Il processo alla "coppia dell'acido" è alle battute finali. Parla Chiara Graffer, l'avvocata trentina che assiste una delle vittime
"Si discute sulla possibilità di inserire nel nostro ordinamentol'omicidio di identità per sanzionare in maniera più incisiva chi pensi di poter annullare la soggettività delle persone usando armi come il lancio dell’acido

TRENTO. La cronaca nera italiana degli ultimi anni ha portato alle luci della ribalta il macabro caso di Alexander Boettcher e Martina Levato, meglio conosciuti come “la coppia dell’acido”. Una triste vicenda che ha colpito tutti fin nel profondo, ma che ha coinvolto direttamente, per aver assistito alcune delle vittime, l'avvocata trentina Chiara Graffer.
Ma prima di sentire le parole dell'avvocata Graffer, proviamo a ricostruire questi tragici fatti, ripercorrendo sia la cronaca nera che quella giudiziaria.
Verso la fine del 2014, la studentessa bocconiana Martina Levato era stata colta in flagranza di reato mentre sfigurava con l’acido Pietro Barbini, ragazzo all'epoca ventiduenne reo di averla frequentata ai tempi del liceo. Ben presto si fece luce sulla vicenda e si scoprì che il caso non era isolato.
Poco tempo prima i due amanti (lei e Alexander Boettcher, unitamente - come si scoprirà - ad un terzo complice, Andrea Magnani) avevano aggredito altri “ex” di lei tra cui il “collega” bocconiano Antonio Margarito, Stefano Savi e Giuliano Carparelli.
Erano atti di purificazione che Martina Levato praticava assieme al suo compagno, per redimersi dagli errori del passato e cancellare ogni traccia delle sue relazioni in modo da apparire “ripulita dalle sue debolezze”. La pericolosità della coppia è ben testimoniata dalle parole del Gip depositate nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere: “Chi scrive ha avuto a che fare con delinquenti di ogni livello e categoria mafiosi, 'ndranghetisti, rapinatori a mano armata, terroristi pronti a uccidere persone inermi, assassini di professione. Ebbene, mai si è avvertita una percezione di così intenso pericolo”.
Nelle aule dei tribunali milanesi è iniziata così un complesso percorso processuale che proprio in questi giorni sta trovando parziale definizione. Due distinti processi, contornati da fisiologici ricorsi in appello, hanno delineato per ora la seguente situazione: Martina Levato è stata condannata, con sentenza passata in giudicato, a 12 anni per l’aggressione a Pietro Barbini, a cui si sommano i 16 anni di condanna inflitti nel secondo filone processuale che la vede coinvolta anche per l’imputazione di associazione per delinquere (con l’ingresso fra gli imputati di Andrea Magnani, condannato a 9 anni e 4 mesi di reclusione) e numerose altre aggressioni, per un totale (provvisorio) di 28 anni.
Alexander Boettcher, invece, si è visto infliggere una pena complessiva, sommatoria di ambo due i processi, di 37 anni di reclusione, parte della quale è ancora soggetta a ricorso in appello da parte dei legali del broker (questa la professione dell'imputato).
Una protagonista di questa storica vicenda processuale è stata, come detto all'inizio, l’avvocata trentina Chiara Graffer, difensore sia di Pietro Barbini nel primo processo (in collaborazione con lo studio Tosoni) sia di Giuliano Carparelli per quanto concerne il secondo filone d’inchiesta.Grande
“La vicenda processuale è stata molto articolata, perché gli imputati hanno fatto scelte processuali diverse. Per l’aggressione a Pietro Barbini, Levato e Boettcher sono stati sottoposti a giudizio direttissimo (scegliendo poi il rito abbreviato) per essere stati arrestati in flagranza di reato. Mentre Magnani, figura che è emersa successivamente sulla scorta delle indagini, è entrato solo nel secondo filone processuale” commenta Chiara Graffer.
“L’ingresso di Magnani tra gli indagati ha permesso al Pubblico Ministero di contestare anche il reato di associazione per delinquere, sottolineando ancora una volta la gravità di questa vicenda. La grande attenzione mediatica riservata a questo processo – spiega l'avvocata – è frutto di diversi fattori: all'interno di un unico procedimento si trovano la 'Milano bene', lo sfondo sessuale, ragazzi giovani e il terribile utilizzo di una sostanza corrosiva, elementi che hanno sicuramente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica”.
“Con il caso di Lucia Annibali prima e di Pietro Barbini poi, le pene per le aggressioni con acido si sono anche sensibilmente innalzate, tant'è che si discute sulla possibilità di inserire nel nostro ordinamento il cosiddetto omicidio di identità – continua Chiara Graffer – in modo da sanzionare in maniera più incisiva chi pensi di poter annullare la soggettività delle persone usando armi come il lancio dell’acido.”
