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Auschwitz-Birkenau. "Quel giorno per 6 ore nessuno di noi ha parlato. Ho vissuto più in questo viaggio che in tutti i miei 19 anni di vita"

L'ultima pagina del diario di Promemoria_Auschwitz il viaggio che ha condotto 180 trentini a Cracovia e che li ha messi di fronte al male fatto da uomini ad altri uomini e a loro stessi. Un racconto toccante "dal fiato che manca e dalla continua sensazione di freddo gelido che si prova"

I ragazzi trentini ad Auschwitz (Foto Simone Cargnoni)
Di Barbara Adami - 11 febbraio 2017 - 19:43

TRENTO. Mancava il momento clou, la visita ai campi di quella che è stata una delle più spaventose tragedie della storia: Auschwitz-Birkenau. Li avevamo seguiti nel loro viaggio da Trento a Cracovia, partenza e arrivo attraverso un lungo alternarsi di ruote di gomma e sferragliare di binari. Un viaggio carico di speranze, aspettative, paure e curiosità. Abbiamo raccontato il loro entusiasmo il giorno del via, fissato in Piazza Dante con le voci di Margherita, Caterina e Francesco. Poi il pullman fino al Brennero e da lì in poi il treno, direzione Polonia con la pagina di diario curata da Angela Lorenzini. Poi c'è stata la scoperta del ghetto ebraico di Cracovia e della fabbrica di Oskar Schindler "dove ogni cosa che vediamo e che facciamo ci risuona il monito di non dimenticare. La storia - scriveva Abram Tomasi - non può essere scordata e noi dobbiamo continuare a raccontarla. Siamo i testimoni del nostro passato, artefici del nostro presente e futuro". Ma il viaggio Promemoria_Auschwitz, organizzato da Deina e che ha visto coinvolti oltre 180 ragazzi trentini di età compresa tra i 17 e i 24 anni, non poteva dirsi concluso senza Auschwitz-Birkenau. 

 

E allora ecco l'ultimo contributo firmato da Barbara Adami scritto con qualche giorno di ritardo perché certe emozioni, certi sentimenti, bisogna farli "fermare", bisogna capirli fino in fondo.

 

Domenica 5 febbraio 2017.

 

Lo ricorderò sempre come Il Giorno. Ci siamo preparati per mesi a questo. Tutto conta e ha contato per questo momento qui. Siamo andati a visitare Auschwitz-Birkenau. E davvero non importa il freddo che faceva nonostante le 5 maglie che indossavo, o la sveglia che è suonata alle 5.30 e mi ha svegliata solo dopo poche ore di sonno. Tutto ora aveva un senso, eravamo pronti, o almeno lo speravamo.

 

La nebbia non ha smesso un attimo di avvolgerci durante la giornata, la sentivamo nelle ossa. Siamo sempre stati un gruppo entusiasta, pieno di parole e cose da dire. Quel giorno lì per 6 ore nessuno di noi ha parlato. Ci siamo quasi dimenticati che possiamo respirare, che esiste un modo per non soffocare. Molti pensieri frullavano nella mia testa e si attorcigliavano come il filo spinato che ci ha affiancato lungo tutta la visita. Non riuscivo a dare loro un ordine, un senso, uno scopo. Ho fatto molte foto durante la visita, ma nessuna di esse renderà mai giustizia a quello che tutto ciò è stato. Una foto non potrà mai contenere l'immensità di storia, dolore, ingiustizia e male di cui questo posto è intrinseco.

