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Hikikomori, anche in Trentino i primi casi. I giovani si chiudono in camera e abbandonano anche la scuola. Ricci: "Fenomeno in crescita. Solo le famiglie possono aiutarli"

All'Ama di Trento è stato creato un gruppo per le famiglie che hanno hikikomori in casa. Abbiamo intervistato la maggiore esperta italiana in materia, ricercatrice a Tokyo: "Sono giovani introversi, di solito sensibili e intelligenti che decidono di vivere in camera anche per anni. Internet e i video-games accentuano il fenomeno. Il vero problema è per le famiglie che non sanno come agire"

Di Luca Pianesi - 05 marzo 2017 - 07:53

TRENTO. Il termine, tradotto dal giapponese significa "isolarsi", "stare in disparte" ed indica quei giovani che decidono di chiudersi in camera da letto e di rinunciare, così, alla vita sociale per lunghi periodi, a volte anche per anni. Loro dicono di stare bene, di sentirsi felici così, senza avere nessun contatto diretto con il mondo esterno a passare il loro tempo tra internet, videogiochi, libri, televisioni. Dall'esterno vengono visti come dei disturbati, dei malati mentali o dei viziati, ai quali i genitori non riescono a dire "esci di qui e vivi". Ma la questione non è così semplice. Stiamo parlando degli hikikomori, uno dei grandi problemi del Giappone che da qualche anno sta prendendo piede anche in Italia e anche in Trentino. Oggi il gruppo di Auto mutuo aiuto (Ama) di Trento, infatti, segue già alcune famiglie ma sono, probabilmente, ancor più numerosi i casi visto che molto spesso gli hakikomori vengono confusi con depressi, agorafobici e simili e il fenomeno è in generale poco conosciuto e, di conseguenza, affrontato in modo sbagliato.

 

"A livello di diagnostica in Italia gli hakikomori non esistono - ci spiega Miriam Vanzetta una delle responsabili dell'Ama - eppure si stima ci siano circa 30.000 persone in questa situazione. Anche a Trento stiamo seguendo alcuni casi. Capita, infatti, anche qui che ragazzini e ragazzine comincino a uscire di casa sempre di meno e poi finiscano anche per non andare più a scuola. E, parallelamente al problema che sta vivendo il giovane, c'è il forte disagio delle famiglie che sono totalmente abbandonate a se stesse e lasciate senza strumenti per agire. Noi abbiamo dato il via a un gruppo di auto mutuo aiuto che è aperto a tutti i genitori che pensano di averne bisogno".

 

Non è facile, infatti, intervenire con un hakikomori. Il ragazzo comincia tagliando i rapporti con amici e parenti, finendo per chiudersi sempre di più in se stesso. La sua camera diventa il suo mondo, smette di girare anche in casa, se non di notte quando gli altri inquilini dormono. Lui, infatti, spesso, dorme di giorno ribaltando i suoi ritmi naturali per amplificare il suo isolamento. E nonostante siano, quasi sempre, ragazzi e ragazze intelligenti e bravi a scuola alla fine finiscono per non andarci più magari chiudendo il ciclo di studi con esami da privatisti. In Giappone (fonte hikikomoriitalia.it) nel 2016 un sondaggio condotto dal governo ha calcolato che gli hikikomori tra i 15 e i 39 anni sarebbero circa 541.000. Ma nel paese del sol levante sono anni che gli hikikomori esistono e quindi ci sono adulti con anche più di 40 anni che vivono murati in casa. Dunque si calcola siano circa 1 milione, circa l'1% della popolazione giapponese. Per capirne di più abbiamo intervistato l'antropologa e ricercatrice all'Università di Tokyo Carla Ricci, una delle massime esperte italiane sull'argomento.

 

Dottoressa, ci aiuti a capire. Gli hikikomori esistono davvero anche in Italia?

 

Certo che sì. I primi casi si sono resi visibili nel 2007. Sulla loro presenza numerica non esistono dati ufficiali ma alcune stime indicano alcune migliaia a cui si devono aggiungere i moltissimi casi che rimangono nell’ombra per la riluttanza della famiglia a parlarne o per la difficoltà ad affrontarli. Indipendentemente dal loro numero io non ho dubbi che sia destinato ad aumentare.

Come si fa ad identificarlo e a capire che non è depressione o agorafobia o una malattia di qualche tipo?

 

Hikikomori non è una malattia anche se gli effetti di una lunga reclusione possono produrre disagi principalmente di natura fobica. Il giovane che diventa hikikomori non è un depresso e non ha comportamenti da schizofrenico o agorafobico. Sostanzialmente è un giovane introverso, di solito sensibile e intelligente che per diversi motivi si rifiuta di andare a scuola e di partecipare ad una normale vita sociale ritenendo che la cosa migliore per lui sia rinchiudersi in camera ad oltranza. Se in Italia questo fenomeno viene spesso definito malattia è perché manca di sufficienti approfondimenti.

