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Doppia preferenza, la legge non passerà. Per colpa di chi?

Rimangono ancora sul tavolo gli oltre 5 mila emendamenti. Nessuna mediazione all'orizzonte

Di Donatello Baldo - 09 ottobre 2016 - 10:56

TRENTO. “Se non si trova una soluzione politica, a gennaio si riproporranno ancora tutti e 5 mila gli emendamenti”. Non dice altro il presidente del consiglio Bruno Dorigatti, ma queste poche parole dicono già tanto. Escludono le soluzioni tecniche, le tagliole e i canguri e tutte le strategie che forzando il regolamento permettono di superare l'ostruzionismo. “Il regolamento è chiaro – precisa – serve comunque un accordo tra maggioranza e minoranza per presentare nuovi emendamenti”.

 

Tradotto: la legge così com'è non vedrà mai la luce. Se uscirà dall'aula verrà sicuramente modificata: via le due preferenze uomo-donna e forse verrà pure abbassata la soglia di donne in lista, dal 50 al 40%. Poi chissà qualcuno magari riesce a fare una magia, ma ad oggi la situazione non può che essere questa.

 

Ma perché l'assemblea legislativa della nostra Provincia autonoma non riesce a produrre una legge che oltre al sostegno dell'intera maggioranza può contare anche sull'appoggio di due consiglieri dell'opposizione? Perché una legge su cui sindacati, imprenditori, sindaci e associazioni si sono espressi con favore è tenuta al palo da più di 5 mila emendamenti? Come mai un punto del programma del governatore Rossi, un impegno sottoscritto da tutti i partiti della coalizione rischia di non venire onorato?

 

Per due motivi. Perché la maggioranza, in fondo, questa legge non la vuole e perché un regolamento consiliare impedisce di fatto l'approvazione di una legge se tre consiglieri su trentacinque si mettono di traverso.

 

Ora possiamo anche dare tutta la colpa all'opposizione, ma non sarebbe corretto. Certo che ormai si è capito che a Giacomo Bezzi (Forza Italia), co-firmatario del disegno di legge, del principio in sé importa poco. Alla parità di genere in politica preferisce di gran lunga il procurare a Rossi un nuovo smacco. Nell'ultimo consiglio ha tirato fuori dal cilindro un coniglietto, una proposta che non ha fatto breccia nemmeno tra le opposizioni. Voleva scambiare la legge sulla doppia preferenza con la legge elettorale, una mossa spiazzante, un ricatto buttato lì alla maggioranza. “Come se si potesse modificare la legge elettorale con un emendamento, in una seduta di poche ore, ma siamo seri”, commentava qualcuno.

 

Ma l'opposizione fa il suo mestiere, e anche Bezzi fa il suo gioco. Il problema sta nella maggioranza, in quella compagine che, diciamolo, sui diritti civili non è mai riuscita a brillare più di tanto. La doppia preferenza non entusiasma l'Upt, Mario Tonina lo dice apertamente. Seduto sui bianchi divani della bouvette scuote la testa: “Non va bene la doppia preferenza ma nemmeno la terza destinata alle donne, troppo complicato, gli elettori farebbero confusione”. Lui lo sa che alla fine non si farà nulla, che la legge dal pantano non uscirà mai. Ma nemmeno il Patt, con l'eccezione guarda caso dell'unica donna del gruppo Chiara Avanzo, si sta spendendo su questa legge. Per non parlare dell'Upt: nessuno ha preso la parola in aula, nemmeno il suo capogruppo Gianpiero Passamani. A volte ridevano per qualche battuta, per qualche doppio senso da caserma, ma per il resto un silenzio assordante.

 

E il Pd? Schiera le donne in attacco, le espone in prima linea. Come a dire, difendetela voi questa legge che se poi perdiamo questa battaglia sarà solo una questione di genere. Non perderà il partito, o i consiglieri maschi, ma solo chi ci ha messo la faccia. Sono infatti Maestri, Plotegher, Borgonovo quelle che intervengono, quelle che ascoltano, che prendono appunti. E' l'assessora Sara Ferrari dai banchi della giunta. I maschietti sembrano annoiati. Se la legge passa a vincere sarà tutto il Pd (grazie alle donne) se perde la sconfitta sarà solo “rosa”.

 

Ma comunque, l'abbiamo detto, il regolamento d'aula permette a tre persone di bloccare tutto. Per ogni emendamento si arriva a discutere anche per un'ora. Cinquemila emendamenti sono cinquemila ore di discussione, più di duecento giorni ininterrotti se il consiglio fosse aperto 24 ore su 24.

 

Forse su questo un ragionamento lo si deve fare. Se l'autonomia è la capacità di autonormarsi, se quella specialità che tanto difendiamo si basa sull'autonomia della produzione legislativa non è possibile che tre persone blocchino tutto. Non è giusto.

 

Forse questa è democrazia, chi lo sa. O forse è tutto una gran confusione. Forse dovremmo chiedere a Filippo Degasperi dei 5 Stelle di schiarirci le idee: lui ha presentato 510 emendamenti, sostiene l'ostruzionismo e impedisce alla legge di essere approvata ma al tempo stesso vuole che la legge sia sottoposta a referendum. Che come tutti sanno può essere sottoposta a referendum solo se il consiglio prima o poi la approva.

 

 

 

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