappa il 45,68%, aprendo di fatto una crisi istituzionale: sulla testa del leader pende infatti una condanna di 2 anni per corruzione e il presidente Klaus Iohannis, che non ha mai fatto mistero della contrarietà a nominare un primo ministro con precedenti giudiziari, conferma il suo 'niet' all'affidamento dell'incarico. Nelle stanze dei bottoni inizia il piano B per trovare una guida al paese e, dopo alcuni toto nomi, verso fine dicembre la scelta ricade su Sorin Grindeanu. Sembra l'epilogo.
La Romania invece si infiamma a inizio di questo mese: la popolazione si riversa in piazza per manifestare contro il governo, ma soprattutto contro il decreto 'salva corrotti', una legge per depenalizzare i reati di corruzione e abuso d’ufficio con pene inferiori ai cinque anni. Questo provvedimento ha scatenato manifestazioni e proteste in strada, in circa una settimana oltre 500 mila persone si sono radunate per dar voce al proprio dissenso e chiedendo le dimissioni dell’esecutivo. Il decreto viene ritirato, ma intanto scatta il caso Calin Tariceanu, leader della Alde, il partito liberale alleato nella coalizione con il Psd, e presidente del Senato.
Tariceanu sarà processato per accuse di frode e falsa testimonianza: una decisione che alimenta ulteriormente il dissenso e le proteste in piazza in queste ore.
Un quadro complesso e abbiamo fatto il punto con Maurizio Passerotti, console onorario di Romania per il Trentino Alto Adige, appena rientrato nel capoluogo da Milano con 100 libri in lingua rumena per la 'sezione lingua originale' della Biblioteca comunale di via Roma: "Una donazione dell'associazione italo-rumena - dice - ma non sarà l'ultima tranche di libri, cerchiamo di creare coinvolgimento, integrazione e identità attraverso anche queste azioni".
L'attuale crisi ricorda quanto già vissuto in Italia quando cadde la cosiddetta Prima Repubblica. La Romania, una democrazia ancora giovane, si scontra oggi contro la corruzione.
Si tratta certamente di una situazione particolare e difficile per questo Paese, il decreto legge ha indispettito la cittadinanza, che è scesa in piazza per protestare contro il governo: un movimento spontaneo, una mobilitazione importante e pacifica che ha portato al passo indietro e al ritiro della legge 'salva corrotti'. Anche le forze dell'ordine hanno mantenuto un atteggiamento molto positivo, evitando di creare ulteriori tensioni. Ora però in modo poco coerente la popolazione chiede nuove elezioni: il problema in questo caso è dettato dalla scarsa affluenza alle urne nell'ultima tornata elettorale (il 40% degli aventi diritto ha espresso una preferenza, ndr). Un ritorno al voto sarebbe un errore democratico, un paradosso totalitaristico per una popolazione stanca verso il governo e le istituzioni.
Dopo il deciso 'No' presidenziale a Liviu Dragnea e prima della nomina di Sorin Grindeanu, è stata ventilata l'ipotesi di nominare Sevil Shhaideh: una donna di religione musulmana ha accarezzato per qualche ora lo scranno di premier.
La Romania è una nazione laica e questa ipotesi ha completamente rotto gli schemi. La legge rumena garantisce un deputato sicuro per tutte e diciotto le minoranze, compresa quella italiana. Non credo che la marcia indietro sia stata dettata dal fatto che è donna e neppure per il suo credo religioso, ma piuttosto perché rappresenta una minoranza, in questo caso turca. La combinazione di questi elementi sarebbe stato probabilmente un salto troppo veloce per l'esecutivo.
L'unico punto certo sembra quindi il presidente della Nazione, Klaus Iohannis, come potrà uscire da questo impasse? Verrà riproposto un governo tecnico dell'indipendente Dacian Ciolos?
Il presidente è stato eletto a furor di popolo: la Romania vive un'anomalia dove una forza politica guida la più alta carica istituzionale, mentre quella opposta il governo, che troverà fra i propri ranghi una soluzione, mentre vedo difficile un nuovo governo tecnico. La situazione internazionale è scombinata e la crisi è un po' strutturale: Trump negli Stati Uniti, la Brexit, le spinte ultranazionaliste in Francia, le difficoltà in Italia. Una democrazia matura fatica a trovare i suoi punti di riferimento, a maggior ragione quella giovane della Romania.
La Romania vive profonde contraddizioni: un welfare mediamente basso e un tasso di mortalità infantile fra le più alti in Europa, ma quest’anno dovrebbe raggiungere una crescita del 5,1% del Pil, la più alta all'interno dell'intera Unione europea. Questa crisi istituzionale potrebbe fermare queste spinte?
L'economia percorre una propria strada, certo le turbolenze magari possono distrarre questa crescita, ma alla fine sono sicuro che queste proiezioni saranno confermate. Oltre alla necessità di migliorare il 'sistema' e la qualità della vita, è importante risolvere questa crisi di governo in vista del 2019, quando è in programma il primo semestre di presidenza rumena dell’Unione europea. Il presidente rumeno si è schierato apertamente a favore del popolo in protesta e ha chiesto al governo di dimostrare trasparenza e prendere decisione per la società.