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Droghe leggere e giovani. Lo psicologo: "Il mondo degli adulti è in grande difficoltà. Divise e unità cinofile non servono a nulla sul piano educativo"

Dopo la tragedia di Lavagna abbiamo intervistato lo psicologo Giuseppe Disnan. Solo 10 giorni fa a Levico, all'Opera Armida Barelli, il dirigente aveva chiamato unità cinofile e carabinieri per requisire 0,2 grammi di marijuana a tre ragazzi. "Il rischio è che questi giovani si sentano etichettati. Il terrore non serve mai sul piano educativo. Gli adolescenti sbagliano anche per diventare adulti" 

Di Luca Pianesi - 17 febbraio 2017 - 18:59

TRENTO. Da un lato c'è l'inadeguatezza del mondo degli adulti, dall'altra le enormi, "molto più grandi rispetto a pochi decenni fa", difficoltà che i giovani si trovano a dover affrontare quotidianamente. C'è una legge proibizionista che criminalizza a prescindere, che va bene finché 'ingabbia' gli altri ma della cui 'devastante' portata ci si accorge solo quando ci si imbatte 'in prima persona'. E c'è una tendenza ad affidarsi agli 'antibiotici', alle soluzioni facili, ritenute immediate e risolutive, anche per problemi complessi e molteplici. Quanto successo pochi giorni fa a Lavagna apre a mille riflessioni, mille chiavi d'interpretazioni. Noi abbiamo provato a parlarne con lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Disnan già responsabile dell'area Psicologia cognitiva e dell'handicap nella prima Unità operativa di Psicologia del servizio pubblico della Pat e da sempre attivo nell'ambito della clinica infantile e della gestione dei sistemi organizzativi in rapporto alla pratica clinica.

 

Insomma, uno che di giovani e rapporto giovani-adulti ne capisce, eccome. La vicenda è ormai tristemente nota: un ragazzo di 16 anni all'uscita da scuola viene perquisito dalla Guardia di Finanza che gli trova addosso dieci grammi di hashish. Lui gli dice che ne ha altri a casa, li accompagna, glieli mostra e poi, mentre uno dei finanzieri sta parlando con sua madre si lancia dalla finestra togliendosi la vita. Come ha scritto Saviano su Repubblica il giovane ha in questo modo "anticipato il giudizio sociale e, in una manciata di minuti, si è autoprocessato, si è trovato colpevole, togliendo a chiunque altro la possibilità di giudicarlo". E così, dopo soli 16 anni, si è spento un giovane in salute e forte che giocava nelle giovanili della Virtus Entella e aveva già debuttato anche con le nazionali minori. Da Lavagna, poi, siamo voluti tornare in Trentino: all'Istituto 'Opera Armida Barelli' di Levico dove solo dieci giorni fa, su richiesta del dirigente scolastico, sono state fatte entrare le unità cinofile dei carabinieri per perquisire classi e studenti. I cani, alla fine, hanno 'puntato' una ragazza e due ragazzi trovandogli addosso 0,2 grammi di marijuana.

 

Dottore, si dice "gli facciamo prendere una bella strizza e non lo faranno più". E' così?

"Assolutamente no. Il terrore dal punto di vista educativo non serve a nulla. Né con i giovani né con gli adulti. Si pensi alla pena di morte che, ormai è appurato, non serve nemmeno sul piano della deterrenza, visto che dove esiste i reati non calano minimamente, anzi. Nei giovani poi l'effetto 'spavento' può sortire due tipi di reazioni. Nella maggioranza degli adolescenti, il più delle volte si trasforma in sfida. Sfida alle autorità, al mondo degli adulti. E allora ecco il buon vecchio 'Gioventù Bruciata', il film con James Dean dove i ragazzi si lanciavano in corse in macchina a fari spenti nella notte, ed ecco la 'moda' di pochi anni fa di stendersi sulle strisce pedonali e sfidare gli automobilisti. L'adolescente, per costituzione e per ragioni anche naturali, biologiche, di crescita, deve testarsi, deve sbagliare, per arrivare a scoprire i suoi limiti. L'altra reazione è quella dell'adolescente più fragile. Lo 'spavento' può diventare qualcosa di molto impattante dal punto di vista psicologico. Si pensi al bullismo. Il giovane, anche in quel caso, si chiude in se stesso e il trauma provoca angoscia". 

 

E l'angoscia può sfociare in suicidio. A Lavagna è andata così?

"Il caso di Lavagna non si può commentare. Sono uno psicologo e quindi so che non si può mai generalizzare partendo da uno specifico caso. Noi non conosciamo il rapporto che intercorreva tra quella madre, che ha chiamato le forze dell'ordine a perquisire suo figlio, e il ragazzo. Non sappiamo il grado di esasperazione dell'uno e dell'altra. Quel che si può dire è che in una fase come quella dell'adolescenza tutto si assolutizza. Le sirene e l'auto della Guardia di Finanza sotto casa, per un giovane di 16 anni, possono rappresentare una vergogna tale da non riuscire a sopportare. Ci si sente etichettati. Si fa presto a diventare il 'droghino' della scuola, lo 'spaccino' della compagnia, quello da evitare. Per questo anche l'intervento fatto a Levico dai carabinieri, con cani antidroga, non può essere definita come una buona pagina di educazione".

