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I "civici", le migliori idee di destra e di sinistra e la possibilità di superare gli arcaici partiti

L'evoluzione del sistema sta selezionando una forma organizzativa della politica più adatta alle esigenze dei tempi nuovi, in sintonia con una terza via tra democrazia rappresentativa (affetta da derive oligarchiche) e democrazia diretta
DAL BLOG
Di Stefano Fait - 02 ottobre 2017

Anticipatore sociale, analista di macrotendenze consulente strategico

Nelle scorse settimane sono riemerse le tensioni che dividono i militanti della democrazia diretta dai fautori delle liste civiche. La contrapposizione è istruttiva perché pone in risalto due concezioni nettamente distinte di democrazia. Alex Marini, ex presidente dell'associazione "Più Democrazia in Trentino", ha accusato i sindaci di Rovereto, Pergine, Tione, Mezzolombardo e Frassilongo di aver usurpato il titolo di "civici", non essendolo più di altri, e di aver cucito attorno alle proprie amministrazioni e comunità narrazioni fantasiose, post-veritiere.   

 

Roberto Oss Emer ha ribattuto che per lui, come per gli altri sindaci civici, "civico" è sinonimo di post-ideologico, non di democrazia diretta. Per il sindaco di Pergine è realistico supporre che pochi cittadini abbiano tempo, energie e voglia di occuparsi direttamente della gestione della cosa pubblica e che il compito di un sindaco civico sia quello di intercettare le istanze di tutti i cittadini (non solo quelli militanti, non sempre lucidi), valutarle, convertirne alcune in atti politici, "preparare il futuro cercando di guardare lontano" e correggere la rotta di fronte all'evidenza dei propri errori.

 

Oss Emer non crede nei partiti, nel dualismo destra-sinistra e nella democrazia diretta che, "se la intendiamo nell'accezione di portare in piazza qualunque decisione, finirebbe per diventare la negazione stessa della democrazia". Lo scenario paventato è quello di un regime di democrazia diretta in cui una maggioranza sufficientemente compatta e separata da una o più minoranze riconoscibili (es. immigrati, musulmani, omosessuali, popolazioni rurali, ecc.) impone tirannicamente la propria volontà per via plebiscitaria, a suon di voti, declassando le minoranze a cittadini di serie B, incerti sulla propria sorte e indotti a trasferirsi altrove per vedersi riconosciuti pari diritti. Molto saggiamente, Benjamin Constant ammoniva che "La volontà di tutto un popolo non può rendere giusto quel che è ingiusto".

 

Vero è che il principio fondante delle nostre società sono i diritti, non la democrazia: il costituzionalismo limita i capricci della sovranità popolare. I diritti esistono indipendentemente dalla nostra volontà, non scaturiscono dalla volontà popolare.

In Alto Adige abbiamo un esempio classico di società divisa in cui la democrazia diretta è a rischio di essere usata da una maggioranza per mortificare una minoranza. Purtroppo contrapporre un gruppo all'altro ostacola la maturazione della società civile e quindi rinsalda la presa di certi gruppi di interesse sui processi decisionali che riguardano tutti. Altrove le cose non vanno molto meglio. Destra e sinistra, per molti versi, si comportano come gruppi etnici o fedi religiose irriducibili. Chi vince prende tutto e sostanzialmente ignora i perdenti. Inoltre chi non può votare non viene considerato e chi sceglie di non votare perché l'offerta è misera viene ridicolizzato. Infine una minoranza di privilegiati gode di un'influenza sproporzionata e tossica.

 

Alla democrazia formale non corrisponde una democrazia sostanziale. Una democrazia organizzata per fazioni non dovrebbe essere considerata tale. Nel mondo ideale della destra non c'è spazio per le "anime belle" della sinistra e nel mondo ideale della sinistra nessuno sarebbe così ignorante da votare a destra. Ne discende che quando una fazione giunge al potere tratta l'altra a pesci in faccia, considerandola indegna di considerazione, oppure ricorre agli inciuci, perché solo gli inciuci sono possibili tra fazioni che non si rispettano e non ritengono di avere nulla da imparare dagli avversari. Non c'è vero dialogo ma solo scontro, non c'è pluralismo ma tirannia della maggioranza, intransigente e assolutista, con poche eccezioni dettate da opportunismo. Per alcuni anni una parte dell'elettorato va in apnea e non è rappresentata, anzi si sente sotto un regime di occupazione e attende solo la rivincita, il ritorno della luce e la fine delle tenebre.

Eppure nessuna delle due parti rappresenta il male.

 

Male è tutto ciò che tiene separate le metà che dovrebbero completarsi (yin e yang). La parola diavolo deriva dal verbo greco διαβάλλω (diabàllo), a indicare ciò che separa, interpone barriere, calunnia. Una democrazia compiuta è quella in cui chi governa getta ponti tra i due schieramenti, non promuove la logica del "divide et impera" e del "mors tua vita mea". La rigida dicotomia destra e sinistra ha escluso la generatività dei conflitti e ha annullato le differenze dei punti di vista, dei punti di partenza e dei contesti di vita. In questo senso i "civici" e le loro liste, dati per sicuri vincenti alle prossime elezioni provinciali, possono svolgere il ruolo di "neutri integratori" e pragmatici che cercano collegialmente soluzioni che vadano a beneficio di tutti, prendendo il meglio delle proposte della destra e della sinistra e superando gli infiniti impasse che hanno reso disfunzionali le nostre società e prassi politiche. Infatti la sintesi non è l'annullamento di tesi e antitesi, è la ricerca di dialettiche superiori in un mondo in cui la verità non sta né a destra né a sinistra e la possiamo avvicinare solo assieme.

 

Se le cose stanno così, e alla luce della crescente proporzione di elettori che si considera "indipendente" (spesso maliziosamente assimilata agli "incerti"), è perfino possibile che i partiti siano fossili viventi destinati all'estinzione e che l'evoluzione stia selezionando una forma organizzativa della politica più adatta alle esigenze dei tempi nuovi, in sintonia con una terza via tra democrazia rappresentativa affetta da derive oligarchiche e democrazia diretta

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