L'ultimo saluto a don Pedro: dalla difesa del ponte di Lavis alla Val di Fiemme, l'addio in Patagonia
Nato ad Ora don Pietro Pernbrunner da giovane era vissuto in Valfloriana. Nel '44 era con la Polizia Trentina in difesa del ponte dei Vodi a Lavis, poi i voti e la lunga esperienza di missionario in Sudamerica dove si è spento a 91 anni la scorsa settimana

TRENTO. La settimana scorsa don Pietro Pernbrunner ha attraversato il fiume, come si dice in questi casi, all'età di 91 anni, concludendo così una vita spesa per il prossimo dopo oltre 60 anni trascorsi come missionario in Sudamerica. Si è spento lasciando le immense praterie della Patagonia, i venti fortissimi, l'escursione termica e la lotta per il petrolio.
Nato ad Ora in provincia di Bolzano il 13 luglio 1925, trascorre i primi anni a Ischiazza, un paesino ora scomparso che sorgeva nelle vicinanze del comune di Valfloriana.
Proveniente da una famiglia semplice, Pietro rimane a casa per aiutare i genitori, Pietro e Maria, nei lavori giornalieri, mentre il fratello Mario e la sorella Rita (la maestra recentemente scomparsa, autrice di diversi libri fra i quali “Storia di Stramentizzo”) vanno a studiare in collegio.
Il giovane Pietro, all'apparenza di indole calma, in realtà è irrequieto e brucia nell'animo: non riesce a trovare la sua strada. E' attanagliato dall'angoscia di non avere una meta.
Scopo che troverà però una volta assolto l'obbligo militare (nel '44 fra le fila della Polizia Trentina difende il ponte dei Vodi a Lavis). Siamo nel 1946 e all'età di 21 anni Pietro si presenta a Verona alla Congregazione di don Bosco, mentre il 15 agosto del 1951 prende i voti della professione religiosa. Dopo una breve esperienza a Rovereto, nel 1954 la svolta definitiva: la prima missione all'estero con popoli diversi, lingue e tradizioni nuove.

“La prima missione salesiana in Patagonia – ricorda un prete trentino – avvenne l'11 novembre del 1875. Don Bosco è sempre stato concreto: molti emigrati italiani e le popolazioni degli Indios bisognosi di aiuto si trovavano in Argentina, una terra inoltre digiuna di cristianità. Risale a quell'epoca la cartografia della Patagonia, le vette delle Ande e la Terra del Fuoco grazie alle esplorazioni di Alberto Maria DeAgostini (fratello di Giovanni, fondatore dell'Istituto Geografico DeAgsotini, ndr)”.
Il 5 gennaio 1954 Pietro si imbarca a Genova con destinazione Fortin Mercedes. Don Pedro, come lo chiamano affettuosamente in argentina, ha iniziato la propria la missione da Bahia Blanca. Punto di partenza e di arrivo della sua vita fra i più poveri con tappe a Gral Acha, Villada, Cordoba, Cipolletti, San Carlos de Bariloche, Viedma, Juanin de Los Andes, Stroeder, Chos Malal, General Roca e Neuquen.
“I primi vescovi missionari – prosegue il prete salesiano – furono piemontesi, ma il contributo decisivo venne dato da trentini e veneti. I missionari salesiani sono stati accolti subito molto bene per via dell'operosità che ha contribuito alla salute e all'istruzione con la costruzione di scuole e ospedali, ma anche interventi in campo agricolo e la cura del bestiame”.
Come ricordano in Patagonia, don Pedro si è contraddistinto per aver mantenuto la sua umiltà e la giovinezza spirituale della prima ora, ma era molto legato alle sue origini e ogni tanto tornava a casa nella sua Molina di Fiemme.
“Oggi la Patagonia ovviamente è cambiata. Il missionario assolve un ruolo non facile e che tutt'ora presenta enormi difficoltà. All'inizio l'opera salesiana si frapponeva fra l'esercito e gli indios per evitare massacri e genocidi in un terra estremamente remota. Tanti furono gli interventi per stabilizzare la situazione. Ora invece si parla della Patagonia delle risorse: minerali e petrolio. La sfida è mantenere l'identità degli Indios rispetto alla società globalizzata”.
Una realtà non isolata nel mondo, un compito e una missione che non si limitano alla Patagonia: “Aleppo, Damasco, Sud Sudan – conclude - sono territori molto caldi. In Sud Etiopia sono sorte intere megalopoli di gente scappata dalle loro case, guerra e fame. I nostri missionari invece non fuggono e non abbandonano quei luoghi. Assicurano la propria presenza per aiutare i poveri e i deboli a rischio della loro stessa vita”.