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Doppia preferenza, in Consiglio provinciale si assiste all'umiliazione delle donne e all'harakiri della maggioranza

Battute di dubbio gusto e doppi sensi, ore di discussione che non hanno portato a niente, e per ben due volte è mancato il numero legale. Se ne riparlerà in aprile, ma l'approvazione della legge sulla doppia preferenza di genere sembra ormai impossibile

Di Donatello Baldo - 09 marzo 2017 - 19:40

TRENTO. Nemmeno questa volta. Ma non ci voleva un genio della politica per sapere che il disegno di legge per la doppia preferenza di genere non si sarebbe spostato nemmeno di un millimetro. Di fronte alla mole di emendamenti come quella sul tappeto, senza una strategia per superarli, si poteva evitare di perdere tutto questo tempo.
 

Si poteva evitare anche di esporre all'umiliazione le donne che siedono sui banchi del Consiglio provinciale e tutte quelle fuori. Perché il livello, in più occasioni, ha rasentato il fondo. Alcuni interventi sono da tenere negli annali.

 

Claudio Civettini, ieri all'inizio dei lavori, ha detto alla consigliera Lucia Maestri una frase che ha lasciato esterrefatti. “Ma dai...”, aveva detto l'esponente del Pd mentre stava intervenendo Civettini, che ha risposto in questo modo: “Ma dai a me lei non lo dice... Non so se è lei che deve dare qualcosa a qualcuno”.

 

Un chiaro riferimento sessuale secondo molti che l'hanno udita. Civettini si è poi scusato, “per l'interpretazione data dai giornali” (dal Trentino, che oggi ha pubblicato l'infelice esternazione in un box dal titolo: “Quei doppi sensi nella giornata delle donne”).
 

Ma a sfiorare quella linea sottile che divide l'opinione dall'insulto è stato anche Claudio Cia. “Quando sento parlare l'assessora Sara Ferrari mi sembra di dovermi vergognare di essere un uomo”, ha detto il consigliere. Per poi aggiungere con fare interrogativo: “Non so che esperienze abbia avuto lei come donna – ha dichiarato in Aula – se sie è sentita emarginata, apostrofata”.

 

Ma nell'imbarazzo generale ha continuato dicendo innocentemente: “Non so, qualcosa l'ha forse traumatizzata?”. A questo punto si è levato il grido delle consigliere, di smetterla, di non permettersi nemmeno per idea di continuare. Consigliere che si rivolgevano anche a Bruno Dorigatti che presiede l'assemblea, che però non è sembrato molto vigile nel sanzionare le argomentazioni, né quelle di Cia ma nemmeno quelle del consigliere Civettini.

 

Civettini che si è spinto anche in considerazioni di notevole respiro. “Ma se prevediamo le quote riservate per le donne – ha detto intervenendo – perché no la quota per i trans? Perché no per i gay e per le lesbiche?”. E guardando Walter Kasvalder un po' basso di statura: “Kaswalder, e perché no per chi non arriva al metro e sessanta di statura?
 

Questo è il clima, questa l'Aula del Consiglio provinciale. La sede della democrazia, il distillato della rappresentanza del popolo trentino. Un luogo che quando affronta il tema dei diritti si trasforma in qualcosa che sembra a volte un bar dei bassifondi. Urla, strepiti, risate grasse, doppi sensi, frasi smozzicate e buttate lì in dialetto.

 

Rodolfo Borga presenta un Ordine del giorno per chiedere che un gruppo di esperti si riunisca e valuti bene quanti sono i generi, perché altrimenti se si dividono le preferenze solo tra candidati maschi e candidate donne forse si discrimina qualcuno. Ha letto che di generi ce ne sono molti, “che la teoria gender prevede che i generi non siano stabiliti”. Quindi per mezzo pomeriggio si discuta di questa provocazione bella e buona.
 

Pur di non concedere alla democrazia una legge in sostegno delle donne nelle istituzioni si parli di questo, pur di non fare un passo avanti anche culturale si parli di tutt'altro, si parli di gender a sproposito.
 

Ma non si parli della frase del sindaco di Borgo Valsugana Dalledonne che ha postato un commento su Facebook con scritto: “Come dargli torto...”. Un commento a un post da far rabbrividire, la notizia di un marito che picchia a sangue la moglie sorpresa a fare sesso con un immigrato”.

 

Solo Manuela Bottamedi è intervenuta per dire quanto schifo abbia provato. “Non solo per le parole di Dalledonne – spiega – ma anche per tutti i commenti che lo sostengono tra cui anche quello dell'autonomista Giuseppe Corona. In Trentino ci sono sacche di maschilismo che fanno impressione”.

 

Insomma è andata così. Una giornata da dimenticare per la politica trentina, per le donne, per l'occasione persa di qualcuno che avrebbe dovuto tener la bocca chiusa. Una brutta giornata anche per la maggioranza, perché se dalle minoranze arrivano gli strali a volte un po' troppo sopra le righe, dalla coalizione arriva solo qualche sbadiglio, e l'imbarazzo ormai al limite delle donne del Pd.

 

Lucia Maestri non lo dice apertamente, parla con gli occhi. Con l'espressione dice che così non va, che non è possibile che il numero legale sia mancato ben due volte, obbligando il presidente Dorigatti a sospendere i lavori per un'ora, per poi scoprire che tra i banchi del Patt c'era solo il capogruppo, tra quelli dell'Upt lo stesso.

 

E di nuovo sospensione, stavolta definitiva fino alla prossima convocazione. Che sarà forse in aprile, che anche allora non servirà a un bel niente, perché se non si prova a stare uniti nel centro-sinistra-autonomista hanno ragione le minoranze a chiamarli “armata brancaleone” a dire che oggi si è assistito all'harakiri della maggioranza. 

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