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Da Fugatti a Meloni tutti contro la "carne sintetica" che in Trentino si cerca di creare (con l'ok della Giunta Fugatti). Viaggio nei laboratori del Cibio: ''È una questione etica''

Prima la presidente del Consiglio Meloni, poi anche la Giunta provinciale decide di sostenere la petizione promossa da Coldiretti. Il Dolomiti è entrato nei laboratori del Cibio, l'intervista a Biressi e Conti: "La carne sarà sempre meno rispetto alla popolazione. Produrla in laboratorio significa meno Co2, meno allevamenti intensivi, meno deforestazione. La carne salada e lo speck non smetteranno di esistere"

Di Francesca Cristoforetti - 21 dicembre 2022 - 05:01

TRENTO. Dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Giunta Fugatti, tutti compatti sul fronte del "no al cibo sintetico". Proprio il 20 dicembre scorso la Giunta trentina, approvando un ordine del giorno proposto dal consigliere della Lega Denis Paoli, ha deciso di sostenere Coldiretti nella sua campagna contro il cibo in provetta: 21 i sì per difendere "le filiere di produzione locali minacciate dall’alimentazione basata su produzioni sintetiche" e a sostenere campagne di informazione sui "rischi del cibo da laboratorio".

 

Una Giunta compatta che oggi dice "no" e sembra rinnegare il supporto alla ricerca su questo fronte, quando nel 2020 promuoveva sul proprio sito il progetto dell'Università di Trento, finanziato dalla startup Bruno Cell promosso dai professori associati Stefano Biressi Luciano Conti sulla carne colturale, come aveva ricordato l'ex presidente Ugo Rossi (Qui l'articolo). Ma questa è una paura realmente fondata? Perché dire no al cibo in provetta e soprattutto ostacolare il 'naturale' corso e sviluppo della ricerca invece di promuoverla?

"Noi non stiamo producendo carne artificiale - dichiarano i due professori, intervistati da il Dolomiti che è entrato nei laboratori del Cibio -. La nostra è attività di ricerca, creiamo cellule per un possibile sviluppo in questo ambito. Ma non siamo in competizione con nessuno, il nostro è un obiettivo ben più ampio: risolvere un problema etico e di sostenibilità ambientale con lo scopo di trovare una possibile soluzione per il futuro: nel 2050 saremo tra i 9,5 e i 10 miliardi sulla Terra da sfamare. La carne sarà sempre meno in rapporto alla popolazione e ci sono già paesi che non possono permettersela. Produrla in laboratorio, in futuro, significherebbe meno CO2, meno allevamenti intensivi, meno deforestazione e minor consumo di acqua. L'Europa sta andando in questa direzione e non sarebbe giusto rimanere indietro".

 

Lo spauracchio viene lanciato dalla stessa presidente del Consiglio, che ha firmato la petizione mondiale per fermare lo "sbarco" a tavola del cibo sintetico promossa da World Farmers Markets Coalition, World Farmers Organization, Farm Europe, Coldiretti e Filiera Italia con l'obiettivo di contrastarne e vietarne la "produzione, l’uso e la commercializzazione in Italia", scrive Coldiretti. La stessa assessora trentina Giulia Zanotelli, sostenitrice della campagna, ci ha tenuto a precisare in aula che la Pat "non ha finanziato alcuna ricerca sul cibo sintetico".

Una paura che però sembra essere infondata. "In Europa - sostengono i due ricercatori - ancora non è in commercio la carne prodotta in laboratorio, serve ancora tempo. All'estero su questo fronte si è molto più avanti, la ricerca prosegue e ci sono molti più finanziamenti, oltre che degli interi istituti dedicati a questa tematica".

