Viaggio nel centro d'accoglienza tra artisti, sportivi e tante speranze
La nostra inchiesta tra i migranti del centro di via Fersina dove chi può coltiva i suoi sogni. "Quando poi, però, gli scadono i permessi - spiegano gli operatori della residenza - a noi non resta che farli uscire e abbandonarli alla clandestinità"

TRENTO. C'è il sorriso di chi passa le sue giornate a intagliare il legno. C'è lo sguardo pieno di speranza di chi dipinge panorami, il suo passato e il suo futuro. C'è chi ogni mattina si alza, indossa le scarpe da ginnastica, imbocca la ciclabile e si lancia in una corsa senza fine "perché – ti spiega – sogno di fare il maratoneta". Entri nel centro di accoglienza per migranti di via Fersina e ti aspetti volti cupi, facce tristi e sguardi cattivi e invece finisci per imbatterti in tante storie, lontanissime dai fattacci di cronaca ai quali siamo ormai tristemente abituati.
Storie difficili, di chi non ha alternative se non quella di partire verso l'ignoto, percorrere oltre 3.000 chilometri a piedi, utilizzando mezzi di fortuna (che in troppi casi, purtroppo, si trasformano in mezzi di sfortuna) sfidando la sorte. Partiti dal Mali, dalla Costa d'Avorio, dalla Siria o dal Pakistan, mentre sei lì con loro ti rendi conto di quanto sei stato sciocco quella volta che ti sei fatto anche solo sfiorare dal pensiero che questi vengano qui a fare i delinquenti o a rubarci il lavoro. Tutti ti dicono: "Veniamo qui per rimboccarci le maniche". Molti aggiungono: "E vorremo andare nel Nord Europa". Una prima, vera, piccola possibilità di darsi da fare questi ragazzi la trovano nel centro di via Fersina.
Entrando, infatti, il primo sguardo è per lo splendido orto con girasoli, pomodori e tante verdure gestito dai migranti. "E' un modo per farli lavorare – spiega Andrea Cagol del Cinformi – perché il primo grande problema da combattere qui dentro è la noia. Il fatto che strutturalmente sia quasi impossibile per loro trovarsi un'occupazione (per i primi 60 giorni non possono per legge ndr) è molto frustrante. E poi con l'orto si levano le prime piccole soddisfazioni: i prodotti della terra che raccogliamo vengono cucinati nel centro, alcuni riusciamo a darli ad altre strutture, come Villa Sant'Ignazio, e negli ultimi tempi siamo anche riusciti a portarli sulle bancarelle (ad offerta ndr) di due mercatini in Piazza Dante". Ma non è tutto. Sono molteplici le attività che gli operatori organizzano per gli ospiti: c'è la scuola, con 2 ore al giorno di lezioni di italiano e di cultura italiana; c'è la ciclofficina (in via Mattioli 8) dove alcuni di loro riparano biciclette; e c'è l'attività di produzione di piccoli taccuini ed agendine.
Raggiungendo gli edifici dove alloggiano i ragazzi (nell'ex caserma, mentre una struttura container serve per la prima accoglienza) si notano molti di loro impegnati in diverse faccende, dal lavare e stendere i panni, alla pulizia della struttura. Qualcuno legge il Corano sotto le fronde di un albero e altri tirano due calci a un pallone, palleggiano, ti fanno vedere come sono bravi. "Io sono qui per fare il calciatore" ti dicono. "E' una delle frasi che sentiamo più spesso – prosegue Brahim, operatore e traduttore del Cinformi – e devo dire che il calcio in molti casi si trasforma davvero in una prima, grande occasione di integrazione. Molti ragazzi quando escono dalla struttura (sono liberi di andare e venire dalle 7 del mattino fino alle 23 di sera) vanno al parco e tra una partitella e l'altra vengono spesso contattati da club locali. Il problema è che anche per farli giocare con squadre ufficiali ci vogliono pratiche burocratiche e amministrative scoraggianti".

Parlare con loro è facile, se si eccettua lo scoglio della lingua, ma tra gesti e sorrisi (e grazie Brahim che ci dà una bella mano con la traduzione) scopri che Mohamed è venuto dalla Guinea e per arrivare qui, tra i monti di Trento, c'ha messo più di tre mesi, tra passaggi in auto e furgone (dalla Costa d'Avorio al Mali) e lunghe camminate (in Algeria e poi in Libia). Poi il barcone (la cui esperienza nessuno ha voglia di rivangare tanto è stata terribile), la Sicilia, il pullman e la mattina la sveglia in Trentino. "Qui è molto bello – racconta – ma anche se a casa mia la situazione era davvero un inferno mi manca la mia terra. Le differenze tra lì e qua sono tantissime, troppe da raccontare. Ma ringrazio Allah per questa occasione che mi ha dato".
E a chiedergli cosa ne pensa di Trento sorride e risponde: "E' una città tranquilla, diversa dalle nostre città, ma tranquilla. Qui non dobbiamo aver paura ogni giorno, ogni notte. E le persone che incontriamo per strada sono buone. Io, per ora, non ho avuto nessun problema". Per ora, perché Mohamed sa bene che i problemi esistono, inutile nasconderlo. Brahim ad ogni nuovo ragazzo che entra nella struttura fa il lavaggio di testa: "Evita zone come Piazza Dante, evita le persone che ti propongono soldi facili, evita il giro di droga, i guai e evita di fare baccano. Qui – spiega loro – ti beccano subito, ci sono telecamere, siete sempre controllati. Cerca di integrarti e non sgarrare". Ma di sgarrare non ne ha l'intenzione nessuno, te lo dicono tutti lì dentro. Poi però, per molti di loro, arriva il momento della clandestinità.
Già perché scaduto il permesso di soggiorno o ottenuto il diniego dalla commissione territoriale a restare nel nostro Paese, subentra la clandestinità. "E a noi non resta che accompagnarli al cancello – conclude Elena Rinaldi responsabile della pronta accoglienza della residenza Fersina – e dirgli: ora te la devi cavare da solo. Loro tecnicamente dovrebbero cercarsi un aereo o una nave, pagarsi il viaggio di ritorno e tornarsene dal paese dal quale sono scappati disperati, da soli, autonomamente. Un paradosso. Non c'è nessun progetto di rimpatrio. E noi non possiamo più tenerli qui o aiutarli, altrimenti sarebbe favoreggiamento al reato di clandestinità. Li accompagniamo alla porta, li allontaniamo e auguriamo loro buona fortuna". E così chi prima dipingeva, sognava di giocare a calcio e aggiustava biciclette d'un tratto si trasforma in un vero e proprio "fantasma" costretto a vagare nel nostro Paese da irregolare. E l'unica speranza, a quel punto, è riuscire a fuggire anche anche da qui.