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Marcialonga, 44 anni di storia: dalle vecchie Reflex, all'inseguimento di Kostner, ai 6.983 bisonti d'oggi. Cambiano i tempi ma la passione (anche culinaria) resta

Mario Cristofolini, Giulio Giovannini, Roberto Moggio e Nele Zorzi nel 1971 riuscirono a concretizzare un sogno che domenica riporterà in pista migliaia di appassionati e campioni. Ma oggi l'evento è anche "magnalonga" grazie a una tradizione culinaria (quella fiemmese) tra le migliori delle Alpi

L'arrivo di Ulrico Kostner vincitore della Marcialonga del 1971
Di Nereo Pederzolli - 28 gennaio 2017 - 17:10

CAVALESE. Quarantaquattro … edizioni, con tutti in fila su quattro solchi, sottili, candidi, difficili quanto invitanti. Fondisti alla riscossa. Una colonna sempre più numerosa. Scalpitante, variegata, per nulla campanilista. Che si trasforma in un dinamico, unitario collegamento tra Fiemme e Fassa, puntando principalmente sulla parola ‘longa’. In tutto, non solo per i 6 mila 983 ufficialmente iscritti, sci ai piedi, pronti al via di domani mattina. Esattamente 6 volte il numero dei temerari che faticarono nella prima storica edizione, nel lontano 7 febbraio 1971.

 

Marcialonga di Fiemme e Fassa, icona di caparbietà, non prettamente sportiva. Lo era agli albori, forse più delle recenti edizioni. Esigenze di gara, impegni televisivi e doverosa tutela di quanti giungono in valle da mezzo mondo. Che costringe gli organizzatori a faticare per davvero nella gestione del tracciato di gara, con la neve – nonostante i fatidici ‘giorni della merla‘, solitamente i più bianchi dell’inverno – che fiocca solo dalla bocca dei cannoni disseminati sul percorso. Ore e ore di turbine, per trasformare l’acqua dell’Avisio in cristalli ghiacciati, opportunamente poi depositati sui solchi di gara da migliaia di camion carichi di oro bianco. E’ il prezzo da pagare alla spettacolarità mediatica dello sci da fondo. Tra sponsor e interminabili dirette televisive che i satelliti mandano nei paesi del profondo Nord Europa, pure – uno dei producer è il trentino Lorenzo Girardi, della Siriofilm – tra stupiti sportivi dell’immensa Cina, dove lo sci nordico registra percentuali di crescita strabilianti. Come dire: la Marcialonga nei luoghi della Grande Marcia delle Guardie Rosse del presidente Mao Tze-Tung.

 

Quarantaquattro edizioni che segnano l’evoluzione stessa dello sci nordico. Impossibile fare confronti o paragoni con la partenza originaria. Quando si concretizzò la strampalata (vincente) idea di copiare tra le Dolomiti l’alone leggendario della mitica Vasaloppet, corsa per eccellenza del popolo svedese. Mario Cristofolini, Giulio Giovannini, Roberto Moggio e Nele Zorzi riuscirono a concretizzare un sogno, coinvolgendo due vallate solitamente campanilistiche. Stimolati pure da uno dei pionieri dello sci da fondo, quel Franco Nones, fiemmese DOC, che tre anni prima aveva conquistato l’oro alle Olimpiadi bianche di Grenoble, grande favorito della vigilia, tuttora beniamino dei fondisti azzurri. Mobilitando tutta la comunità locale, le Scuole Alpine delle Fiamme Gialle di Predazzo e quella delle Fiamme Oro, i poliziotti di Moena. Trasformando la Marcialonga in evento corale, ben più importante della competizione sportiva.

 

Bisonti e lepri, poi fondisti sempre più preparati, fuoriclasse indiscutibili, ma che lasciano spazio a quanti ancora si cimentano per una sfida assolutamente personale. Indipendentemente dai tempi di percorrenza. Evoluzione nello stile – a spinta, passo pattinato o a piacere – e nella dotazione tecnica. Addio a sottili assi di legno, sci ai piedi lunghi, pesanti, la sciolina che non aderisce, i segreti per renderli scorrevoli, attacchi, calzature, tute, maglioni. Berretti e folklore. Fatica e colori. Applausi, i campanacci che ritmano le spinte dei meno veloci. Maschere ladine, il carnevale della tradizione locale tra tute sintetiche e abbigliamento sportivo.

