Lamin, il richiedente asilo che aveva un sogno: aggiustare le auto. Ora fa il meccanico a Pergine Valsugana
Fuggito dal Gambia, incarcerato in Libia: "Non sopportavo più la situazione e ho pagato uno scafista". Il figlio del datore di lavoro: "Quando è rimasto senza alloggio lo abbiamo ospitato a casa nostra".

PERGINE VALSUGANA. Si chiama Lamin ed è l’unico dipendente di un’autofficina della frazione di Canezza. L’impresa ha cominciato la propria attività più di un anno fa, in concomitanza con l’avvio del tirocinio del giovane richiedente protezione internazionale. Azienda e tirocinante hanno iniziato dunque insieme un cammino di crescita aziendale, professionale ma anche umana. Oggi Lamin è un apprendista dipendente come meccanico auto, uscito da alcuni mesi dal progetto di accoglienza per richiedenti asilo in quanto titolare di reddito.
“Quando è rimasto senza alloggio abbiamo ospitato Lamin a casa nostra, è quasi come uno di famiglia”, spiega il figlio del titolare dell’autofficina che prosegue: “Abbiamo notato che questo ragazzo aveva delle conoscenze per quanto riguarda l’attività in officina e ora certi lavori li svolge in autonomia, mentre altri li facciamo insieme. Deve imparare meglio l’italiano e per questo abbiamo fatto un ‘patto’, ovvero uno ‘scambio’ di conoscenze, ogni sera, fra lingua italiana e lingua inglese”.
A confermare le capacità come meccanico del giovane gambiano è anche l’operatore dell’accoglienza che lo ha seguito nel percorso di inserimento lavorativo presso l’officina. “Lamin aveva chiaro il proprio obiettivo e cioè riprendere a svolgere il mestiere appreso dai familiari”, afferma l’operatore Stefano, aggiungendo che “dopo un mese a titolo gratuito di tirocinio, sono seguiti un altro mese con una borsa di quattrocento euro e altri quattro mesi con cinquecento euro, tutto a carico dell’azienda.
Il tirocinio si è concluso con l’assunzione con un contratto di dipendente apprendista, attingendo al bonus occupazionale del progetto “Garanzia Giovani”.
Lamin parla con relativa serenità del proprio passato; anzi, sembra contento di poter “dare sfogo” ai traumi che ha dovuto subire. “Ho studiato – ci racconta – in lingua inglese fino all'età di nove anni. Non ho fratelli né sorelle; sono rimasto senza genitori a causa di un incidente automobilistico nel periodo in cui ho iniziato a dare una mano a mio padre e a mio zio nell'officina di famiglia".

"Avevo quasi sedici anni quando ho perso anche lo zio, diventato il mio capo in officina. Un giorno – prosegue Lamin – un cliente è venuto con una macchina da riparare; mio zio mi ha chiesto le chiavi ed è partito con quella macchina. L’ho aspettato cinque giorni che a me sono sembrati lunghissimi. Avevo tanta paura; sono andato a denunciare la sua scomparsa alla polizia".
"Il nonno (che probabilmente aveva intuito un atto di violenza ai danni dello zio, ndr) mi ha detto però che era meglio andarsene via ed è stato proprio il nonno ad aiutarmi a scappare in Senegal per non rischiare di fare la stessa fine dello zio e dei miei genitori. Quindi la mia prima meta è stata il Senegal. Dopo tre mesi ho proseguito il viaggio in Mali, Burkina Faso, Nigeria e infine Libia. In ogni paese cambiavo mezzo ma erano sempre furgoni".
"In Libia sono rimasto quattro anni, di cui due occupandomi della lavorazione della frutta. Ho conosciuto anche – prosegue il giovane gambiano – cosa vuol dire vivere subendo maltrattamenti in un carcere libico. Per le strade eravamo spesso minacciati con le pistole e dovevamo dare tutti i soldi guadagnati. Io ero un semplice adolescente che non amava rubare, non amava la violenza. I miei genitori mi avevano inculcato fin da piccolo l’onestà, il rispetto".
"A un certo punto non sono più riuscito a sopportare tutta quella situazione. Un giorno, come tanti altri, ho pagato uno scafista e sono salito su un barcone per attraversare il mare e raggiungere l’Europa. Non sapevo a cosa andavo incontro realmente e cosa mi avrebbe aspettato in mare”.
Lamin è tra i fortunati che sono arrivati fino a destinazione; lo ha pensato egli stesso quando ha messo piede sulle coste italiane, dove è iniziata per lui una nuova vita. Per due mesi ha vissuto in Sicilia, poi è arrivato in Trentino. Per cinque mesi è stato accolto nella residenza di Castelfondo (Val di Non), poi in un appartamento a Trento.
Come gli altri richiedenti asilo in Trentino, è stato seguito nel percorso della domanda d’asilo e negli aspetti riguardanti l’inserimento sociale, l’apprendimento delle regole e della lingua italiana, fino all'orientamento al lavoro.
Lamin aveva circa vent’anni quando è arrivato in Italia; ora ne ha ventidue e ha già parzialmente raggiunto la propria autonomia grazie alle indicazioni della rete dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Trentino e grazie alle competenze personali acquisite lavorando in patria. Competenze che rappresentano, per Lamin, una preziosa eredità ricevuta dal papà e dallo zio.