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Dal programma Report al Trentino, etica e tradizione alla base della nostra cucina stellata

Gli chef regionali propongono le proprie ricette rispettando i legami territoriali tra cucina locale e produzione agroalimentare per uno scambio costante con i più rappresentativi imprenditori locali delle materie prime

Alfio Ghezzi
Di Nereo Pederzolli - 30 marzo 2017 - 11:13

TRENTO. Patate, patate e patate. Tre parole, le stesse, per una risposta tutta dolomitica alle scottanti (?) polemiche suscitate dalla recentissima inchiesta televisiva di Report sulla ristorazione italiana d’autore. Stelle e brucia padelle. Come passare dall’olimpo della cucina esclusiva – popolata da chef in perenne sovraesposizione mediatica – a quanti appunto spadellano senza sosta, distanti, in ombra da telecamere o riflettori fotografici di foodblogger più o meno sponsorizzate.

 

Report ha messo a nudo certi prìncipi cucinieri, ma anche stuzzicato – è il caso di dire – interrogativi sui princìpi della cucina. Di come il cibo viene ostentato, usato spesso per stordire, non per il sano, possibile, piacere della tavola. Senza rispettare legami territoriali tra cucina locale e produzione agroalimentare.

 

Forse perché è più facile stupire con carni importate da stalle remote (manzi giapponesi, razza Wagyu, per bistecche striate di grasso speciale, carne che può arrivare a costare anche mille euro al chilo) piuttosto che servire un piatto di patate, patate e patate. Ricetta, questa, che ha portato ad Alfio Ghezzi - il ‘nostro’ cuoco – la seconda stella della guida Michelin.  A dimostrazione di come anche con un piatto di gnocchi (di patate) con crema (di patate) e polvere (di patate viola) si possa stupire e appagare, senza alcun stravolgimento gastronomico.

 

Del resto, da qualche anno, l’alta cucina dolomitica è decisamente improntata all’etica. Lo è grazie all’impegno di una pattuglia di cuochi che non ostentano solo ‘stelle, forchette o cappelli’, ma mirano ad azioni mirate per coinvolgere il mondo della ristorazione d’autore in momenti di solidarietà.

 

Il guru promotore è Norbert Niederkofler, istrionico e giustamente il più autorevole chef delle Dolomiti. Che sfrutta il prestigio del suo ristorante Rosalpina per richiamare in Alta Badia cuochi da tutto il mondo, in una gara di sostenibilità, della cura dell’habitat e soprattutto cuochi sensibili all’etica. Coinvolgendo settori legati alle risorse energetiche alternative, la riduzione dei consumi, riciclo e riutilizzo degli scarti. Una trentina di chef, da ben 6 continenti e 16 nazioni.

 

Impegno etico ed estetico. Che vede impegnati quasi tutti i cuochi più in vista della nostra regione. Da Alfio Ghezzi – che da valido volovelista la scorsa estate ha pure sorvolato le Alpi, divulgando nelle sue tappe la cucina identitaria della montagna – ad Alessandro Gilmozzi, cuoco in quel di Cavalese, botanico e grande sperimentatore d’ingredienti naturali forniti dalle foreste fiemmesi, muschio, licheni, cortecce. E ancora Stefano Ghetta, del Chimpel, a Tamion, alta val di Fassa, per una cucina decisamente a Km zero. Nutrita la pattuglia dei cuochi sudtirolesi, da Herbert Hinter a Teodor Falzer, Jorger Trafoier e altri ancora che sono in sintonia con i contadini delle loro vallate.

 

Formaggi d’alpeggio, trasformatori di erbe selvatiche – Noris Cunaccia è l’indiscussa regina del ‘radicchio dell’orso’ – ma anche vignaioli, spumantisti, fornai, pure artigiani che producono pentole in rame o imprenditori industriali che  fabbricano cucine – Demanincor, solo per citare il più autorevole.

 

Cuochi e cucine dove anche i giovani possono farsi valere. Dove il rispetto è reciproco. Coinvolgono le scuole che formano i futuri ‘cucinieri’. Come i ragazzi dell’Alta Formazione di Tione, una cucina/fucina di prossimi talenti.  Giovani contesi da tantissimi ‘stellati ‘ – lo ribadisce anche Andrea Berton, nella sua ermetica intervista a Report.  

 

Giovani disposti a tralasciare orari e facili percorsi formativi – con carichi di lavoro spesso davvero al limite della sostenibilità – pur di raggiungere personali obiettivi.

 

Cucine dolomitiche a norma, dove avviene uno scambio costante con i più rappresentativi imprenditori locali delle materie prime.

 

Impossibile non citare Riccardo Felicetti, da anni il ‘pastaio di Predazzo’ che recupera farro e grani regionali e nel contempo coinvolge chef blasonati per valorizzare la pasta, quella che tutti noi, quotidianamente, possiamo gustare.

 

Sempre le Dolomiti hanno un ruolo nelle proposte degli Ambasciatori del Gusto. Alessandro Gilmozzi è tra i primi firmatari di un’associazione che, per statuto ‘si propone di rafforzare e valorizzare la cultura agroalimentare ed enogastronomica italiana. In particolare, l’Associazione persegue, in uno spirito di collegialità e di mutua condivisione, valori di qualità, di tradizioni e di conoscenza e promuove sul territorio nazionale e all’estero i prodotti italiani e il Made in Italy anche attraverso l’interscambio di esperienze e risorse e la formazione delle nuove generazioni”.

 

Dunque al bando certe sponsorizzazioni roboanti e  massicce importazioni di prodotti messi nel menù solo per stupire o per far lievitare il costo che il cliente paga a fine pasto. Meglio patate, patate e patate.

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