 

Anche noi de il Dolomiti avevamo titolato "Droga, perquisizione dell'unità cinofila a scuola, tre diciassettenni nei guai". Ha senso un'operazione del genere per andare a requisire 0,2 grammi di marijuana mettendo in mezzo tre ragazzi nemmeno maggiorenni che oggi, magari, si fumano qualche canna e domani smetteranno come nulla fosse stato?

"Non ha senso. Questa è una tipica reazione irrazionale, a un problema complesso. Ma è questa una delle grandi sfide dei nostri tempi. Gli adulti sono in grossa difficoltà sul piano educativo e cercano soluzioni facili, pronte, immediate. Chiamare i carabinieri per risolvere il problema della droga a scuola, ovviamente è una soluzione sbagliatissima. I carabinieri venissero impiegati per spezzare la catena dello spaccio, interromperla, bloccarla alla fonte non alla foce. La scuola, invece, coinvolgesse i ragazzi in attività peer to peer di sensibilizzazione sulla tematica. Senza criminalizzare, perché un adolescente che fuma le canne non è un tossico dipendente, è solo un adolescente che fuma le canne. Che nel 99% dei casi smetterà appena avrà qualcosa di più interessante da fare. Come un ragazzo che fa la balla ogni tanto non è un alcolizzato, è solo un ragazzo che fa la balla ogni tanto. Droghe, alcool, furtarelli. Il brivido del vietato serve a riempire un vuoto che questi ragazzi hanno, come l'avevamo noi. Solo che loro, oggi, vivono una realtà molto più complessa della nostra".

 

In che senso?

"Nel senso che ai nostri tempi si potevano fare molte meno cose. Un ragazzo il pomeriggio, per divertirsi cosa faceva? Prendeva un pallone e andava a giocare nel primo spazio che trovava, incontrava i suoi amici, che erano sempre gli stessi, c'erano reti sociali che ci accoglievano e ci controllavano, le parrocchie, i circoli sportivi. Droghe, alcool esistevano, ovviamente, ma procurarseli era molto più difficile. Oggi questi ragazzi con il solo smartphone hanno in mano una quantità di informazioni e possibilità che il presidente degli Stati Uniti 15 anni fa si sognava. Possono raggiungere qualsiasi posto, qualsiasi persona nell'attimo di un messaggino, di un whatsapp. E al tempo stesso si trovano a dover sopportare una serie di pressioni esterne gigantesche. C'è la logica del reality, del talent che impera. Sono sempre alla prova e sempre in discussione, già da piccolissimi, in una società, sempre più complessa, che li vuole adulti, sempre più rapidamente".

 

E gli adulti?

"Gli adulti sono a loro volta molto impreparati. In molti casi si trovano a confrontarsi adolescenti di 14-15-16 anni e adolescenti di 30-34-38. I genitori spesso non hanno gli strumenti per affrontare certi problemi e allora ecco che sono tentati di ricorrere a scorciatoie a soluzioni facili ma irrazionali. Sempre riferendosi più al caso di Levico che a quello di Lavagna, chiamare i carabinieri in divisa e con cani antidroga per risolvere il problema della droga a scuola è chiaramente una risposta irrazionale a un problema che va affrontato in tutt'altro modo. Quale? La soluzione è una sola: coinvolgere gli stessi ragazzi, mettere in cantiere progetti peer to peer, tra pari, che affrontino la questione alcool o quella della droga, partendo dal basso. Le lezioni fatte da esperti, tecnici, adulti in divisa, è comprovato che servono pochissimo. In definitiva non ci sono soluzioni facili, mai. La strada più breve, il più delle volte è quella che ci condurrà verso altri problemi, magari anche più grossi di quelli che volevamo risolvere".

 

 

E poi ci sarebbe il tema della legalizzazione che è alla base del problema. Le forze dell'ordine, di per sé, se vengono chiamate, fanno il loro lavoro. Entrano in divisa in una scuola, arrivano con le sirene accese sotto una casa. Le droghe leggere sono vietate e quindi anche fosse per 0,2 grammi di marijuana o per 50 euro di hashish fanno il sequestro e fanno passare il giusto (per la nostra legge) guaio al ragazzino di turno. E' il concetto di giusto o ingiusto che andrebbe rivisto. E' il concetto di proibizionismo, che in qualsiasi contesto sociale e per qualsiasi forma di proibizione, storicamente, non ha mai funzionato, che andrebbe superato. E la colpa non è dello Stato cattivo, che fa le leggi. E' colpa dell'opinione pubblica, che certe leggi le accetta. E' colpa di noi tutti se le organizzazioni criminali incassano tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro l'anno solo di erba e hashish e se lo Stato non incassa ogni anno tra i 6 e gli 8 miliardi di euro che otterrebbe applicando alla cannabis la stessa imposta del tabacco. Insomma, è colpa di tutti noi se un ragazzino adolescente si rovina la vita perché trovato con addosso una canna o del fumo. 

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