 

Storie di sci, momenti di gioia. Sudore e baldoria. Senza alcuna fretta. Le prime donne al via – inizialmente la corsa era riservata esclusivamente ai maschi – la grazia e la potenza. E ancora: l’ultimo al traguardo che riceve la corona d’alloro identica al vincitore assoluto. Ecco forse è proprio questa scelta sportiva che rende unica la gara. Umana quanto memorabile. L’ultimo e il primo, uniti, ugualmente vincenti in un tripudio sincero. Proprio l’immagine dell’ultimo ‘bisonte’ che giunge a Cavalese all’ora di cena è quella che più cito con piacere nell’ mio amarcord marcialonghista.

 

Ricordo le foto che riuscii a scattare grazie alla mia Canon FX sincronizzata con un flash a lampade, l’unico aggeggio ‘illuminante’ di quella sera del 7 febbraio, al termine di uno dei miei primi reportage, a fianco di un Maestro come Flavio Faganello. Al quale non scattò il flash. Così, nel mio piccolo, riuscii a cogliere quell’attimo.

 

A proposito di evoluzione mediatica. Basta vedere la foto ufficiale del vincitore della prima edizione, Ulrico Kostner. Sul traguardo (io c’ero, tra i pochi con un teleobiettivo 300 millimetri) solo vecchie reflex, qualche Rollei e un cineoperatore che corre - in un improbabile piano sequenza – brandendo l’Arriflex con pochi metri di pellicola in bianconero nel caricatore e un vistoso esposimetro al collo. Adesso è tutto digitalizzato, tutto perfettamente in rete, in tempo reale, satelliti, social network, tra Facebook e Twitter. I campioni accolti come vere e proprie rockstar, nonostante cognomi norvegesi o svedesi alquanto impronunciabili. Atleti con un seguito tecnico non solo competitivo. Abituati a frequentare Fiemme, lo Stadio del Ghiaccio e un ‘parterre’ da campionati assoluti, le pendici del Cermis come teatro mondiale dello sci da fondo. Tra agonismo e – aspetto per nulla da tralasciare - sfide pure golose. Proprio così.

 

Da almeno una decina d’anni, la Marcialonga diventa anche una ‘magnalonga’. Perché ogni ristorante, ogni albergo delle vallate, scende in pista con le migliori ghiottonerie. Riservate pure ai concorrenti, in punti ristoro approntati con massima cura e perfettamente in grado di soddisfare attacchi di fame o di sete di quanti arrancano verso il traguardo. Marcialonghisti che forse non riusciranno, la vigilia, a gustare al meglio le specialità culinarie di una delle zone dove meglio si mangia tra le Alpi. Fama raggiunta anche grazie al carosello promozionale dello sci da fondo. E viceversa. Cucina sopraffina, identità tutta trentina. Non a caso gli sponsor della Granfondo sono prevalentemente legati all’agroalimentare trentino. Melinda e Cavit, a fianco di coop e aziende locali. Imprenditori fiemmesi abituati a competere nell’evoluzione del gusto.

 

Citazione d’obbligo per Felicetti, pasta che nasce a Predazzo, protagonista sulle tavole più esclusive del mondo e nel contempo pasta della quotidianità. Cibo e sci, in uno scambio altrettanto coinvolgente. Merito di cuochi come Alessandro Gilmozzi, nel suo ovattato Molin di Cavalese. Oppure i menù dei Donei, nel suggestivo ‘resort’ di Malga Panna, sopra Moena. Per non parlare di Stefano Ghetta, ladino de L’ Chimpl da Tamion, nome che evoca l’uccellino simbolo delle Dolomiti fassane. Ogni paese ospita qualche compagine e tante le compagnie che prima o dopo la Marcialonga rendono onore alle bontà territoriali.

 

Formaggi celebri come il Puzzone di Moena o l’omologo Spetz Tsaorì dell’alta val di Fassa. Non manca neppure la birra nostrana, una capillare proposta di vini e l’educazione al buon bere. Vini suggeriti magari da Sergio Anesi, sommelier di Canazei, che dalla cantina del suo Pael è in grado di stappare bottiglie strabilianti. Per una Marcia bevilonga. Ma questa è un’altra storia.

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