Il futuro dell’orso in Trentino? Alcuni orsi e alcuni umani si abitueranno a convivere, altri no


Anticipatore sociale, analista di macrotendenze consulente strategico
Volpi, linci, lupi, lucertole, daini, orsi, cinghiali, aironi: sono tanti e forse sempre più numerosi gli animali selvatici disposti a superare il fossato che li divide dall’umanità, un fossato che invece animalisti e anti-animalisti, per ragioni diverse, vorrebbero che restasse invalicabile.
Un desiderio probabilmente destinato a restare inesaudito.
Molto prima di Esopo, Fedro, La Fontaine e dell’araldica, infatti, gli animali erano già al centro del processo attraverso il quale gli esseri umani si identificano.
I mercati borsistici sono ancora popolati da 'tori' (tendenze rialziste), 'orsi' (tendenze ribassiste), 'agnelli' (piccoli investitori da tosare), 'lupi' e 'avvoltoi' (investitori professionisti in cerca di prede).
Il simbolismo animale è così profondamente radicato nel nostro immaginario che è diventato virtualmente impossibile parlare degli animali in quanto tali, senza alcun implicito riferimento al mondo umano.
A certi animali non è concesso di restare tali: devono servire da allegorie.
L’umanità adora estetizzare ciò che la circonda e, nella maggior parte dei casi, questo è un fenomeno innocuo e, anzi, fecondo.
Abbiamo estetizzato l’orso, i valligiani, il Trentino e la sua natura 'selvaggia', la natura chiamata ad essere selvaggia per soddisfare i nostri bisogni psicologici, ma non troppo, perché deve comunque rispettare le nostre regole del gioco.
L’estetizzazione radicale, ossia la perdita di vista della realtà così com’è – per esempio ci sono orsi e orsi: orsi abituati a convivere con l’umanità e orsi abituati a parassitare gli ambienti umani; le loro reazioni possono essere marcatamente diverse – è invece deleteria e genera violenza (psicologica, verbale, fisica).
Muoiono gli animali selvatici (per abbattimento) e muore il senso di civiltà (minacce di morte, boicottaggio di una provincia italiana, insulti a un’intera popolazione alpina e contro-reazioni non meno violente).
L’orso è l’animale-simbolo del Trentino, dell’Alaska e della Russia, di Berna e di Berlino. È un animale archetipicamente potente, più di tanti altri animali.
Gli animali sono le sorgenti dei più profondi significati simbolici e vengono da sempre utilizzati come veicoli di istruzione morale e di socializzazione, modelli di ordine e moralità. Sono buoni da pensare, ma anche buoni da insegnare e da imparare (pensiamo solo alla potenza, concisione ed efficacia di 'La Fattoria degli Animali' di George Orwell). Gli animali dominano il nostro modo di classificare eventi ('che porcata!'), rapporti tra le nazioni europee ('cicale e formiche') e persone ('è un leone', 'che asino').
Li celebriamo, li denigriamo, li temiamo, li trasformiamo in simboli, li introduciamo nel dibattito politico costringendoli a combattere le nostre battaglie: la Nato contro l’orso russo, l’aquila americana contro il dragone cinese, la Lupa capitolina, le api operose, i trentini orsi più degli orsi trentini, ecc.
Sono gli attori di una saga che ha noi come protagonisti. Recitano il nostro ruolo. Li teniamo molto impegnati, nel nostro immaginario, specialmente quelli carismatici, come l’aquila, l’orso e il lupo, icone delle terre di frontiera, delle regioni selvagge.
Sono gli orsi che rendono selvaggio il Trentino, lo distinguono dal resto d’Italia, ne sanciscono il diritto all’autonomia, in quanto diverso.
Il Trentino è selvaggio e libero anche perché ci sono animali selvaggi e liberi come gli orsi, che non si lasciano addomesticare. Per questo, come nel caso dell’Alaska, le locandine, pieghevoli e pagine web legate all’industria turistica del Trentino abbondano di orsi, i nostri orsi (anche se sono 'immigrati coatti' dalla Slovenia). L’opposizione leghista trentina, invece, li considera clandestini da eliminare.
