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"Non è stata imprudente", il racconto del Soccorso alpino del Trentino sul salvataggio di Ottavia Piana: "Attivati 17 operatori, compresi due disostruttori"

Il vice delegato speleo del soccorso alpino del Trentino, Luca Gandolfo, racconta l'intervento all'abisso di Bueno Fonteno per salvare Ottavia Piana

Di LA - 28 dicembre 2024 - 15:13

TRENTO. "La gogna mediatica che si è scatenata poi, in seguito a questo intervento, Ottavia non la merita proprio". Questo il commento di Luca Gandolfo, vice delegato speleo del soccorso alpino del Trentino, intervenuto per il salvataggio della 32enne nell'abisso di Bueno Fonteno. "Non è stata imprudente ma soltanto sfortunata: il passaggio che ha ceduto, e dal quale è caduta di circa 5 metri battendo la schiena, avrebbe potuto reggere ancora o cedere prima. Nella nostra attività di speleologi il rischio è qualcosa di ineliminabile, in qualsiasi località che ci troviamo a esplorare".

 

La 32enne di Andro è stata soccorsa nella notte tra sabato 14 e domenica 15 dicembre a seguito di un incidente nell’abisso Bueno Fonteno, in provincia di Bergamo, una grotta che Piana stava esplorando insieme a un gruppo di speleologi. La maxi operazione di soccorso si è conclusa tra martedì 17 e mercoledì 18 e ha coinvolto delegazioni provenienti inizialmente da tutto il nord Italia: Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Veneto e anche Trentino Alto Adige (Qui articolo).

 

A giorni di distanza il soccorso alpino condivide una riflessione e il racconto di quelle giornate così complesse e delicate. Per il Soccorso Alpino e Speleologico del Trentino si sono attivati 17 operatori, tra cui un sanitario, due tecnici disostruttori che hanno lavorato con le microcariche esplosive e tre nuovi speleo al primo intervento, rivelatosi nel loro caso un banco di prova davvero importante.

 

"Ci siamo attivati già sabato sera alle 22, dopo la prima comunicazione da parte dei lombardi", dice Gandolfo. "Fin da subito è stato richiesto l’allertamento delle stazioni vicine, proprio perché la situazione è parsa immediatamente delicata ed era chiaro come l’incidente avrebbe assunto, con il passare delle ore, una certa rilevanza, visto lo stato fisico dell’infortunata e la distanza dall’ingresso a cui era avvenuto".

 

Le difficoltà maggiori infatti erano legate al luogo, una grotta appena esplorata e con poche informazioni, al quadro clinico di rilievo e alla conseguente incapacità di sapere con congruo margine di certezza quali rischi e quali scenari i soccorritori si sarebbero trovati a dover affrontare.

 

"Praticamente in ogni squadra che si è data il cambio durante la lunga ed estenuante tre giorni di soccorsi c’era qualcuno dei nostri operatori", prosegue Gandolfo. "Sei domenica, tre lunedì e altri sette martedì. La prima criticità che abbiamo dovuto affrontare è stata quella di raggiungere effettivamente Ottavia, cosa che è avvenuta nel tardo pomeriggio di domenica. La speleologa si trovava a circa 6 ore di progressione dall’ingresso, in un tratto ancora in esplorazione e costituito da un paio di chilometri di gallerie. In prossimità della sua posizione c’era uno stretto meandro di un centinaio di metri che necessitava di essere allargato in sicurezza con delle piccole cariche esplosive per consentire il passaggio della barella".

 

Raggiunta l’infortunata all’interno della grotta, è stato dapprima predisposto un campo base riscaldato per riuscire a prestarle le prime cure del caso. Nel frattempo, alle squadre già presenti, si aggiungevano soccorritori da Campania, Toscana, Umbria, Marche e Lazio, mentre le comunicazioni tra l’esterno e l’interno della grotta venivano garantite da un cavo telefonico che i soccorritori avevano precedentemente posizionato lungo tutto il percorso.

 

"Ottavia risultava avere probabili traumi ad entrambe le gambe, oltre che alla testa, al torace e alla schiena. Per questo le tempistiche di movimento venivano scandite da un’ora e mezza di trasporto e un’ora di pausa, così da riuscire a fornire l’assistenza sanitaria necessaria".

 

Le attività di soccorso, iniziate alla mezzanotte del 15 dicembre, si sono concluse in anticipo rispetto alle tempistiche stimate, verso le tre di notte di mercoledì 18, e hanno visto l’impiego di 159 tecnici del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico provenienti da 13 regioni italiane.

 

"Determinante è stata la sinergia tra le varie squadre – spiega Gandolfo – ma anche l’intuizione di poter bypassare il punto più critico, attrezzandolo maggiormente in alto rispetto a quanto previsto: un’operazione che può sembrare insignificante ma che è risultata fondamentale per evitarci altri due giorni di disostruzione".

 

Una volta uscita dalla grotta, la barella è stata trasferita dalle squadre del Soccorso Alpino e Speleologico in un’area in cui i Vigili del Fuoco hanno predisposto un punto idoneo al recupero dell’elisoccorso tramite verricello e il successivo trasporto, mediante l’eliambulanza di Areu 118, all’ospedale di Bergamo.

 

"La gogna mediatica che si è scatenata poi, in seguito a questo intervento, Ottavia non la merita proprio". conclude Gandolfo. "Si tratta del classico caso in cui ci si è trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ottavia Piana non è stata imprudente ma soltanto sfortunata: il passaggio che ha ceduto, e dal quale è caduta di circa 5 metri battendo la schiena, avrebbe potuto reggere ancora o cedere prima. Nella nostra attività di speleologi il rischio è qualcosa di ineliminabile, in qualsiasi località che ci troviamo ad esplorare".

 

Anche gli infelici parallelismi con l’incidente accaduto alla stessa 32enne l'anno scorso lasciano il tempo che trovano. "Si tratta di due dinamiche completamente diverse. Se nel primo caso si è trattato di un infortunio tecnico, questa volta è davvero frutto del caso: lei e i suoi compagni stavano procedendo nella mappatura di nuove diramazioni che prima erano sconosciute, quando purtroppo è accaduto l’imponderabile".

 

La speleologia insomma non è un capriccio sconsiderato o un passatempo del tutto personale: si tratta di una disciplina che porta alla conoscenza di territori inesplorati, studiando spesso ecosistemi unici e contribuendo così alla ricerca ambientale. Una disciplina di cui anche i soccorritori trentini intervenuti – Federico, Paolo S., Michele, Filippo, Fabio, Nicola, Daniele, Ary, Sebastiano, Maurizio, Marco, Johnny, Luca, Paolo T., Carlo, Aleksandar e Paolo – sono appassionati esponenti.

 

"Ma qualora si trattasse anche di un hobby totalmente inutile, soccorrere chi si trova in difficoltà è un dovere civico e umano. Qualcosa che deve necessariamente andare al di là delle considerazioni ex post, fuori luogo e fuori tempo", conclude Gandolfo.

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