 

Che dramma vivono i ragazzi? E le famiglie?

 

Solitamente il dramma non è dei ragazzi ma delle famiglie. Certo, diversi giovani possono giungere ad ammettere che vorrebbero uscire dalla stanza ma che non riescono più a farlo e hanno diversi conflitti, anche interiori, tuttavia la loro reclusione sembra indiscutibile e sostanzialmente vorrebbero che la famiglia li accettasse così come sono. I genitori invece, impotenti e sconfortati, non si capacitano del perché una simile faccenda sia capitata proprio a loro che per quel figlio hanno fatto tutto. Lasciano passare il tempo sperando che la situazione si normalizzi, tentano di abituarsi tenendo la cosa segreta o cercano di affrontarla cercando un aiuto psicologico, cosa complessa per molti motivi.

 

Da profano e rozzo quale sono mi verrebbe da dire "ma dategli un calcio nel sedere a quel ragazzo e portatelo a scuola a forza, costringetelo ad uscire". E' così semplice superare il problema?

 

Non conosco casi né in Giappone né in Italia che si siano svolti in questo modo. In realtà quel giovane è “un bravo ragazzo” niente affatto scorretto, spesso più riflessivo e più intelligente della media e ritengo che i genitori non se la sentano di usare modi rudi. Inoltre osservando le abitudini attuali, è ben evidente che le famiglie tendono a offrire molta protezione ai figli evitando accuratamente di esporli alle difficoltà. E non è un caso che nella complessa evoluzione di hikikomori la componente della super-protezione famigliare, così come una relazione molto stretta fra madre e figlio, siano considerate importanti concause. Sono condizioni che producono debolezza psicologica e forte narcisismo cosicché screzi con compagni, forme di bullismo, difficoltà comunicative vengono sentite come ferite difficilmente rimarginabili e che possono aprire la strada all’autoreclusione.

 

Come mai in Giappone è così diffuso e perché si sta diffondendo anche Italia e in Europa?

 

Il fenomeno si sviluppa nelle società definite “economicamente emancipate” fondate su valori prettamente materialistici e dove competizione e pressione sociale sono regole di vita. Il Giappone rispetto all’Europa è in questo un precursore inoltre la forte identità sociale dei suoi abitanti e altre peculiarità culturali attivano conflitti pesanti rendendo il terreno particolarmente fertile al fenomeno. Non è sempre esistito e può essere definito un amaro frutto della civiltà contemporanea dalla quale si è propagata un’altra importante concausa del fenomeno, vale a dire la dipendenza da Internet. Il giovane infatti, indipendentemente dal Paese in cui vive, nella propria stanza e con il mezzo virtuale (usato soprattutto per video giochi) si sente libero, indipendente, gli sembra di non avere bisogno di nessuno e di niente anche se man mano che passa il tempo il senso di libertà prende sembianze più inquietanti.

 

Cosa si deve fare per affrontarlo?

 

Non c’è una cura specifica. Supporti psicologici possono essere utili ma il ritorno sociale non è affatto scontato. Ritengo che una cosa utile da cui cominciare potrebbe essere quella di risolvere la dipendenza virtuale ma è cosa complessa poiché per superarla (e desiderare di superarla) occorre prima un assetto interiore. Volendo approfondire ritengo che hikikomori sia uno dei tanti esiti dello stato confusionale in cui è sprofondata ogni società contemporanea. Quei giovani niente affatto superficiali o scanzonati, sono privi di motivazioni, ossia ciò che loro cercano va oltre a ciò che viene proposto dalla famiglia, dalla scuola e della società; un genere di motivazioni che loro tuttavia non conoscono e spesso non sanno neppure di stare cercando ma che certamente non sono le stesse su cui si fonda la società. Ecco così l’apatia verso la vita, il rifugio-reclusione e l’abbandonarsi ai video-games. La società difficilmente potrà aiutarli, invece la famiglia può farlo ma serve che sia disposta a mettersi in totale discussione e a “riformarsi”, termine che racchiude significati impegnativi. Se esiste questa volontà anche la figura del terapeuta assume un ruolo più costruttivo. E’ un discorso vasto di cui ho scritto a lungo e che così riassunto può apparire retorico ma ha una sua forma fortemente concreta. Con questi presupposti, il giovane potrà essere contagiato da ciò che si sta creando all’interno del mondo a lui più vicino, la famiglia, e qualsiasi ascendente procurerà sarà senza dubbio un primo passo di valore. 

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