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Bollicine italiane, tra Natale e Capodanno stappate 355 milioni di bottiglie. Ma attenzione alla mania di fare spumanti dappertutto: "Servono storia, territorio e clima"

L’exploit delle bollicine italiane è in netta controtendenza rispetto ai vini fermi ma anche ai consumi di altre bevande alcoliche – dalla birra agli spiriti – fatta eccezione per il segmento cocktail, che anzi rappresenta una leva di crescita sempre più strategica anche per le bollicine made in Italy

Di Nereo Pederzolli - 31 dicembre 2024 - 17:48

TRENTO. Sono i bòtti più sinceri, quelli che più o meno tuonano quando si stappano bottiglie di vini spumeggianti.

 

Le feste tra il 2024 e il nuovo anno hanno ulteriormente rilanciato il fascino del bere brioso, specialmente quello dei vini elaborati in Trentino. Spumanti con il rafforzativo della DOC legata alla parola Trento, un legame ancora più solido se la cantina aderisce all’Istituto di Tutela Trentodoc.

 

Si stima che il botto per le bollicine italiane complessivamente avrà un fascinoso fragore dalla stappatura annuale, complessiva, di oltre un miliardo di bottiglie - 1,015 miliardi per la precisione - prodotte e commercializzate (+8%). In particolare, di queste, tra Natale e Capodanno ne saranno stappate 355 milioni (+7%) in tutto il mondo. Un nuovo record per una tipologia di prodotto che sembra non conoscere crisi, come rileva l’Osservatorio del vino Uiv-Ismea nel consueto report di fine anno.

 

In particolare, i consumi di sparkling tricolori si concentreranno all’estero con 251 milioni di bottiglie stappate (+9% sul 2023) e 104 milioni in Italia (+2%), secondo l’analisi targata Unione italiana vini e Istituto per i servizi del mercato agricolo alimentare. In sensibile calo il mercato dello Champagne, che chiuderà a -8% (5,1 milioni).

 

L’exploit delle bollicine italiane è in netta controtendenza rispetto ai vini fermi ma anche ai consumi di altre bevande alcoliche – dalla birra agli spiriti – fatta eccezione per il segmento cocktail, che anzi rappresenta una leva di crescita sempre più strategica anche per le bollicine made in Italy. 

 

Ma, se fino a 20 anni fa la linea del Po non veniva quasi mai oltrepassata, oggi si fa spumante in tutta Italia, con 70 denominazioni a origine controllata e 17 a origine controllata garantita. Così l’Italia riscopre la sua anima frizzante. Lo confermano analisi e studi di settore sul mercato dei vini. Lo ribadisce pure Giampiero Comolli, che da anni cura l’Osservatorio sui consumi di vino. Ribadendo che “le bolle salvano consumi e export”.

 

Secondo Comolli, il consumo nazionale di bollicine si presenta stazionario, spinto dal Prosecco, ma molto altalenante, con un ritorno forte alla “stagionalizzazione e localizzazione”.  Il 2024 però si conferma “no-wine” per generazione Z, la quale necessita per i produttori di vino e di spumanti di trovare nuove formule, proporle e comunicarle bene, come potrebbero essere i vini a basso o nullo contenuto alcolico.

In ogni caso - generazione Z a parte - un boom davvero brioso, con l’Italia che è riuscita a collocare sul mercato un miliardo di bottiglie di vino spumeggiante. Un vanto o il successo deve porre qualche interrogativo?

 

La domanda se la pone Angelo Peretti, scrittore, critico enogastronomico, un blogger gardesano tra i più accorti e soprattutto preparato: c’è di che esserne felici? In parte sì, perché fa piacere sentire che il vino si vende, e in parte no. La parte no è quella di tanti vini con le bollicine fatti con le uve più improbabili (bianche o rosse che siano) e nei posti più impensati, privi di alcuna tradizione spumantistica, quasi che ormai fosse un obbligo inderogabile produrre uno spumante.  Del resto la tendenza a spumantizzare ogni varietà d’uva è una costante. Pericolosa? Potrebbe esserlo, anche tra le Dolomiti.

 

Si rischia si banalizzare varietà viticole, privarle del loro fascino originario. Come nel caso del Marzemino d’Isra, elaborato come fosse un Trentodoc. E poi - come sottolinea ancora Peretti - io le bolle senza arte né parte non riesco più a sopportarle. Soprattutto, sono stufo di certi improbabili metodi classici nature che tagliano la bocca come fossero infarciti di lamette. Cantinieri miei, non è che mi dimostriate granché, nell’impuntarvi a farmi bere quei vini lì. 
Sono capace anch’io di raccogliere uve immature (magari provenienti dai diradamenti pre vendemmiali), metterle in pressa e trarci un vinello acidissimo e poi ficcarlo in bottiglia con lieviti e zuccheri e lasciarlo lì un po’ di tempo per tirarci fuori un qualcosa che fa la spuma, scortica il palato e non sa quasi di niente. Non è che chiamandolo nature giustificate un vino mal fatto.

Spumantista non ti improvvisi, né puoi inventare in un baleno un territorio della spumantistica. Invece, adesso imperversa questa mania di fare spumanti dappertutto, anche dove non c’è storia, non c’è esperienza, non c’è il clima giusto, non ci sono i vitigni adatti, non c’è senso, ragione, motivo o giustificazione, se non provare a vendere qualche manciata di bottiglie in più, perché il mercato delle bolle “tira” e gli altri vini fanno più fatica.

Una riflessione tranciante, che dovrebbe far riflettere la schiera di cantinieri pronti a diventare spumantisti. Pronti ad inseguire le mode vinose. Dimenticando - chiosa ancora l’amico Angelo Peretti - che i veri geni precorrono i tempi, gli altri fanno solo fotocopie. Sbiadite.

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