La "mappa" dei dialetti del Nord Italia: chi parla trentino lo usa in famiglia (e poco con gli amici), il tirolese quello più utilizzato
I dati di AlpiLink dopo l’indagine realizzata su 1.030 parlanti del Nord Italia da oltre 500 località diverse. Stefan Rabanus, coordinatore del progetto: "La giornata nazionale indetta dall’Unpli è occasione per ricordare che dialetti e lingue minoritarie costituiscono un aspetto importante del patrimonio culturale. Non solo: la padronanza di lingua ufficiale e dialetto è un bilinguismo che porta con sé molti vantaggi, dalla maggior flessibilità cognitiva alla riduzione del rischio insorgenza Alzheimer"

TRENTO. Il tirolese è il dialetto più radicato nell’uso quotidiano: il 91% di chi lo parla lo utilizza anche con gli amici, una percentuale significativamente più alta rispetto al 51% per il veneto e al 29% e 22% rispettivamente per i dialetti lombardi e piemontesi.
Sono questi alcuni dei dati emersi dall’indagine condotta nell’ambito del progetto di ricerca AlpiLinK, presentata in occasione della Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali, istituita dall’Unpli per sensibilizzare comunità e istituzioni sull’importanza di preservare questo patrimonio culturale.
L’indagine ha coinvolto 1.030 parlanti provenienti da oltre 500 località del Nord Italia, raccogliendo contributi audio tra luglio 2023 e luglio 2024 grazie a una campagna di crowdsourcing. I risultati sono stati impiegati per costruire la più grande audiomappa digitale dedicata ai dialetti dell'Italia settentrionale, consultabile sul sito alpilink.it.
"La Giornata nazionale del dialetto e delle lingue minoritarie - spiega Stefan Rabanus, coordinatore del progetto AlpiLinK e professore di linguistica tedesca all’Università di Verona - rappresenta un’occasione preziosa per ricordare che dialetti e lingue minoritarie costituiscono un aspetto importante del patrimonio culturale: rispecchiano infatti l'identità storico-culturale di un territorio e, da parte di chi li usa, esprimono un senso di appartenenza alla comunità".
Accanto a questo aspetto, c’è un secondo aspetto forse meno noto: "La padronanza di un dialetto o una lingua minoritaria accanto alla lingua nazionale - continua Rabanus - costituisce un bilinguismo che porta gli stessi benefici cognitivi della padronanza di una lingua straniera. Studi recenti realizzati attraverso la MRI - Magnetic Resonance Imaging sono riusciti a dimostrare che lo spessore della sezione della corteccia cerebrale del giro frontale superiore, coinvolta in funzioni cognitive complesse come il linguaggio, è correlato anche al livello di competenza dialettale. Ecco che chi parla fin dall’infanzia due lingue - siano esse idiomi ufficiali o lingue minoritarie - è dotato di maggior flessibilità cognitiva ed è ad esempio più predisposto all’apprendimento di una nuova lingua. Non solo: studi medici confermano che il bilinguismo può rallentare di alcuni anni lo sviluppo dei sintomi dell’Alzheimer".
I dati della ricerca.
Se altre indagini specifiche - come ad esempio l’indagine realizzata nell’ambito del progetto ClaM 2021 dell’Università di Trento su cimbro ladino, e mocheno o quella dell’istituto statistico della Provincia autonoma di Bolzano - negli anni scorsi avevano già rilevato i dati relativi all’utilizzo di specifiche varietà, il rapporto di AlpiLinK offre per la prima volta la possibilità di confrontare dati sull'uso dei dialetti e delle lingue minoritarie in tutta l'Italia settentrionale.
Ai partecipanti al progetto è stato proposto un breve questionario volto a indagare le loro competenze linguistiche e la frequenza d’uso dei dialetti. Il tirolese risulta molto parlato sia con gli amici sia in famiglia - dall’88% dei rispondenti in questo secondo caso - così come il friulano - utilizzato spesso in famiglia dal 71% dei parlanti e con gli amici dal 74% del campione. Non molto diversi i numeri dei ladini con il 78% che parla di frequente la lingua in famiglia e il 70% nelle relazioni con gli amici.
Per quanto riguarda il veneto invece la quota di chi dichiara di parlarlo frequentemente in famiglia, 66%, è di 15 punti percentuali superiore rispetto a chi lo parla nel contesto amicale. Appena un parlante lombardo su 3 - il 34% - impiega spesso il dialetto con i propri congiunti. Anche nel caso del trentino, come per il dialetto veneto, il gap fra l’uso frequente in famiglia - 69% - e l’uso in contesti esterni - 55% - è molto marcato, con un distacco di 14 punti percentuali, simile a quello registrato per il francoprovenzale, con il 73% dei parlanti che lo usa spesso in famiglia e il 60% con gli amici.
I dati sulla frequenza di utilizzo si riflettono anche nell’autovalutazione della propria competenza, con i parlanti del tirolese che nell’84% dei casi si dicono molto sicuri del loro livello di conoscenza del dialetto a fronte del 63% nel caso del trentino, del 61% fra chi parla il veneto, del 55% per il dialetto piemontese e del 43% per il lombardo. Da annotare anche le differenze relative all’età media dei parlanti che hanno partecipato alla ricerca: i 13 parlanti walser - un insieme di varietà alemanne diffuse in una manciata di comunità montane piemontesi e valdostane - hanno un’età media di 74 anni, mentre i parlanti più giovani sono i veneti - 44 anni.