 

Al momento gli unici posti al mondo dove è possibile assaggiare carne prodotta in laboratorio, spiegano Biressi e Conti, "sono due ristoranti a Israele e Singapore, dove vengono proposti nuggets di pollo": "Ma ad ogni modo - sostengono - non capiamo perché si vorrebbe impedirne una possibile produzione futura. Ricordiamo che nel momento in cui dovesse arrivare in commercio, questo prodotto come qualsiasi altro dovrebbe passare al vaglio di rigorosissimi controlli e sarebbe assolutamente sicuro. Non c'è nessun tipo di rischio, come viene detto. E la carne salada e lo speck non ne risentirebbero, sono prodotti tradizionali che rimarrebbero sempre sul mercato e che non scompariranno mai".

 

 

LA STORIA DEL PROGETTO

Il progetto nasce su idea di Biressi e Conti, ricercatori nell'ambito della medicina rigenerativa. Nel 2020 per sostenere la ricerca riguardo la carne coltivata in laboratorio nasce la startup Bruno Cell, grazie a un imprenditore romano che decide di finanziare inizialmente loro e poi altri due laboratori, uno a Torino e uno a Roma.

 

I due professori portano avanti la loro ricerca nei laboratori del Cibio: "Questo progetto si sviluppa nell'ambito di un dottorato in innovazione industriale dell’Università di Trento. Come finanziamento abbiamo ricevuto 100 mila euro distribuiti su tre anni, per la maggior parte da parte di Bruno Cell". Tra gli obiettivi anche l'ottenimento di un brevetto per "uso commerciale" che potrebbe in futuro portare alla produzione di carne in vitro anche su scala industriale. "Siamo dei pionieri in Italia", spiegano.

 

Il progetto è stato appoggiato anche da Hit - Hub Innovazione Trentino, ente strumentale della Provincia autonoma di Trento e organismo di ricerca e di diffusione della conoscenza ai sensi della disciplina dell’Unione Europea. "Per ora non abbiamo ricevuto finanziamenti statali o provinciali diretti, se non un supporto da Hit nel definire le strategie imprenditoriali di queste ricerche".

 

LA CARNE IN LABORATORIO

Nei laboratori del Cibio si è già cominciato a isolare le cellule di suino e bovino. "A breve inizieremo anche con quelle del pollo", sostengono i due professori. Come descritto dalla Pat nel 2020, il progetto si propone di far differenziare le cellule staminali non solo nei muscoli, ma anche nelle cellule adipose, ottenendo un mix che può essere paragonato alla carne tradizionale ma creata grazie a processi di laboratorio che impiegano mezzi nutritivi per alimentare le cellule muscolari e materiali che aiutano a dare al prodotto finale la consistenza tipica del muscolo.

"Riusciamo a replicare le cellule animali ottenute a partire da una biopsia, ossia un pezzettino di tessuto o dal sangue. Le trattiamo poi in laboratorio perché possano andare incontro a moltiplicazione per ricorrere il meno possibile all'animale". Le cellule vengono poi tenute in incubatori particolari a 37 gradi di temperatura (quella corporea dell'animale) e con un adeguato livello di ossigeno e CO2.

"Facciamo crescere le cellule perché arrivino a sviluppare le strutture muscolari dell'animale - dicono -. Se si riuscisse a produrre carne senza animali, mantenendo la stessa qualità sarebbe un grande successo". I due ricercatori sottolineano come la ricerca scientifica e un possibile commercio futuro di questo prodotto siano su piani per ora molto differenti. "Il nostro sguardo va oltre, il campo non è volto a eliminare gli allevamenti trentini che comunque continueranno a esistere. E' innegabile che il fabbisogno proteico della popolazione crescerà nei prossimi anni, ma non più sostenibile a livello ambientale. E' inevitabile che si cerchino delle soluzioni".

 

In generale la ricerca però "continua ad essere sottofinanziata in Italia ed è un peccato - concludono i professori -, visto che sarebbe necessario prevedere e pianificare per non ritrovarsi un giorno dipendenti dagli altri paesi. Pensare di bloccare una ricerca o non finanziarla è fare del bene? Bisogna pensare alle generazioni future e quali priorità la nostra società si prefigge di raggiungere nel lungo termine".

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