I trentini in fondo si compiacciono di essere considerati degli orsi, perché apprezzano le virtù che associano agli orsi ed a loro stessi, più o meno giustificatamente: tenacia, lealtà, forza, burbera schiettezza, bonaria scontrosità, innocente e comica ingenuità, genuinità, amore per la natura e le montagne, generosità, sobrietà, industriosità, ferocia se minacciato, gentilezza se rispettato, ecc. Nelle mitologie mondiali, forse quelle più arcaiche, data la loro diffusione planetaria, l’orso è consigliere, maestro e guaritore.
Non sono solo i trentini ad avere un rapporto appassionato con gli orsi. Il simbolismo dell’orso è uno dei più prominenti dell’immaginario umano ed è arrivato fino a noi, con gli orsacchiotti per i bambini, l’orso polare di 'Lost', le costellazioni – associate alle orse in numerose tradizioni – e l’orso rampante dello stemma personale di Ratzinger.
In Grecia l’orsa era venerata come essenza della prosperità e della maternità premurosa e sollecita. Era l’animale sacro ad Artemide, nume tutelare della natura. La medesima radice 'arth' dell’orso si rinviene nella dea gallica Artio, anch’essa accompagnata da un’orsa, e in Artoris, ossia Re Artù(ro), figlio di un drago e di un’oca selvatica (Fra draghi, orsi e re).
Nell’alchimia, come per Jung, l’orso è simbolo di oscurità e del mistero della materia prima, gli aspetti pericolosi dell’inconscio e della personalità che devono essere ancora elaborati (Ombra). L’orso è il simbolo della transizione dagli istinti primari incontrollati al disciplinamento di una personalità individuata e matura, cioè della nigredo, il primo stadio caotico (entropico) della metamorfosi che conduce all’albedo (v. Francesca Nicolodi, L’uomo e l’orso: due leali avversari da migliaia di anni, Museo tridentino di scienze naturali; Franco Cardini, Il simbolismo dell’orso).
Le parole di Carl Jung calzano a pennello nella descrizione degli estremismi che si contrappongono intorno alle vicende ursine trentine: “È effettivamente amaro dover scoprire che, dietro ai propri ambiziosi ideali, dietro alle convinzioni unilaterali e spesso ostinate, ma tanto più accarezzate, e alla pretese vanagloriose ed eroiche si celano un crudo egoismo, desideri e compiacenze infantili. Questo penoso processo di rettifica e di relativizzazione costituisce una tappa inevitabile di ogni percorso psicoterapeutico. Come dicono gli alchimisti, il processo incomincia con la nigredo, oppure la produce come premessa indispensabile della sintesi, perché opposti che non siano costellati e portati alla coscienza non potrebbero essere ricondotti all’unità. Freud si è fermato alla semplice riduzione alla metà inferiore della personalità, ossia alla fiducia di poterla padroneggiare per mezzo della razionalità. Nel far questo egli ha ignorato il pericolo demoniaco costituito dal lato oscuro, pericolo che non consiste soltanto in infantilismi innocui. L’uomo non è né così ragionevole né così buono, per potersi eo ipso misurare con il male. L’oscurità può anche inghiottirlo, e specialmente quando egli trova dei compagni simili a lui” (C.G. Jung, cit. Marie-Louise von Franz, “Alchimia”).
E il futuro dell’orso in Trentino?
Alcuni orsi e alcuni umani si abitueranno a convivere; altri no.
Quando i tempi saranno maturi, però, l’operazione 'alchemica' auspicata da Jung potrebbe andare in porto – con l’abolizione della tratta degli esseri umani, la progressiva diffusione di una sensibilità umanitaria matura (non infantile e fanatica) all’indirizzo degli animali e il superamento di una civiltà dell’insicurezza, dell’ansia, della lotta per le risorse, del mors tua vita mea che è indegna di una specie e civiltà evoluta.
A quel punto le nostre città potrebbero diventare biofile e la natura non dovrebbe più temere gli umani indiscriminatamente, mortificando quotidianamente quelli, tra noi, che non meritano di essere rifuggiti dagli animali non addomesticati solo perché umani; quelli che desiderano solo instaurare rapporti amichevoli con loro, oltre le reciproche incomprensioni, oltre fossati e muri che abbiamo presunto fossero inevitabili e permanenti, ma che un giorno potrebbero non avere più ragione di esistere.