 

 

O le emozioni, le sensazioni, i vuoti d'aria che ho provato. I brividi che ho sentito sulla mia pelle, e non di freddo, nonostante le basse temperature. Non ci sono maglie termiche che ti proteggano da questi impatti emotivi, da quel freddo gelido che ti corre lungo la schiena, dalle lacrime, dal fiato che manca e dalla continua sensazione di freddo gelido che si prova. Senti come rimbombare i tuoi passi su di un cimitero enorme e silenzioso. Questo è Birkenau. Una distesa gigante di lanterne arrugginite, filo spinato contorto, binari storti, capanne in legno dove ancora senti l'odore di morte e dolore e  baracche bruciate. Cammini e non senti il male alle gambe. Riesci solo a rivedere le persone che vanno in fila verso le camere a gas. Le baracche con 800 persone stipate in un angolo. I sentieri tra le foglie secche che portano alla morte.

I 180 trentini nel luogo dell'orrore: Auschwitz-Birkenau

 

 

Ogni tuo passo oggi corrisponde a quello di una persona di 72 anni fa che però lì ci è morta. Che lì, indossava solo un pigiama, non la giacca pesante come la tua. Che lì ci andava a morire, non a fare una visita guidata come te. Auschwitz Birkenau è un cimitero che ruggisce silenzioso e ti scuote dentro in una maniera pazzesca. Con il mio gruppo, il giorno dopo, ci abbiamo messo 4 ore per liberarci dalla sensazione che ci aveva lasciato addosso. Inutile dire che le lacrime e i fazzoletti quella mattina sono stati tantissimi. Questo confronto con i miei compagni di viaggio, ha dato un senso a tutto. Non si può pensare di uscire da un posto del genere senza avere qualcuno che ti sorregga al tuo fianco. Non si può pensare di avere la coscienza pulita poi, o poter stare meglio.

 

 

Uomini come noi hanno costruito questa macchina della morte. Ragazzi con i nostri sorrisi, le sfumature dei nostri stessi occhi, le mani con le dite affusolate come le nostre. Con gli stessi sogni, la stessa risata, le stesse due birre al bar con gli amici. Uomini che poi hanno scelto di percorre un cammino che li ha portati a distruggere l'umanità, a diventare la vergogna di essa. Ho paura di un futuro su cui incombe minacciosa l'ombra di Auschwitz, ma ho ancora più paura di tutte le persone che voltano le spalle a questo cimitero e che pensano di non essere coinvolti direttamente o peggio, sperano di fare lo stesso. Sento miei coetanei sviluppare un tale odio verso determinate persone che quasi mi fa venire voglia di prenderli e far vedere loro tutto ciò. Fargli vedere tutte le scarpe ammucchiate, i 1425 chili di capelli aggrovigliati, le valige, gli occhiali, i pettini, i vestiti. Vorrei far vedere loro quello che l'umanità ha fatto a sé stessa e gridargli in faccia che non possiamo permetterci di rivivere tutto questo. Vorrei urlare loro addosso che il razzismo e i muri hanno solo portato a conseguenze negative.

 

L'uomo ha sempre davanti a sé una scelta e noi, abbiamo fatto una scelta tutti assieme. Abbiamo deciso di varcare insieme le porte del posto più terrificante del mondo e di ascoltare quello che avevamo da dirci. Promemoria_Auschwitz per me è stato dialogo, comprensione e condivisione. Mai più mi sentirò ascoltata, capita e compresa fino in fondo come lo sono stata in questi giorni. Ho vissuto più in questo viaggio che in tutti i miei 19 anni di vita e per la prima volta, sono stata fiera della decisione che ho preso. Ora mi sento un tassello di un grande mosaico colorato, un pezzo di scheletro di un lungo ponte, una candela luminosa tra tante altre.

 

 

Non mi sento più sola e ho un po' più di fiducia nell'uomo ora. Grazie ai miei compagni di viaggio che sono diventi veri e proprio compagni di vita, senza i quali non sarei riuscita nemmeno a fare il promo passo di questo enorme viaggio. Vi voglio davvero bene e tutto questo amore che stiamo costruendo assieme, sento che sia come una piccola borsa dell'acqua calda per l'umanità, un arcobaleno colorato dopo una lunga tempesta.

Grazie.
Barbara Adami

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