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Niente social sotto i 16 anni? “La soluzione australiana non sta in piedi: così si cerca di prosciugare il mare con un cucchiaino”

A parlare è Paolo Traverso, direttore Strategia di marketing e sviluppo della Fondazione Bruno Kessler, dopo che le autorità australiane hanno deciso (per la prima volta a livello internazionale) di vietare l'accesso ai social network ai minori di 16 anni. Una decisione drastica per tutelare “la salute mentale dei giovani” ma, secondo Traverso, è di difficile attuazione da un punto di vista tecnico

Di Filippo Schwachtje - 04 dicembre 2024 - 11:38

TRENTO. Niente social media per ragazzi e ragazze al di sotto dei 16 anni: ad approvare la legge (la prima di questo genere a livello internazionale) sono state negli scorsi giorni le autorità australiane, inaugurando una nuova gestione dei rischi connessi all'utilizzo dei social che non ha precedenti (e che sta facendo molto discutere). Al di là infatti degli aspetti più etici, a livello pratico (ma se ne riparlerà, comunque, tra almeno 12 mesi secondo le previsioni del Governo di Canberra) non è chiaro con quali modalità il divieto verrà implementato, in particolare nell'universo di soluzioni (più o meno legali) messe a disposizione dalla rete per superare i blocchi imposti.

 

“Da un punto di vista tecnico – spiega infatti a il Dolomiti Paolo Traverso, direttore Strategia di marketing e sviluppo della Fondazione Bruno Kessler – la soluzione adottata dalle autorità australiane non sta in piedi. Il problema, parlando di contenuti inappropriati per minori sui social, ovviamente esiste, ma così è come cercare di prosciugare il mare con un cucchiaino”. Nel presentare la legge, a settembre il primo ministro laburista Anthony Albanese aveva fatto riferimento alla necessità di tutelare la salute mentale dei più giovani, ricevendo il plauso bipartisan della politica australiana. D'altra parte, vien però da ribattere, i contenuti inappropriati sulla rete non si limitano certo al solo mondo dei social media, al quale è probabile si potrà in ogni caso accedere, come detto, con una serie di escamotage.

 

“Innanzitutto è possibile usare una Vpn (una rete privata virtuale, uno strumento già utilizzato oggi per aggirare i blocchi dei contenuti in determinati Paesi 'spostando' il traffico internet attraverso server remoti e modificando quindi la posizione virtuale degli utenti ndr) ma sicuramente una legge del genere – continua Traverso – favorirà il proliferare di strumenti che permettano ai più giovani di bypassare il blocco imposto dalle autorità, abbassando ulteriormente i livelli di sicurezza. Il problema, ripeto, esiste e sembra che i legislatori australiani ne siano ben consci: lo stesso non si può però dire a livello tecnico. È difficile immaginare l'implementazione di accessi ai social regolati tramite credenziali verificate, come lo Spid in Italia, normalmente utilizzate solo per settori molto specifici, come quello della sanità”.

 

C'è poi la dimensione 'nazionale' della misura: “Se immaginiamo lo sviluppo di nuove start up a livello internazionale nel settore dei social media – prosegue l'esperto di Fbk – a questo punto potrebbe apparire più vantaggioso escludere completamente l'Australia da eventuali piani di sviluppo, piuttosto che dover implementare un blocco del genere. L'approccio sarebbe ovviamente diverso se all'Australia si unissero i Paesi dell'Unione Europea, gli Stati Uniti o la Cina, ma non è questo il caso. L'accesso, in definitiva, è difficilmente regolabile, in particolare se si ragiona a livello nazionale”. Al momento sembra saranno coinvolti TikTok, X, Instagram, Facebook, Reddit e Snapchat: esclusi invece i servizi di messaggistica come WhatsApp e Messanger (rimane l'incognita di Telegram) e, per il suo possibile scopo educativo, YouTube.

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